LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24188/2018 proposto da:
I.P., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato, Tassinari Rosaria, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma, via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3299/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/06/2018;
udita la relazione della causa svota nella camera di consiglio del 24/05/2019 dal consigliere Dott. VELLA PAOLA.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto dal cittadino pakistano I.P., musulmano sunnita originario del *****, avverso l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. con cui il Tribunale di Napoli aveva respinto la domanda di riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria, presentata per problemi persecutori di matrice religiosa, legati alla sua frequentazione con un credente quadiano, del cui omicidio era stato ingiustamente accusato.
2. Il ricorrente ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione, cui il Ministero intimato ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo si deducono violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5,6 e 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27; artt. 2 e 3 CEDU, nonchè difetto di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame di fatti decisivi, per non avere la Corte d’appello valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, nè minimamente argomentato sui fatti e sulla copiosa documentazione prodotti dal richiedente a supporto delle proprie domande, così violando il principio dell’onere della prova attenuato.
4. Con il secondo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), con riguardo alla protezione sussidiaria invocata per la situazione di violenza indiscriminata esistente nel Paese d’origine.
5. Il terzo prospetta invece la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riguardo alla valutazione dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
6. Il primo motivo è fondato, come assorbimento dei restanti due.
7. La Corte territoriale, dopo aver rilevato la genericità dell’appello, è comunque entrata nel merito della vicenda, limitandosi però a definire “fantasioso quanto stereotipato” il racconto del richiedente, per desumerne apoditticamente che questi “non sembra sia mai stato a rischio di persecuzione” e che la genericità del racconto “rende anche impossibile l’esercizio di poteri istruttori ufficiosi”; con la medesima ellitticità ha affermato che “non vi è spazio neppure per la protezione umanitaria, di cui neppure sono indicati i presupposti, nè vi sono elementi per desumerne la sussistenza, anche d’ufficio, alla stregua dei rigorosi criteri di cui a Cass. 4455/18”.
8. Una simile motivazione non supera il vaglio di legittimità. Invero, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi al “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Sez. U, 8053/2014).
8.1. Nel caso di specie, la motivazione risulta meramente apparente, tale essendo quella che, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U., 22232/2016).
9. Vale la pena di ricordare che nel giudizio sulla protezione internazionale assumono particolare rilievo l’onere probatorio attenuato del richiedente e il dovere di cooperazione officiosa nell’acquisizione e valutazione della prova (artt. 10-16 direttiva 2013/32/UE; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27), con conseguente attenuazione del principio dispositivo in funzione del principio di tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e ribadito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Cass. 11564/2015 e 21255/2013).
9.1. In particolare, l’art. 46 della direttiva 2013/32/UE prevede che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare al richiedente protezione internazionale o sussidiaria un rimedio effettivo dinanzi ad un giudice, attraverso “l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE, quanto meno nei procedimenti di impugnazione del giudice di primo grado”.
9.2. Ne consegue che, sebbene “il richiedente sia tenuto a produrre tutti gli elementi necessari a motivare la domanda, spetta tuttavia allo Stato membro interessato cooperare con tale richiedente nel momento della determinazione degli elementi significativi della stessa. Tale obbligo di cooperazione in capo allo Stato membro implica, pertanto, concretamente che, se, per una qualsivoglia ragione, gli elementi forniti dal richiedente protezione internazionale non sono esaustivi, attuali o pertinenti, è necessario che lo Stato membro interessato cooperi attivamente alla procedura per consentire di riunire tutti gli elementi atti a sostenere la domanda. Peraltro, uno Stato membro riveste una posizione più adeguata del richiedente per l’accesso a determinati documenti” (Corte giust. C277/11, p. 65).
9.3. Anche la Corte EDU, tenuto conto “della natura irreversibile del danno che può essere causato nell’ipotesi di realizzazione del rischio tortura o maltrattamenti”, rileva che “l’effettività di un ricorso ai sensi dell’art. 13 della Convenzione richiede imperativamente un attento controllo da parte di un’autorità nazionale, un esame autonomo e rigoroso di ogni censura secondo la quale vi è motivo di credere a un rischio di trattamento contrario all’art. 3” (CEDU, 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, par. 293).
9.4. Sulla base dei riferiti principi, la giurisprudenza di questa Corte si è orientata nel senso che: i) il dovere di cooperazione istruttoria va posto in correlazione alla valutazione di credibilità soggettiva del richiedente, la quale però non è rimessa alla mera opinione del giudice, dovendo essere il risultato di una valutazione compiuta non già sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi di quanto narrato dal richiedente, bensì secondo la griglia predeterminata di criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. 26921/2017, 8282/2013, 24064/2013, 16202/2012); ii) ove non sia accertato il difetto di credibilità, nei termini appena indicati, sussiste il potere-dovere di cooperazione istruttoria del giudice, finalizzato ad acquisire ex officio una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. 19716/2018); iii) una volta che il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare, anche d’ufficio, se ed in quali limiti si registrino nel Paese straniero d’origine le problematiche dedotte e i rischi paventati (Cass. 17069/2018); iv) spetta al giudice della protezione internazionale il compito di colmare le lacune informative, avendo egli l’obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta – soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le indicazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, – e verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, ove astrattamente sussumibile nelle tipologie tipizzate di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rientro al momento della decisione (Cass. 7333/2015, 14998/2015, 17576/2017); v) il giudice non deve valutare nel merito la fondatezza dell’eventuale accusa allegata dal richiedente, ma deve accertare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2 e art. 14, lett. c), se tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo Paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero (Cass. 2875/2018).
10. Non avendo rispettato tali principi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, affinchè si proceda a nuova valutazione sulla base dei criteri sopra indicati, oltre che alla statuizione sulle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020