LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18104-2018 proposto da:
J.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO BANCHINI;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 410/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/04/2018, R. G. N. 744/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/10/2019 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del ricorso;
udito l’Avvocato FRANCESCO BANCHINI;
udito l’Avvocato GIANNI GAETANO per delega verbale avvocato ARTURO MARESCA.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza in data 10 aprile 2018, la Corte d’appello di Bologna rigettava il reclamo proposto da J.A. (dipendente dal 1983 di Poste Italiane s.p.a., che dal novembre 1999 al luglio 2014 era stato assegnato al servizio commerciale prima come coordinatore e poi responsabile della filiale di *****, quindi direttore dell’ufficio postale *****) avverso la sentenza di primo grado, che, in accoglimento dell’opposizione datoriale avverso l’ordinanza ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49 accertava la legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 28 settembre 2015, rigettando l’impugnazione del lavoratore e le sue conseguenti domande di condanna reintegratoria e risarcitoria.
A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la tardività della contestazione disciplinare (con lettera del 3 agosto 2015), in applicazione del principio di “immediatezza relativa”, tenuto conto della delicatezza e complessità degli accertamenti e dell’arco temporale (tra il 28 dicembre 2012 e il 16 ottobre 2014) di emissione di carte prepagate *****, alla luce della tempistica osservata dalla società datrice in relazione alla conoscenza avuta della perquisizione domiciliare del 6 febbraio 2015 nel procedimento penale a carico di J.A.; ed essa negava pure la violazione del suo diritto di difesa per la mancata audizione personale richiesta, a causa di assenza per malattia nelle due date fissategli, senza che peraltro il lavoratore comunicasse ulteriori giustificazioni scritte, sebbene a ciò invitato dalla società datrice. Nel merito, la Corte felsinea accertava siccome provato, in esito ad attento e argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, l’addebito disciplinare contestato di abuso della posizione gerarchica sovraordinata nell’induzione di alcuni colleghi, quanto meno dal 14 luglio 2014 in quanto direttore dell’ufficio postale *****, all’attivazione di sette (delle cinquanta) carte prepagate *****, tutte rinvenute nella perquisizione domiciliare ed emesse in violazione della procedura interna, in particolare in assenza degli intestatari o comunque senza la loro volontà. Essa riteneva tale comportamento, di grave inadempimento agli obblighi contrattuali, in contrasto con il codice etico aziendale e integrante il reato di uso indebito di carta di pagamento o di credito senza esserne titolare (D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9) nei confronti di S.A. (che aveva poi rimesso la querela), in violazione dell’art. 52 e, per assimilazione, di alcune ipotesi dell’art. 54 (lett. a, c, k) CCNL Poste, così da costituire giusta causa di licenziamento.
Con atto notificato il 6 giugno 2016, il lavoratore ricorreva per cassazione avverso tale sentenza con diciannove motivi, cui resisteva la società con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115,116 c.p.c., dell’art. 2119 c.c., per la ritenuta irrilevanza della presenza dei soggetti titolari delle carte prepagate ***** nei locali dell’ufficio postale, ma non allo sportello per consentire all’addetto la loro identificazione prima dell’attivazione, invece avvenuta (in quanto fase diversa da questa) davanti allo stesso lavoratore, quale direttore dell’ufficio a ciò legittimato, in conformità delle disposizioni del Manuale Operativo e della normativa di legge, prescrittiva dell’identificazione e della verifica dell’identità del cliente prima dell’instaurazione del rapporto continuativo (quale è quello in oggetto) o dell’esecuzione dell’operazione, comportante errore di percezione del contenuto oggettivo della prova.
2. Con il secondo, egli deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, quali le disposizioni di Banca d’Italia attuative del D.Lgs. n. 231 del 2007 (in ordine all’identificazione del titolare di un rapporto senza necessità della sua presenza fisica) e l’interpretazione del contenuto del manuale operativo.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2007, artt. 18,19,28,29,30 e relative disp. att. Banca d’Italia (G.U. S.G. n. 105 del 7 maggio 2013 S.O. n. 35), art. 9, comma 1 Direttiva Parlamento Europeo 2005/60/CE, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto irregolare la mancata identificazione, intesa come presenza fisica, dei titolari delle carte prepagate ***** da parte dell’addetto allo sportello all’atto della loro attivazione, essendo invece essa avvenuta prima, per la presenza dei predetti in altro locale dell’ufficio davanti al direttore, secondo la regolare procedura (articolata nelle due distinte fasi di identificazione e attivazione) prevista dalle norme denunciate.
