LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –
Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –
Dott. MELE Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23171/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
ALIOTO GROUP SRL (C.F. *****), rappresentato e difeso dagli Avv.ti CRISTINA ZUNINO, VALENTINA PICCO e MARIA ANTONELLI, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, Piazza Gondar, 22;
– controricorrente –
e sul ricorso iscritto al n. 9496/2017 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
ALIOTO GROUP SRL (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti CRISTINA ZUNINO, VALENTINA PICCO e MARIA ANTONELLI, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, Piazza Gondar, 22
– controricorrente –
avverso le sentenze della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 1042/5/14 depositata il 3 ottobre 2014 e n. 511/3/16 depositata in data 7 aprile 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 marzo 2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.
RILEVATO
CHE:
Come risulta dagli atti del procedimento n. 23171/2015 R.G., la società ricorrente, in qualità di società importatrice di cavi di acciaio dalla Corea del Sud, ha impugnato sette avvisi suppletivi e di rettifica dell’Ufficio delle Dogane di La Spezia, relativi a dichiarazioni di importazione definitiva di cavi in acciaio dell’anno 2006 (analiticamente indicate nella sentenza impugnata) con i quali, sulla base di una informativa OLAF, è stata disconosciuta l’origine sudcoreana della merce importata e ne è stata dichiarata l’origine cinese, con applicazione di dazi antidumping;
che la CTP di La Spezia ha accolto il ricorso, ritenendo insufficiente l’informativa OLAF e la CTR della Liguria, con sentenza depositata in data 3 ottobre 2014, ha rigettato l’appello, evidenziando:
– che non è stato effettuato alcun controllo sul certificato di origine che accompagnava la merce importata; che nel caso di specie si tratta di certificati di origine preferenziale;
– che non può ritenersi raggiunta la prova della falsità del certificato di origine in quanto, trattandosi di certificati di origine preferenziale, non è sufficiente l’informativa OLAF al fine di determinare la falsità dei certificati, dovendosi far luogo alla cooperazione amministrativa, sottoponendo ogni singola importazione al controllo della dogana del Paese di esportazione;
– che in materia doganale trova applicazione la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, in tema di contraddittorio anticipato e che il mancato rispetto del termine di sessanta giorni previsto da tale norma ingenera lesione di diritto di difesa della parte contribuente;
– che non è stata fatta applicazione nel caso di specie del principio della buona fede di cui all’art. 220 Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92;
che propone ricorso per cassazione l’Ufficio con cinque motivi cui resiste la società contribuente con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.;
che dagli atti del procedimento n. 9496/2017 R.G. risulta che con riferimento alle medesime dichiarazioni di importazione doganale di cavi di acciaio di origine sudcoreana, l’Ufficio delle Dogane ha emesso atti di contestazione di sanzioni;
che la importatrice ALIOTO GROUP SRL ha impugnato gli atti di contestazione e che la CTP di La Spezia ha accolto il ricorso e la CTR della Liguria, con sentenza del 7 aprile 2016, ha rigettato l’appello, rilevando che la CTR aveva annullato gli avvisi di rettifica e che, pur essendo tale sentenza non definitiva, dovevano ritenersi venuti meno i presupposti per l’irrogazione delle sanzioni conseguenti agli accertamenti annullati non definitivamente;
che propone ricorso l’Ufficio con due motivi di ricorso, cui resiste l’importatrice con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO
CHE:
quanto al ricorso iscritto al n. 23171/2015 R.G.:
– con il primo motivo l’Ufficio ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli artt. 2697 c.c. e agli artt. 22, 26 Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92 (C.D.C.), nonchè violazione degli artt. 93 – 94 del Reg. (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454/93 (D.A.C.), nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’avviso di accertamento, in quanto basato sull’informativa OLAF, non avesse fondamento; rileva l’Ufficio che la CTR abbia erroneamente ritenuto l’origine preferenziale della merce, laddove la merce era in concreto estranea al regime delle preferenze secondo quanto risultante dalla documentazione in atti; pertanto, vertendosi in materia di merci di origine non preferenziale, non sarebbe obbligatorio il procedimento di cooperazione amministrativa a termini degli artt. 93 e ss. D.A.C., non essendo sorta alcuna legittima aspettativa circa la reale origine delle merci importate;
