Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.89 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14149/2018 proposto da:

A.T., elettivamente domiciliato in Brescia, alla Via Aldo Moro, n. 13, presso lo studio dell’avv.to Laura Lamberti, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 555/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Brescia, con ordinanza depositata l’8 giugno 2016, rigettò la domanda, proposta da A.T. con ricorso D.Lgs. n. 25 del 1998, ex art. 35, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 e art. 702-bis c.p.c., di riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno di tale domanda, il richiedente aveva esposto di essere nato ad *****, *****, nel sud della Nigeria; di aver prestato la propria attività lavorativa come idraulico dapprima alle dipendenze di un datore di lavoro e, in seguito all’ingresso in una confraternita cultista, come lavoratore autonomo; di aver deciso di staccarsi da detta confraternita allorchè questa aveva intrapreso una guerra nei confronti di un’altra, ma che gli aderenti lo avevano cercato per ucciderlo. Egli aveva deciso allora di fuggire al nord-est del Paese con la propria fidanzata, stabilendosi a *****. Qui i due si erano imbattuti in un gruppo di persone armate e vestite con abiti militari, dalle quali erano fuggiti. Durante la fuga la fidanzata era stata uccisa, ed egli si era nascosto in una foresta per cinque giorni, fino a quando il 2 giugno 2013 era stato trovato da una persona che lo aveva condotto con sè in Libia, dopo avergli curato le ferite. Qui, per sfuggire ad un uomo che intendeva intrattenere con lui rapporti sessuali, si era diretto verso il porto ed era salito su di un gommone, a bordo del quale, insieme ad altre persone, aveva raggiunto l’Italia il 19 settembre 2014. Aveva dedotto il richiedente che, in caso di rientro in Nigeria, avrebbe subito la persecuzione degli aderenti alla confraternita di cui aveva fatto parte. Secondo il Tribunale adito, detta narrazione, sfornita di alcun supporto probatorio, era inattendibile: in particolare, era inverosimile la circostanza della partenza per *****, città in cui le incursioni di ***** erano frequenti e quindi pericolose per un cristiano. Nè erano state chiarite le circostanze in cui era stata uccisa la fidanzata del richiedente.

2. – L’ordinanza di rigetto delle domande fu impugnata da A.T. innanzi alla Corte d’appello di Brescia, che, con sentenza del 29 marzo 2016, rigettò il gravame. Il giudice di secondo grado confermò la valutazione del Tribunale in ordine alla inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, sottolineandone in particolare la non veridicità con riguardo al dedotto pericolo per la sua incolumità in caso di rientro in Nigeria. Osservò al riguardo la Corte di merito che da fonti informatiche (IRB Immigration and Refugee Board of Canada) risultava che il reclutamento delle confraternite avvenisse per lo più nelle università e comunque fra strati sociali più avanzati di quello cui apparteneva il richiedente. Nè costui aveva riferito sui tempi e le modalità dell’ammissione alla confraternita, sul numero delle riunioni cui avrebbe partecipato e sull’oggetto delle stesse. Inoltre, la Corte di merito giudicò strano che per sfuggire ad un pericolo A.T. avesse deciso di recarsi proprio nel nord-est del Paese, ove gli attacchi di ***** erano più frequenti. Parimenti poco credibile, in quanto non circostanziato, apparve alla Corte il racconto dell’inseguimento del richiedente e della sua fidanzata da parte dei guerriglieri di *****, che in genere si scontravano invece con le Forze di Polizia. Ed ancora inverosimile risultava la circostanza della fuga nella foresta ove A.T. avrebbe trovato riparo e sarebbe stato poi aiutato da una persona che lo avrebbe condotto con sè in Libia, così come quella della quasi casuale fuga in Italia, che, al contrario, richiede una programmazione da parte di organizzazioni criminali prezzolate per effettuare il trasporto.

3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre A.T. affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e/o falsa applicazione D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si contesta, con riguardo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, il giudizio di inattendibilità della narrazione dell’attuale ricorrente operato dalla Corte di merito. In particolare, si esclude la esattezza della affermazione secondo la quale le confraternite recluterebbero adepti nelle università e negli strati sociali più avanzati, potendo, invece, il reclutamento avvenire in tutte le classi sociali, ed avendo il richiedente dichiarato di aver aderito al gruppo dietro la promessa che tale adesione gli avrebbe procurato maggiore clientela. Nè poteva essere addebitata al ricorrente l’assenza di domande specifiche al riguardo da parte della Commissione Territoriale o del Tribunale, lacuna che, peraltro, avrebbe potuto colmare lo stesso giudice di sec***** grado. Quanto alla scelta di recarsi a *****, il ricorrente fa presente che detta città non era stata dichiarata zona vietata. Aggiunge di non aver mai riferito di essere stato attaccato dal gruppo *****, circostanza ritenuta, invece, dalla Corte di merito, che da essa aveva tratto un giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, avuto riguardo alla pericolosità della zona proprio per effetto degli attacchi di detto gruppo. Infine, il ricorrente cita fonti internazionali che danno conto della insicurezza della zona di cui si tratta a causa della minaccia rappresentata dal gruppo terroristico islamico *****.

2. – La doglianza è inammissibile. Essa, infatti, pur formalmente riferita a violazioni di legge, si risolve sostanzialmente in censura di fatto, essendo volta a conseguire una rivisitazione del merito della vicenda processuale, non consentita nel presente giudizio di legittimità. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, pur vanamente evocato dal ricorrente.

Nella specie, il giudice di secondo grado ha ampiamente ed adeguatamente motivato in ordine alla ritenuta inattendibilità della narrazione del ricorrente circa i motivi che lo avrebbero indotto ad abbandonare il suo Paese, elencando le ragioni che ostavano alla sua credibilità, ed, in particolare, facendo riferimento agli strati sociali di reclutamento di adepti da parte delle confraternite; alla mancata specificazione, nel racconto del ricorrente, delle modalità della sua ammissione alla confraternita di cui si tratta; alla singolarità della scelta di trovare rifugio nella parte più pericolosa del Paese; alla mancanza di alcun dettaglio in ordine all’inseguimento da parte dei guerriglieri e all’uccisione della fidanzata del ricorrente; alla inverosimiglianza della circostanza della fuga nella foresta e dell’aiuto fornito da uno sconosciuto che avrebbe condotto in Libia A.T., così come della improvvisata fuga in Italia. A tali doviziose argomentazioni il ricorrente si limita a contrapporre la sua versione dei fatti, richiamandosi poi a fonti internazionali che non fanno che confermare quel giudizio di minaccia alla sicurezza rappresentato nella zona di cui si tratta dal gruppo terroristico ***** che già la Corte di merito aveva formulato, deducendo proprio da tale elemento l’apprezzamento di non verosimiglianza della scelta dell’attuale ricorrente di trasferirsi colà.

3. – Con il secondo motivo si lamenta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5)”. Il ricorrente contesta il mancato riconoscimento in suo favore della protezione umanitaria alla luce della considerazione delle sue condizioni di salute, rappresentate alla Corte di merito e comprovate da documentazione medica. Infatti, gli era stato diagnosticato un glaucoma nell’occhio destro per il quale stava seguendo una terapia, con programmazione di ulteriori visite mediche: una patologia confermata anche con riferimento all’attualità, come confermato dalla documentazione prodotta nel presente giudizio.

4. – La censura non può trovare ingresso nel presente giudizio, in quanto la deduzione del fatto ritenuto decisivo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria risulta tardiva, siccome avvenuta solo in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di secondo grado.

5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo il Ministero intimato svolto alcuna attività difensiva. Si dà atto che non sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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