LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22133-2017 proposto da:
T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO COMO;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA, NICOLA VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, LUIGI CALIULO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 604/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 20/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO RIVERSO.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’appello di Messina, con la sentenza n. 604/2017, ha rigettato l’appello dell’INPS avverso la sentenza che aveva riconosciuto l’assegno ordinario in favore di T.F. ed ha compensato le spese per metà sostenendo che fossero sussistenti giusti motivi richiesti dalla normativa dell’epoca in considerazione dell’esito del giudizio e la decorrenza riconosciuta della richiesta indennità.
Contro la sentenza T.F. ha proposto ricorso per cassazione un motivo illustrato da memoria, al quale ha resistito l’INPS con controricorso.
E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente alla fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte disposto la compensazione di metà delle spese senza alcun legittimo presupposto.
Il motivo è fondato. La Corte d’appello, in seguito a ctu, ha rigettato l’appello dell’INPS confermando la sentenza di primo grado sia per la sussistenza dello stato di invalidità (contestato dall’INPS), sia per la decorrenza (fissata anche in appello nel luglio del 2011). E’ del tutto evidente quindi che in appello l’odierno ricorrente fosse stato totalmente vittorioso (e l’INPS totalmente soccombente) e che pertanto non sussistesse alcuna legittima ragione per disporre la compensazione; salvo voler ritenere, a torto, che chi sia parzialmente soccombente in primo grado non possa poi essere ritenuto totalmente soccombente rispetto al giudizio di appello.
Del resto non può valere in contrario il richiamo alla decorrenza della prestazione da epoca successiva a quella della domanda amministrativa o all’esito complessivo della lite – già fissati in primo grado – quando invece in appello i motivi di gravame sono stati ritenuti integralmente infondati. Infatti come questa Corte ha già affermato (Sez. 6 Ordinanza n. 18156 del 15/09/2016) si tratta quindi di motivi inidonei allo scopo in quanto ” data l’infondatezza dei motivi di gravame, si determinerebbe una sostanziale soccombenza della parte vittoriosa, con lesione dei suoi diritti di difesa.” Mentre il principio dell’esito complessivo della lite può valere nel caso in cui vi siano variazioni tra primo e secondo grado, ma non quando l’appello è totalmente infondato (Cass. 9064 del 12/04/2018; n. 15483 del 11/06/2008; n. 14563 del 30/05/2008).
La sentenza deve essere quindi cassata e la causa decisa nel merito con attribuzione al ricorrente dell’intera somma già liquidata dalla Corte d’Appello a titolo di spese processuali (Euro 3777), esclusa quindi qualsiasi compensazione.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
Non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito determina le spese processuali spettanti in sede di appello nella misura dell’intero importo già ivi liquidato. Condanna l’INPS alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 1700, di cui Euro1500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 maggio 2019.
Depositato in cancelleria il 17 gennaio 2020