4. Con il quarto, egli deduce violazione degli artt. 1362,2727,2697 e 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5 per inesistenza dell’abuso di posizione gerarchica e di induzione da parte del lavoratore, in assenza di una condotta illecita, esigente oltre a quello della irregolarità della procedura, un pregiudizio diverso, neppure allegato nè dimostrato da Poste Italiane s.p.a., ribadendo le previsioni legali regolanti l’identificazione e l’attivazione delle carte prepagate ***** e l’omessa considerazione dei poteri di identificazione del direttore dell’ufficio postale, non avendo la Corte territoriale considerato la questione interpretativa posta dalla norma interna del manuale operativo, nè tanto meno l’elemento intenzionale nel comportamento dell’agente, riguardante l’interpretazione della disposizione.
5. Con il quinto, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per illogicità manifesta, contraddittorietà e mera apparenza della motivazione, fondata su dichiarazioni testimoniali in ordine ad una prassi di attivazione e rilascio di carte prepagate in presenza degli interessati nell’ufficio postale di *****, nel quale il lavoratore non aveva avuto alcuna mansione, dalle quali la Corte aveva inferito l’irrilevanza della loro presenza nell’ufficio altrove che davanti allo sportello, senza alcuna specificazione in tale senso, neppure oggetto di addebito.
6. Con il sesto, egli deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 1,L. n. 300 del 1970, art. 18, art. 2119 c.c., art. 54 CCNL Poste Italiane 2011, per insussistenza del fatto contestato, per la conformità a legge della procedura osservata di identificazione e attivazione delle carte prepagate.
7. Con il settimo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 come novellato dalla L. n. 92 del 2012, artt. 2106 e 2727 ss. c.c., artt. 52 e 54 CCNL Poste, per omessa valutazione della sussistenza di una sanzione conservativa applicabile per le violazioni ascritte al lavoratore, nel rispetto del criterio di proporzionalità.
8. Con l’ottavo, egli deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 1,L. n. 300 del 1970, art. 18, art. 54 CCNL Poste, per difetto di prova dell’esistenza, oltre a quello della regolarità del servizio, di un pregiudizio diverso per Poste quale elemento di fattispecie ben esemplificato dalla graduazione di sanzioni stabilita dalle parti sociali, a giustificazione del ricorso alla sanzione espulsiva.
9. Con il nono, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., di ultrapetizione della sentenza in merito al ritenuto uso indebito dal lavoratore della carta prepagata di S.A., non oggetto della contestazione disciplinare, in cui contenuta la risultanza, nel periodo dal 13 settembre 2013 all’8 novembre 2014 di 24 somministrazioni con somme derivanti dal conto corrente intestato a “*****”, sul quale (oltre che su altro analogo) egli era legittimato ad operare.
10. Con il decimo, egli deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per errore di percezione della Corte territoriale nel ritenere la “prova immaginaria” di 24 “prelevamenti” presso vari ATM da parte del lavoratore, utilizzando la carta prepagata di S.A. (giocatore nella squadra di pallamano dell’associazione sportiva del primo), in luogo delle 24 somministrazioni di denaro (ricariche) contestate, riconosciute legittime dal Manuale ***** anche qualora effettuate da un terzo non titolare della carta.
11. Con l’undicesimo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, art. 6 CEDU, art. 111 Cost., comma 2, per violazione del principio del contraddittorio nell’avere la Corte territoriale fondato la decisione (anche) su trasferimenti di denaro o utilizzo di carte prepagate nè contestati, nè documentati.
12. Con il dodicesimo, egli deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7,L. n. 604 del 1966, art. 5, art. 24 Cost., art. 2119 c.c., per il rilievo d’ufficio dalla Corte territoriale dell’uso indebito da parte di J.A. della carta prepagata di S.A., nell’inosservanza dell’onere di prova datoriale e del diritto di difesa del lavoratore.
13. Con il tredicesimo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 24 e 111 Cost., per contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione nella sostituzione alla contestata utilizzazione della carta prepagata intestata ad S.A. per 24 somministrazioni di denaro (ossia di ricariche attinte dal conto corrente intestato ad associazione sportiva di J.) quella per 24 prelievi con la stessa, non oggetto di contestazione nè di documentazione.
