LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15156/2019 proposto da:
A.T., rappresentato e difeso dall’avv. ASSUNTA FICO, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2171/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 6.8.2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento emesso l’11.2.2016, con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di A.T. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.
Interponeva appello l’ A. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 2171 del 2018, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di tale decisione A.T. affidandosi a due motivi.
Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8-27, artt. 2 e 3 della Convenzione E.D.U., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe valutato il contesto interno del Pakistan, Paese di provenienza del richiedente, senza dar conto delle fonti informative consultate e delle informazioni specifiche da esse tratte.
La censura è inammissibile.
La decisione impugnata ha escluso la configurabilità dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), indicando (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) le fonti consultate e le specifiche informazioni da esse tratte. Il ricorrente indica, nel corpo del motivo (cfr. pagg. 7 e ss. del ricorso) alcune fonti internazionali, senza tuttavia evidenziare in che misura, e sotto quale profilo, dette fonti contenessero informazioni specifiche diverse, e confliggenti, con quelle indicate in sentenza. Occorre, sul punto, ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.
In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di procedere alla sua audizione, nonostante avesse dubbi sulla credibilità del suo racconto.
La censura è infondata. Va invero ribadito che “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24544 del 21/11/2011, Rv. 619702; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 14600 del 29/05/2019, Rv. 654301).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto non credibile la storia del richiedente, il quale aveva narrato di aver lavorato come stalliere per un imam sciita, che lo aveva accusato ingiustamente di aver causato della morte di un cavallo sacro; di aver subito, come ritorsione, l’incendio della propria casa, e di essere fuggito per tema di ulteriori rischi. Il giudice di merito ha sottolineato che l’ A. non aveva dichiarato di aver tentato di protestare la sua estraneità alla morte del cavallo all’interno della comunità religiosa in cui aveva lavorato per oltre un anno, e della quale dunque doveva avere la fiducia, nè di essersi rivolto alla polizia per discolparsi dall’accusa o ricevere protezione. Il ricorrente non attinge neppure questo punto della motivazione, onde il motivo appare anche carente della necessaria specificità.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021