LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10309-2018 proposto da:
PROGETTO CASA COSTRUZIONI SRL in persona dell’Amministratore Unico C.F., C.F. in proprio, domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati MASSIMILIANO MARCIALIS, CARLA VALENTINO;
– ricorrente –
contro
INTESA SAN PAOLO PROVIS SPA in persona del. Direttore Generale Dott. R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO DE’
CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato ALDO FONTANELLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABIO FUGAZZA, VINCENZO BERGAMASCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 377/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
RILEVATO
che:
la società Progetto Casa Costruzioni s.r.l. e il suo fideiussore C.F. proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1531/2013 emesso dal Tribunale di Milano ad istanza della Leasint s.p.a. (poi Mediocredito Italiano s.p.a.), con cui era stato ingiunto, alla prima, la restituzione di una imbarcazione da diporto utilizzata in leasing e, ad entrambi e in via solidale, il pagamento della somma di 37.976,18 Euro a titolo di canoni insoluti;
il Tribunale di Milano rigettò l’opposizione confermando il decreto ingiuntivo;
provvedendo sul gravame proposto dagli opponenti, la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’impugnazione, affermando – per quanto ancora interessa – che:
è corretta la statuizione del Tribunale secondo cui l’omessa riconsegna del bene rende inammissibile la domanda di restituzione dei canoni già pagati;
“la circostanza dell’avvenuta restituzione del bene in leasing è stata tardivamente dedotta” ed “è dubbia in quanto contestata dalla parte appellata”; inoltre “è controversa l’applicazione analogica della disciplina dell’art. 1526 c.c. (…) tanto più che nella specie non è provato che il contratto di leasing sia da ricondurre allo schema negoziale del leasing traslativo”;
“anche ammettendo l’applicabilità analogica al caso di specie” della previsione dell’art. 1526 c.c., “occorrerebbe rifarsi alla disciplina dalla stessa fissata, che prevede a favore del venditore il diritto ad un equo compenso per l’uso del bene, ed il diritto di ottenere il risarcimento del danno ed alla clausola penale dell’art. 21 del contratto”, da ritenersi legittima;
quindi, anche a voler seguire la prospettazione dell’applicazione della disciplina dell’art. 1526 c.c., va “ritenuta infondata la domanda di restituzione dei canoni versati e sussistente il diritto della società concedente di trattenere i canoni riscossi, ed a richiedere il pagamento dell’indennità in conseguenza dell’avvenuta risoluzione del contratto, la cui quantificazione potrà avvenire solo in base al ricavato effettivo della vendita o alla diversa allocazione dell’imbarcazione”;
hanno proposto ricorso per cassazione la Progetto Casa Costruzioni s.r.l. e C.F., affidandosi a quattro motivi illustrati da memoria; ha resistito, con controricorso, la Intesa Sanpaolo Provis s.p.a. (avente causa dal Mediocredito Italiano).
CONSIDERATO
che:
il primo motivo denuncia “violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.” nonchè “violazione degli artt. 228 e 229 c.p.c.” e “travisamento delle prove”: i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha affermato che la circostanza dell’avvenuta restituzione del bene è stata tardivamente dedotta ed è dubbia in quanto contestata da parte appellata; sostengono che la restituzione era avvenuta nel corso del giudizio di primo grado e che gli opponenti ne avevano dato atto in sede di memorie conclusionali e col successivo atto di appello e che – da parte sua – la controparte non aveva negato la circostanza, ma l’aveva confermata in sede di comparsa di costituzione nel giudizio di secondo grado; tale circostanza era pertanto pacifica in quanto non contestata e addirittura oggetto di confessione; concludono pertanto che la Corte è incorsa, sul punto, in violazione di legge e in “travisamento delle prove”;
il motivo è inammissibile in quanto, senza individuare errori di diritto che inficiano la sentenza impugnata, è volto a evidenziare un’erronea lettura degli atti (che non avrebbe colto la non avvenuta contestazione e, anzi, l’espressa ammissione dell’effettuata restituzione) e – quindi – un vizio percettivo che avrebbe dovuto essere dedotto in sede revocatoria;
il secondo motivo contesta, sotto il profilo della violazione degli artt. 1526 e 1453 c.c., l’affermazione della Corte secondo cui il primo giudice avrebbe correttamente ritenuto inammissibile la domanda di restituzione dei canoni a fronte dell’omessa restituzione del bene concesso in leasing: i ricorrenti assumono che, in difetto di un’espressa previsione normativa ostativa, il giudice può accertare il diritto dell’utilizzatore alla restituzione dei canoni a prescindere dalla materiale restituzione del bene;
il motivo è inammissibile per la genericità della formulazione e – comunque – infondato, atteso che, come correttamente evidenziato dalla Corte di Appello, nell’ambito del leasing traslativo risolto per inadempimento dell’utilizzatore, il diritto di quest’ultimo alla restituzione delle rate riscosse presuppone l’avvenuta restituzione del bene concesso il leasing (cfr. Cass. n. 9161/2002 e Cass. n. 73/2010), anche al fine di poter stabilire – tenuto conto delle condizioni del bene restituito – l’entità dell’equo compenso e dell’eventuale risarcimento spettanti al concedente;
col terzo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 115 c.p.c., il travisamento delle risultanze processuali e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: contestano la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che “nella specie non è provato che il contratto di leasing sia da ricondurre allo schema negoziale del leasing traslativo piuttosto che a quello del leasing tradizionale”, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1526 c.c.; assumono che esistono indici della volontà delle parti, desumibili dal tenore del contratto e delle condizioni generali, che depongono univocamente nel senso della natura traslativa del leasing;
il motivo è inammissibile, in quanto:
la violazione dell’art. 115 c.p.c. non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016: infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (cfr. anche Cass. n. 27000/2016);
non risultano specificamente individuati fatti decisivi di cui sia stato omesso l’esame o risultanze processuali “travisate”, venendo piuttosto prospettata una lettura alternativa dei fatti, in funzione di un diverso apprezzamento di merito teso all’affermazione della natura traslativa del leasing;
il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1526 c.c. censurando la Corte laddove ha affermato che, anche ammettendo l’applicabilità analogica dell’art. 1526 c.c., occorrerebbe tener conto del diritto del concedente all’equo compenso e al risarcimento del danno e, altresì, della clausola penale di cui all’art. 21 del contratto; trascritto l’anzidetto art. 21, i ricorrenti sostengono che, “se si parte dal presupposto che il contratto di leasing tra le parti sia un leasing traslativo e che quindi alla fattispecie per cui è causa debba applicarsi l’art. 1526 c.c.”, non è condivisibile la posizione della Corte di Appello che ha ritenuto legittima la clausola pattizia n. 21, atteso che la stessa attribuisce al concedente “un vantaggio spropositato, superiore a quello che avrebbe ottenuto con l’adempimento del contratto”, e non è dunque conforme alla disciplina dell’art. 1526 c.c.;
il motivo è inammissibile per difetto di concreto interesse, in quanto è formulato sul presupposto della natura traslativa del leasing che – tuttavia – la Corte ha ritenuto non provato con statuizione non adeguatamente censurata (per quanto detto in relazione al terzo motivo), attingendo pertanto considerazioni che la Corte ha svolto in modo meramente ipotetico (“anche ammettendo l’applicabilità analogica…”) e che non costituisce – a ben vedere – la ratio effettiva su cui è fondata la decisione;
le spese di lite seguono la soccombenza;
sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020
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