14. Con il quattordicesimo, egli deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione nell’avere qualificato come “indebitamente” ottenuto dal lavoratore il rilascio delle carte ***** intestate a soggetti diversi da S.A., dando poi atto della conoscenza della loro emissione e così pure, in riferimento alla posizione di quest’ultimo, l’utilizzo di carta prepagata attivata dall’ufficio postale di *****, di cui era esclusa la falsificazione.
15. Con il quindicesimo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c. e ss., L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18, D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55 per assenza di gravità, precisione e concordanza dei fatti presuntivi ritenuti dalla Corte territoriale prova dell’uso indebito della carta prepagata intestata ad S.A..
16. Con il sedicesimo, egli deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 346 e 112 c.p.c., per extrapetizione per avere la Corte territoriale ritenuto il proprio uso indebito della carta prepagata intestata a S., non oggetto di contestazione disciplinare come reputato dal Tribunale “con enunciazione indiretta che sottende all’infondatezza dell’eccezione di Poste Italiane sull’uso indebito delle carte in quanto non oggetto di contestazione”, nonostante la mancata espressa riproposizione in appello.
17. Con il diciassettesimo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., artt. 52 – 54 CCNL Poste 2011, per esclusione della giusta causa di licenziamento in assenza di prova del dolo previsto dalle condotte di abuso, approfittamento e abuso sanzionate dalle norme contrattuali collettive, non riducibili alla supposta mera conoscenza della disposizione interna, piuttosto contando, tra l’altro, l’interpretazione datoriale datane.
18. Con il diciottesimo, egli deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18 art. 115 c.p.c., per tardività della contestazione, erroneamente esclusa dalla Corte territoriale, in applicazione del principio di immediatezza relativa, non giustificabile alla luce della tempestività di conoscenza dei risultati degli accertamenti, nè complessi nè delicati.
19. Con il diciannovesimo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 55 CCNL Poste Italiane 2011, L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 2119 c.c., per lesione del diritto di difesa, non essendo stato sentito personalmente, nonostante la propria espressa richiesta, a causa dello stato di malattia.
20. Secondo un corretto ordine di pregiudizialità logico-giuridica, occorre avviare l’esame dal diciottesimo motivo, relativo a violazione di legge per tardività della contestazione disciplinare.
20.1. Esso è inammissibile.
20.2. Premessa l’individuazione della ratio della regola di immediatezza della contestazione nella connessione dell’onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare (Cass. 17 dicembre 2008, n. 29480; Cass. 4 dicembre 2017, n. 28974), essa deve essere intesa in senso relativo a motivo delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), ferma la riserva di valutazione delle suddette circostanze al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. 12 gennaio 2016, n. 281; Cass. 26 giugno 2018, n. 16841).
20.3. La Corte territoriale ha correttamente richiamato (dall’ultimo capoverso di pg. 11 al sest’ultimo alinea di pg. 12 della sentenza) e applicato i suenunciati principi di diritto, in esito ad accertamento in fatto congruamente argomentato (dal sest’ultimo alinea di pg. 12 al quart’ultimo di pg. 13 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità.
21. Il diciannovesimo motivo, relativo a lesione dei diritto di difesa del lavoratore per mancata audizione personale, è infondato.
21.1. Giova preliminarmente ribadire che, in tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, ove quest’ultimo eserciti il proprio diritto di difesa chiedendo espressamente di essere sentito nei termini di legge, il datore di lavoro ha l’obbligo della sua audizione e l’accertamento che le modalità di convocazione del lavoratore non siano contrarie a buona fede o alla lealtà contrattuale è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. 16 ottobre 2013, n. 23528). Il lavoratore ha bensì diritto, avendone fatto richiesta, di essere sentito oralmente dal datore di lavoro, ma non anche, ove il datore a seguito della richiesta lo abbia convocato per una certa data, a un differimento dell’incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poichè l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (Cass. 31 marzo 2011, n. 7493; Cass. 7 maggio 2015, n. 9223; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23510).
21.2. Ora, nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato il rispetto del diritto di difesa, in base a ragioni congruamente argomentate (dall’ultimo capoverso di pg. 13 al primo periodo di pg. 14 della sentenza), quali l’avere la società datrice fissato una data per l’audizione personale richiesta dal lavoratore, rinnovandola per la sua mancata presentazione alla prima a causa per malattia, preavvertendolo della propria esigenza di esaurire con la seconda data il procedimento disciplinare rispetto alla previsione della contrattazione collettiva, invitando il lavoratore alla comunicazione di ulteriori giustificazioni scritte, dal predetto non inoltrate.