– con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 12 Reg. (CE) del 13 marzo 1997, n. 515/97, nonchè in relazione al Reg. (CE) del 25 maggio 1999, n. 1073/99, laddove la CTR afferma l’insufficienza delle informative OLAF ai fini della prova della falsità dell’origine delle merci importate e la necessità di attivare preventivamente la cooperazione amministrativa; rileva l’Ufficio come dall’indagine OLAF emerge che i certificati di origine sarebbero ideologicamente falsi per cui, non essendovi dubbio sulla falsità dei suddetti certificati, non sarebbe necessario nel caso di specie optare preventivamente per la cooperazione amministrativa; rileva, inoltre, come anche le relazioni provvisorie dell’OLAF costituiscano adeguati strumenti di prova nei procedimenti giudiziari a termini dell’art. 12 Reg. (CE) n. 515/97;
– con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della L. 20 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, nonchè del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto necessaria la instaurazione di un contraddittorio preventivo; la violazione di tali disposizioni sussisterebbe sia in relazione alla assenza, nella specie, di una verifica ispettiva in loco, sia in quanto tale disposizione non sarebbe applicabile alla materia doganale, come indirettamente ricavabile dalla novella legislativa della suddetta disposizione conseguente all’entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27;
– con il quarto motivo lamenta error in procedendo a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR omesso di valutare le ragioni per le quali non sussisterebbero i presupposti per fare applicazione del principio della buona fede di cui all’art. 220 Reg. (CEE) n. 2913/92;
– con il quinto motivo lamenta violazione di legge in relazione all’art. 220 Reg. (CEE) n. 2913/92, non avendo il giudice di appello accertato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della suddetta disposizione, con particolare riferimento alla sussistenza dell’errore attivo dell’autorità doganale competente, all’impossibilità per la parte di accorgersi di tale errore e al rispetto delle prescrizioni formali per il compimento dell’operazione doganale;
che quanto al ricorso iscritto al n. 9496/2017 R.G.:
– con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l’annullamento dell’atto di irrogazione delle sanzioni sul presupposto della non definitività della sentenza che ha annullato l’avviso di accertamento; sostiene il ricorrente che l’annullamento dell’atto di irrogazione delle sanzioni avrebbe potuto far seguito solo a un annullamento definitivo dell’atto presupposto;
– con il secondo motivo il ricorrente denuncia error in procedendo in relazione all’art. 295 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha proceduto a sospendere il giudizio in attesa della definitività della pronuncia relativa all’impugnazione dell’atto presupposto costituito dall’avviso di accertamento e rettifica;
che appare opportuno procedere preliminarmente, a termini dell’art. 274 c.p.c., alla riunione dei due procedimenti per connessione soggettiva e oggettiva, in base al principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass., Sez. U., 4 agosto 2010, n. 18050; Cass., Sez. U., 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27550);
che sussiste connessione soggettiva e oggettiva, trattandosi nel secondo procedimento di sanzioni relative ad avvisi di accertamento oggetto del primo procedimento;
che appare preliminare l’esame del ricorso iscritto al n. 23171/2015 R.G. avente ad oggetto gli avvisi di accertamento;
che la censura del ricorrente secondo cui il giudice di appello avrebbe erroneamente qualificato le merci importate di cui agli avvisi di accertamento impugnati quali merci di origine preferenziale, laddove le stesse (cavi di acciaio di origine sudcoreana) costituirebbero merci di origine comune o commerciale è inammissibile per difetto di specificità in relazione al riferimento alla “documentazione depositata in giudizio”;
che, in ogni caso, la circostanza dell’origine comune o preferenziale delle merci importate è del tutto irrilevante nel caso di specie, posto che la stessa sentenza impugnata dà atto che la società esportatrice, fornitore dell’attuale controricorrente è espressamente menzionata nella “nota delle autorità doganali sud coreane acquisita negli atti dall’OLAF (…) inerente l’esito delle indagini svolte sui cavi di acciaio di origine cinese, è risultata riesportare cavi in acciaio di origine cinese”;
