LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4817/2019 proposto da:
M.A., rappresentato e difeso dall’avv. Carmela Grillo giusta procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Perugia, via E. Toti n. 32;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12;
– resistente –
avverso la sentenza n. 458/2018 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 23/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Caltanissetta, in riforma dell’ordinanza del Tribunale, rigettava la domanda proposta da M.A., nato a ***** volta ad ottenere in via principale il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. La Corte d’Appello rigettava in primo luogo l’eccezione di tardività dell’appello del Ministero, argomentando che il termine breve per l’impugnazione previsto dall’art. 702 quater c.p.c., opera solo nei confronti della parte costituita, dovendo operare per la parte contumace, in assenza di comunicazione o notificazione, il termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., dalla data di pubblicazione, deposito o pronuncia in udienza.
3. Riteneva che l’appello fosse altresì fondato in considerazione degli ampi margini di dubbio che emergevano nel racconto del richiedente, poco circostanziato e incongruente al suo interno, che aveva riferito di avere ricevuto minacce di morte per essere stato accusato da guerriglieri mujhaiddin essere una spia indiana.
4. La Corte territoriale argomentava che la ricostruzione del fatto e la documentazione fornita alla Commissione non consentivano di asseverare i timori di persecuzione dallo stesso paventati, presentando profili di inverosimiglianza relativamente al motivo per cui ad un certo punto i militanti lo avrebbero considerato una spia indiana, quando in diverse precedenti occasioni il migrante, per quanto dallo stesso dichiarato, aveva sempre messo il proprio mezzo, un camion utilizzato per l’azienda agricola, al servizio del gruppo e aveva sempre soddisfatto le sue richieste di denaro. Aggiungeva che egli peraltro neppure aveva riferito di avere richiesto protezione all’autorità pubblica statuale. Quanto alla protezione sussidiaria, riteneva che nè dalle dichiarazioni dell’appellante, nè dall’esame della situazione generale del Pakistan, emergesse un pericolo derivante da una situazione di conflitto interno o internazionale, nè alcun ulteriore rischio all’incolumità fisica derivante da persecuzioni, esecuzione di pena di morte, minaccia, violenza indiscriminata o tortura. Quanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, riteneva che non fosse stata provata alcuna personale e peculiare condizione di vulnerabilità.
5. Per la cassazione della sentenza M.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione per l’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Come primo motivo il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 702-ter, 702-quater, 134 e 327 c.p.c.. Sostiene che l’appello del Ministero dell’Interno fosse da considerarsi tardivo e dunque inammissibile, in quanto notificato oltre il termine di trenta giorni dalla lettura in udienza dell’ordinanza del Tribunale, da equipararsi alla comunicazione.
7. Il motivo non è fondato.
8. Dalla sentenza impugnata emerge (pg. 3) che l’Amministrazione era rimasta contumace in prime cure: la soluzione adottata dal giudice di merito è quindi conforme a diritto, essendosi attenuta al principio, già affermato da questa Corte in reiterati arresti ed al quale occorre dare continuità, secondo il quale in tema di protezione internazionale, nelle controversie regolate dalla disciplina previgente al D.L. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017, il termine breve per la proposizione dell’appello decorre, quando l’Amministrazione sia rimasta contumace in primo grado, solo nel caso in cui l’altra parte abbia notificato la decisione, applicandosi in mancanza il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., perchè il disposto dell’art. 702 quater c.p.c., secondo il quale l’ordinanza del giudice deve essere appellata entro trenta giorni dalla sua notificazione o comunicazione, opera solo nei confronti della parte costituita (Cass. n. 32961 del 13/12/2019, Cass. n. 16893 del 27/06/2018).
9. Si è in proposito in tali arresti argomentato che mentre il termine breve decorre, in termini ordinari (art. 326 c.p.c., comma 1), da uno specifico impulso di controparte, ovvero dalla notifica del provvedimento impugnabile, il rito sommario costituisce uno strumento che il legislatore ritiene diretto alla celerità, oltre che alla semplificazione, del giudizio. Pertanto l’applicabilità del termine breve non è affidata solo al potere dispositivo della parte interessata a stabilizzare, bensì – per l’evidente interesse pubblico che ormai viene riscontrato pure nel processo civile – anche all’attività dell’ufficio che l’ordinanza ha pronunciato. E dunque, mentre la giurisprudenza di legittimità da sempre rimarca che il termine breve decorre solo dalla notifica effettuata a istanza di parte, essendo invece allo scopo irrilevante la comunicazione dell’ordinanza pronunciata fuori udienza (in termini, cfr. Cass. Sez. U, n. 5615 del 08/06/1998), nel caso dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 6, la decorrenza comincia “dalla sua comunicazione o notificazione”. Se quindi l’ordinanza è emessa in udienza e la parte interessata ad appellarla non è contumace ma non è presente, non vi sarà comunicazione, perchè ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, l’ordinanza si ritiene conosciuta. Nel caso invece in cui l’ordinanza è emessa fuori udienza e la parte interessata ad appellarla non è contumace, a quest’ultima la cancelleria effettuerà la comunicazione (che deve essere integrale quanto a motivazione e dispositivo: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7401 del 23/03/2017), onde la parte vittoriosa sposta il suo concreto interesse alla notifica nella ipotesi in cui intenda avvalersi della sua esecutorietà, unitamente al precetto. Nel caso, infine, in cui l’ordinanza è emessa in udienza o fuori udienza e la parte interessata ad appellarla è contumace, si rientra nello schema classico: o la parte vittoriosa attiva la decorrenza del termine breve mediante la notifica dell’ordinanza, o viene applicato il termine lungo ex art. 327 c.p.c..
10. In definitiva, non potendosi configurare alcuna deroga ai criteri ordinari, nella specie la Corte territoriale ha correttamente applicato il termine lungo, ravvisando la tempestività dell’impugnazione proposta dal Ministero.
11. Come secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto non credibile il racconto, senza argomentare per quali ragioni la decisione di prime cure, basata su un’attenta analisi delle circostanze e del materiale probatorio prodotto, fosse da considerare errata e quindi meritevole di riforma.
12. Il motivo è inammissibile.
13. Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279).
14. Nel caso, la Corte d’appello ha compiuto il dovuto vaglio delle dichiarazioni del richiedente, alla luce delle informazioni relative al paese di provenienza, e, argomentatamente discostandosi dalla valutazione del Tribunale, le ha ritenute non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicchè la doglianza costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure idoneamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
15. Come terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e lamenta che la Corte di merito non abbia considerato che il paese di provenienza è afflitto da una vera e propria situazione di guerra in atto che integra la previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
16. Anche tale emotivo è inammissibile: la Corte di merito ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), all’esito di un’ articolata valutazione desunta da siti internazionali accreditati (EASO 2017). Il pericolo di atti terroristici ed il conflitto in atto con l’India valorizzati nel ricorso, che neppure cita fonti internazionali a suffragio delle proprie allegazioni, non contrastano tali valutazioni, essendo stati valutati dal giudice di merito che li ha ritenuti non tali da integrare una situazione di violenza generalizzata anche per il persistente impegno dello stato nella regione del Kashmir.
17. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
18. Conclusivamente, il ricorso dev’essere rigettato.
19. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.
20. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020