21.3. Giova al riguardo osservare come secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di licenziamento disciplinare, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configuri violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonchè dei doveri generali di correttezza e buona fede, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. 5 agosto 2014, n. 17625; Cass. 27 aprile 2014, n. 10416; Cass. 19 ottobre 2019, n. 26496); pure configurando l’insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 come novellato dalla L. n. 92 del 2012 (in quanto comprensiva anche del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità), l’ipotesi del dipendente che, durante il periodo di assenza per malattia, svolga un’altra attività lavorativa, senza che ciò determini, per le sue concrete modalità di svolgimento, alcun rischio di aggravamento della patologia nè alcun ritardo nella ripresa del lavoro (Cass. 5 dicembre 2017, n. 29062; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3655). Da un tale insegnamento, pure consolidato, si evince allora come lo stato di malattia non integri, di per sè solo, un’impossibilità assoluta del lavoratore, che versi in esso, ad allontanarsi da casa, potendo anzi svolgere persino una diversa attività lavorativa, purchè non comportante rischi di aggravamento della patologia nè ritardi nella ripresa del lavoro, così pregiudicandone o ritardandone la guarigione o il rientro in servizio. Sicchè, la mera allegazione, ancorchè certificata, della condizione di malattia non può essere ragione di per sè sola sufficiente a giustificare l’impossibilità del lavoratore di presenziare all’audizione personale richiesta, occorrendo che egli ne deduca la natura ostativa all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura), così che il suo differimento a una nuova data di audizione personale costituisca effettiva esigenza difensiva non altrimenti tutelabile.
Nè infine, può essere sottaciuto il comportamento di correttezza e buona fede della società datrice, che ha preavvertito il lavoratore della propria indisponibilità a concedere, in caso di sua nuova impossibilità a presenziare, una terza data (pure invitandolo a comunicare giustificazioni scritte), per non incorrere in decadenza, per tardività del provvedimento di recesso, sulla base della previsione contrattuale collettiva (art. 55 CCNL per il personale non dirigente Poste Italiane, applicabile ratione temporis, di previsione della comunicazione del provvedimento entro il termine di trenta giorni da quello di scadenza della presentazione delle giustificazioni del lavoratore, ritenuto di natura decadenziale e collegato l’effetto impeditivo della tempestiva comunicazione al suo invio, purchè demandato ad un servizio idoneo a garantire un adeguato affidamento: Cass. 16 luglio 2018, n. 18823).
Poichè nel caso di specie non risulta avere il ricorrente allegato una condizione di malattia ostativa al proprio allontanamento da casa, il motivo non può essere accolto, sulla base del seguente principio di diritto:
“La mera allegazione, da parte del lavoratore, ancorchè certificata, della condizione di malattia non può essere ragione di per sè sola sufficiente a giustificarne l’impossibilità di presenziare all’audizione personale richiesta, occorrendo che egli ne deduca la natura ostativa all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura), così che il suo differimento a una nuova data di audizione personale costituisca effettiva esigenza difensiva non altrimenti tutelabile”.
22. Nel merito, i primi cinque motivi sono congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione rappresentata dalla convergenza, sotto i profili rispettivamente denunciati, nella rivendicata regolarità del procedimento di emissione delle carte prepagate *****, quanto a identificazione del titolare e attivazione.
22.1. Essi sono infondati.
22.2. Non è, infatti, configurabile la violazione delle norme di legge denunciate, in difetto dei requisiti loro propri (Cass. 31 maggio 2006, n. 12984; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038). 22.3. In particolare non ricorre quella denunciata con il terzo motivo, soltanto più puntualmente specificata, in riferimento alle distinte fasi di identificazione e di attivazione della carta prepagata *****.