che se, in linea di principio, il procedimento di revisione doganale con recupero a posteriori dei dazi su merci di origine preferenziale presuppone l’attivazione preventiva del procedimento di cooperazione amministrativa ai fini della invalidazione da parte dell’autorità emittente del Paese di esportazione del certificato di origine preferenziale delle merci (Cass., Sez. V, 25 gennaio 2019, n. 2148), essendo l’amministrazione doganale dello Stato di importazione tenuta a riconoscere le valutazioni effettuate secondo la legge dalle autorità dello Stato di esportazione (Corte di Giustizia UE, 9 febbraio 2006, Sfakianakis, C-23/04 a C-25/04, punto 23; Corte di Giustizia UE, 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C-409/10, punto 29), ciò non avviene ove non vi sia ragionevole dubbio sulla falsità dei certificati di origine; si è, difatti, evidenziato che “il legislatore dell’Unione richiede difatti a tal fine la sussistenza di un “ragionevole motivo di dubitare dell’autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o dell’osservanza degli altri requisiti” (art. 94 Reg. n. 2454/93, relativo ai certificati di origine, nonchè, nei medesimi termini, art. 122 medesimo Reg., quanto ai certificati di circolazione delle merci EUR 1, nel testo modificato dal Reg. n. 1602/00, applicabile all’epoca dei fatti). Nè (…) l’acquisizione della certezza della falsità postula comunque l’espletamento della procedura” (Cass., Sez. V, 3 maggio 2019, n. 11631);
che, pertanto, nel caso in cui non sussistano dubbi sulla falsità del certificato di origine, ancorchè preferenziale, l’Ufficio può basarsi su ulteriori elementi al fine di inferire l’origine ignota della merce, ancorchè asseritamente di origine preferenziale (nel caso in cui ritenga violata come nella specie la regola del trasporto diretto, anche ai fini dell’applicazione del dazio antidumping), in assenza di un procedimento volto ad accertarne la falsità ideologica, purchè l’adozione delle misure recuperatorie sia legittimata anche solo in base alle risultanze delle indagini effettuate dagli organi ispettivi dell’unione Europea (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2013, n. 24439);
che, nel caso di specie, la sentenza impugnata non contesta le risultanze dell’informativa OLAF, limitandosi ad affermare che non risulta effettuato da parte dell’Agenzia delle Dogale della Spezia alcun controllo sul certificato d’origine e che “a seguito delle Informazioni dell’OLAF (…) la Dogana avrebbe dovuto attivare la cooperazione amministrativa sottoponendo al controllo della Dogana Sud Coreana la documentazione presentata per ogni singola importazione”;
che, invero l’assenza di dubbio sulla falsità dei certificati di origine emerge dalla stessa sentenza impugnata, ove ci si riferisce all’informativa INF AM S1 2008 dell’OLAF, che menziona la citata “nota delle autorità doganali sudcoreane acquisita agli atti dall’OLAF con prot. N. 977 del 23/01/2008” ove si dà atto che l’esportatore dal quale si è rifornita l’attuale controricorrente “è risultata riesportare cavi in acciaio di origine cinese”, con violazione della regola del trasporto diretto, senza, appunto, forme in dubbio di contenuto;
che non può sorgere dubbio alcuno sulla valenza probatoria in sede giurisdizionale degli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF ai sensi del Regolamento (CE) n. 1073/1999, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria (Cass., Sez. V, 21 aprile 2017, n. 10118; Cass., Sez. V, 3 agosto 2012, n. 14036; Cass., Sez. V, 27 luglio 2012, n. 13496; Cass., Sez. V, 2 marzo 2009, n. 4997; Cass., Sez. V, 24 settembre 2008, n. 23985), tanto che tali accertamenti possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento (Cass., Sez. V, 8 marzo 2013, n. 5892);
che la motivazione degli avvisi di accertamento può avvenire anche per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dall’autorità ispettiva, nè l’ufficio viene meno all’onere di una autonoma valutazione degli elementi acquisiti in sede ispettiva, in quanto si limita a condividere le motivazioni espresse dall’autorità ispettiva (Cass., Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 32957; Cass., Sez. VI, 4 giugno 2018, n. 14275; Cass., Sez. V, 23 febbraio 2018, n. 4396);
che tali conclusioni possono essere estese anche alle altre relazioni ispettive OLAF, posto che tutti gli accertamenti compiuti dall’OLAF hanno rilevanza probatoria nell’Unione Europea in forza di quanto previsto dal Reg. (CE) n. 1073/1999 (applicabile al caso di specie), poichè non solo l’art. 9, citato Reg., comma 1, riconosce efficacia probatoria privilegiata ai fatti accaduti in presenza degli ispettori (il medesimo art., comma 2, stabilisce l’equipollenza della relazione redatta al termine delle indagini a quella redatta agli ispettori amministrativi dello Stato membro), ma anche l’art. 9, comma 3, e l’art. 10, comma 1 (che prevedono la trasmissione alle autorità degli Stati membri interessati, rispettivamente, di “ogni documento utile” acquisito, nonchè della comunicazione di “qualsiasi informazione” ottenuta nel corso delle indagini), inducono a ritenere utilizzabili anche altre fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dal suddetto organismo antifrode, e quindi anche dei verbali delle operazioni di missione (Cass., Sez. V, 27 luglio 2012, n. 13496);