Come noto, essa integra un rapporto continuativo comportante obblighi di adeguata verifica e di identificazione della clientela, secondo il protocollo operativo del Manuale Operativo *****. Ebbene, da esso risulta che l'”Operatore UP” incaricato di Poste debba in particolare, dopo avere presentato le caratteristiche del prodotto e relativi costi, consegnato al cliente il modulo di richiesta della Carta ***** ed averlo ritirato compilato dal cliente, procedere alla sua identificazione (effettuando i debiti controlli di autenticità, validità e correttezza dei documenti, di controllo del corretto inserimento dei dati nel modulo e della sua sottoscrizione dal richiedente). E subito dopo, lo stesso operatore deve prelevare una carta dal plico contenente le Carte ***** e registrare l’operazione nella fase CAMA dell’applicativo SPD (secondo l’analitico procedimento indicato nella relativa parte del manuale operativo trascritto al quinto foglio inserito tra pg. 21 e 22 del controricorso): così provvedendo alla sua attivazione.
22.4. Tutte le censure sostanzialmente convergono in una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di merito, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie e congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal dodicesimo alinea di pg. 9 al diciannovesimo di pg. 10 della sentenza); sicchè, esso è insindacabile in sede di legittimità.
22.5. Neppure sussiste la nullità della sentenza variamente denunciata, posto che ricorre qualora essa sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (Cass. 10 agosto 2017, n. 19956), ovvero sia totalmente omessa, per materiale mancanza, la parte della motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, atteso che la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 10 novembre 2010, n. 22845; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864; Cass. 20 gennaio 2015, n. 920).
La sentenza è motivata in modo non meramente apparente, nè è viziata di illogicità o contraddittorietà: la censura del vizio motivo come dedotta non è più configurabile; e neppure lo è il lamentato omesso esame di un fatto storico, non ravvisabile nella doglianza di mancata osservanza delle disposizioni di Banca d’Italia attuative del D.Lgs. n. 231 del 2007 (in ordine all’identificazione del titolare di un rapporto senza necessità della sua presenza fisica) e di inesatta interpretazione del contenuto del manuale operativo; sicchè, le suddette doglianze certamente non rientrano nell’ambito del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014 n. 8053; Cass. s.u. 22 settembre 2014 n. 19881; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
23. Il sesto motivo, relativo all’applicazione di una tutela reintegratoria per insussistenza del fatto contestato, è assorbito dal rigetto dei precedenti.
24. Il settimo, ottavo e diciassettesimo motivo, pure congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione per la convergenza, sotto i profili rispettivamente denunciati, nella censura di inesistenza della giusta causa come accertata e di non corretta scelta della sanzione, sono infondati.
24.1. Anche qui la Corte territoriale ha operato un accertamento in fatto in ordine alla sussistenza della giusta causa, di cui ha dato conto con una congrua argomentazione (per le ragioni esposte dal secondo alinea di pg. 10 al diciassettesimo di pg. 11 della sentenza).
24.2. I suddetti motivi non denunciano correttamente la violazione di legge sotto il profilo della sussunzione. Come ancora recentemente ribadito da questa Corte (Cass. 10 luglio 2018, n. 18170), essa ricorre quando sia posta una questione, sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd. “elastica” (quale indubbiamente è la clausola generale della giusta causa), che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento a un determinato contesto storico – sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della giusta causa (piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento), in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514). La Corte di cassazione può sindacare, come noto, l’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).
Ed è proprio una tale valutazione, nel merito del giudizio di fatto, che viene contestata dal ricorrente, che nella sostante sollecita un riesame del merito non consentito in questa sede.
24.3. Inoltre, occorre riaffermare come il licenziamento sia stato intimato per giusta causa, che è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti – al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo – le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (Cass. 24 ottobre 2018, n. 27004; Cass. 16 luglio 2019, n. 19023).
Ma ciò non si verifica nel caso di specie, avendo la Corte territoriale ritenuto “la fattispecie accertata assimilabile ad alcune delle ipotesi previste dall’art. 54 CCNL, specificamente lett. k)” sanzionata con il licenziamento senza preavviso “quanto alla condotta complessiva che integra gli estremi di quei fatti dolosi compiuti in connessione con il rapporto di lavoro anche nei confronti di terzi di gravità tale da essere sanzionati penalmente e precludere, quindi, la prosecuzione del rapporto di lavoro” (così al secondo e terzo alinea e ancora dal settimo al decimo di pg. 11 della sentenza).
24.3. A conclusione del ragionamento, si deve considerare che la sanzione disciplinare deve essere proporzionale alla gravità dei fatti contestati, sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore nell’esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia da parte del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica motivazione, come appunto nel caso di specie, si sottrae a censure in sede di legittimità (Cass. 8 gennaio 2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26 settembre 2018, n. 23046).
25. Il nono e il sedicesimo motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione per la convergenza, sotto i profili rispettivamente denunciati, della censura nei vizi di ultra e di extrapetizione della sentenza in merito al ritenuto uso indebito dal lavoratore della carta prepagata di S.A., sono pure infondati.
25.1. I vizi dedotti non sussistono, ricorrendo quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868; Cass. aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8048). Ed infatti, la pronuncia resa corrisponde alla devoluzione della società datrice di una contestazione comprensiva della condotta in questione (come dalla relativa lettera del 23 luglio 2015 trascritta, per la parte d’interesse, al terz’ultimo capoverso di pg. 12 del controricorso), qualificata dalla Corte felsinea, con più sintetica e generica locuzione, come uso indebito della carta.
25.2. Infine, il secondo motivo scrutinato (sedicesimo) difetta di specificità, in assenza della trascrizione della memoria di costituzione in appello di Poste Italiane s.p.a., quanto meno in parte qua, (Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 4 marzo 2014, n. 4980; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784) in ordine alla denunciata omessa riproposizione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., dell’uso indebito dal lavoratore della carta prepagata intestata a S..
26. Anche i motivi dal decimo al tredicesimo sono congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione per la convergenza, sotto i profili rispettivamente denunciati, nella censura relativa ai prelevamenti del lavoratore utilizzando la carta prepagata di S.A..
26.1. Essi sono infondati.
26.2. Non sussiste la violazione delle norme di legge censurate, in difetto dei requisiti prescritti (Cass. 16 gennaio 2007, n. 828; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., 15 gennaio 2015, n. 635).
In particolare, essa deve essere esclusa per gli artt. 115 e 116 c.p.c.: posto che, in riferimento all’art. 115 c.p.c., l’errore di percezione deve vertere sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356); e che una pertinente denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di error in procedendo, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).
Ma neppure ricorre violazione del principio del contraddittorio, quale error in procedendo, avendo la Corte territoriale accertato, in base a prova per documenti (al primo capoverso, sub punto 3 delle circostanze di fatto, di pg. 9 della sentenza), i prelevamenti presso vari ATM con uso indebito da parte di J.A. della carta prepagata di S.A., oggetto di specifica contestazione (come da lettera di contestazione trascritta, per la parte d’interesse, al penultimo capoverso di pg. 10 del controricorso), così come quelli mediante altre carte prepagate (nella trascrizione della lettera di contestazione, per la parte d’interesse, al terz’ultimo capoverso di pg. 12 del controricorso).
26.3. Appare poi al limite della pretestuosità la prospettata confusione tra somministrazioni di denaro (ossia di ricariche delle carte prepagate attinte dal conto corrente intestato ad associazione sportiva partecipata da J.) e prelevamenti, avendo la Corte territoriale indicato questi ultimi quale utilizzazione delle ripetute ricariche delle carte prepagate, secondo la chiara e specifica contestazione di addebito (sul punto trascritta all’ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza): con il conseguente difetto di alcuna denunciata nullità della sentenza per contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione.
27. Il quattordicesimo motivo, relativo a nullità della sentenza per manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione per la qualificazione come indebiti del rilascio di carte ***** intestate a soggetti diversi da S.A. e l’utilizzo della sua attivata dall’ufficio postale di *****, è parimenti infondato.
27.1. Il lavoratore difetta di interesse per la parte relativa a carte prepagate, in ordine alle quali la Corte ha negato essere dimostrata la sussistenza di un addebito disciplinare.
Nè sussiste alcuna contraddittorietà a riguardo della carta intestata ad S.A., per l’evidente differenza tra gli addebiti di abusiva richiesta di attivazione di una carta prepagata e invece di sua falsificazione: sicchè non si configura la nullità denunciata.
28. Infine, il quindicesimo motivo, relativo a violazione di norme di legge in ordine alla prova dell’uso indebito dal lavoratore della carta prepagata intestata ad S.A., è inammissibile.
28.1. Ancora una volta non ricorre la violazione delle norme di legge denunciata, per le ragioni ripetutamente indicate per relationem al consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, quanto piuttosto una contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte di merito, congruamente argomentata (per le ragioni esposte al primo capoverso, in riferimento alle circostanze enumerate da 1 a 4 di pg. 9 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità.
29. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
PQM
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020
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