che i due primi motivi di ricorso vanno, pertanto, accolti con l’enunciazione del seguente principio di diritto: “in caso di preferenze tariffarie generalizzate non è obbligatorio il ricorso alla cooperazione amministrativa con lo Stato di esportazione a termini del Reg. (CEE) del 2 luglio 1993, n. 2454/93 laddove le autorità doganali dello Stato di importazione non nutrano dubbi sull’origine reale delle merci, ancorchè fondati su una informativa dell’OLAF, nonostante tali certificati d’origine non siano stati dichiarati invalidi”;
che il terzo motivo è parimenti fondato, posto che il principio di audizione preventiva non costituisce una prerogativa assoluta, sicchè tale principio può ritenersi rispettato ove “la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’art. 244 C.D.C., senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato” (Corte di Giustizia UE, 20 dicembre 2017, Preqù, C-276/16); principio che può essere oggetto di restrizioni, posto che “una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, cit.; Corte di Giustizia UE, 14 febbraio 1990, Rep. Francese, C-301/87, punto 31; Corte di Giustizia UE, 5 ottobre 2000, Rep. Fed. di Germania, C-288/96, punto 101; Corte di Giustizia UE, 2 ottobre 2003, Thyssen, C-194/99, punto 31; Corte di Giustizia UE, 1 ottobre 2009, Foshan, C-141/08, punto 94);
che, in ogni caso, “una violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa comporta l’annullamento della decisione di cui trattasi soltanto quando, senza tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato differente” (sentenza Kamino, cit.), dovendo il contribuente assolvere “l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato” (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. V, 15 marzo 2013, n. 6621; Cass., Sez. VI, 23 maggio 2018, n. 12832);
che la disciplina sopravvenuta all’entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha introdotto il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 4-bis, non trova applicazione retroattiva, come non trova applicazione in materia doganale il L. 20 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7 (Cass., Sez. VI, 23 maggio 2018, n. 12832), essendo la disciplina doganale regolata ratione temporis dalla disposizione di diritto speciale costituita dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, commi 1, 5 – 7, 8, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio in un momento comunque anticipato rispetto alla impugnazione in giudizio del suddetto avviso, potendo l’interessato, entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, contestare la rettifica, procedendosi alla redazione di apposito verbale dall’Ufficio doganale, ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dagli artt. 66 e ss. T.U.L.D. (Cass., Sez. V, 1 ottobre 2018, n. 23669);
che il quarto motivo, avente ad oggetto la nullità della sentenza per motivazione apparente è fondato e va accolto con conseguente assorbimento del quinto motivo, essendosi la sentenza impugnata limitata a dare atto della “mancata applicazione dell’art. 220 C.D.C. essendo ricorrente nel caso in esame l’art. 220 C.D.C., comma 2, lett. b)”; motivazione nulla ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto meramente apparente, non costituente espressione di un autonomo processo deliberativo (Cass., Sez. Lav., 25 ottobre 2018, n. 27112);
che, quanto al primo motivo di ricorso n. 9496/2017 R.G. lo stesso è fondato e va accolto, dovendo essere cassata con rinvio la sentenza che decida la causa pregiudicata (nella specie, avente ad oggetto il provvedimento d’irrogazione di sanzioni) in base alla decisione, non ancora passata in giudicato, della causa pregiudiziale (nella specie, consistente nell’annullamento dell’accertamento dei maggiori utili della società di capitali, presupposto delle sanzioni applicate), atteso che i principi del giudicato esterno consentono di attribuire efficacia riflessa alle sole sentenze definitive (Cass., Sez. V, 7 agosto 2015, n. 16615);
che è assorbito, per effetto della riunione dei procedimenti, l’esame del secondo motivo del secondo ricorso;
che i due ricorsi dell’Ufficio vanno, pertanto, accolti in relazione ai sunteggiati motivi, con rinvio alla CTR della Liguria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, dispone la riunione del ricorso n. 9496/2017 R.G. al ricorso n. 23171/2015 R.G.; accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso n. 23171/2015 R.G. e dichiara assorbito il quinto motivo, accoglie il primo motivo del ricorso n. 9496/2017 R.G. e dichiara assorbito il secondo motivo; cassa le sentenze impugnate con rinvio alla CTR della Liguria in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020
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