Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.106 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15194/2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avv. MARCO LANZILAO, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 504/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 19.10.2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento emesso il 23.12.2015 e notificato il 14.3.2016, con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di S.M. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.

Interponeva appello lo S. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 504 del 2019, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione S.M. affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe confermato il rigetto della domanda di protezione facendo rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, senza spiegare in altro modo le ragioni del proprio convincimento.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte calabrese avrebbe escluso la sussistenza in Pakistan, Paese di origine del richiedente, di un contesto di violenza generalizzata, senza indicare le fonti internazionali consultate nè le informazioni da esse tratte.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., perchè la Corte catanzarese avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per la tutela sussidiaria ai sensi della lett. c).

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,14 ed del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè l’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè la Corte territoriale avrebbe reso una motivazione assolutamente apparente a sostegno della statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

Con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., perchè la Corte di Appello aveva denegato la concessione della tutela umanitaria senza apprezzare le condizioni personali del richiedente.

Le censure, pur nella loro eterogeneità, meritano di essere trattate congiuntamente e sono inammissibili. La Corte di Appello, infatti, ha confermato il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, sul presupposto che il ricorrente avesse “… posto a fondamento della propria domanda le medesime circostanze dedotte in sede di prima audizione, reiterando, dunque, la medesima domanda, già rigettata, all’esito del doppio grado di impugnazione, dalla Corte di Appello di Catanzaro con sentenza n. 596/2015, pubblicata in data 6.5.2015, in contrasto con il principio del ne bis in idem” (cfr. pag. 3 della sentenza). Nessuna delle censure proposte dallo S. coglie la vera ratio del rigetto della domanda di protezione, da individuare appunto nella sua natura reiterata e nell’assenza di fatti nuovi posti a sostegno della nuova richiesta. L’unica circostanza nuova, rappresentata -secondo il giudice di secondo grado – da una telefonata che lo S. avrebbe ricevuto dalla madre (cfr. pag. 4 della sentenza) non introduce evidentemente alcun elemento nuovo alla storia, dovendosi ribadire, sul punto, che “… i nuovi elementi, alla cui allegazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di riconoscimento della tutela, possono consistere, oltre che in nuovi fatti di persecuzione o comunque costitutivi del diritto alla protezione stessa, successivi al rigetto della prima domanda da parte della competente commissione, anche in nuove prove dei fatti costitutivi del diritto, purchè il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza innanzi alla commissione in sede amministrativa, nè davanti al giudice introducendo il procedimento giurisdizionale di cui all’art. 35 del D.Lgs. citato” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5089 del 28/02/2013, Rv. 625232; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18440 del 09/07/2019, Rv. 654657).

Spetta dunque al richiedente: da un lato, allegare lo specifico l’impedimento -che può consistere anche un fattore di ordine psicologico o morale- alla tempestiva prospettazione di detti fatti, sin dalla prima richiesta di protezione internazionale (Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 4522 del 05/03/2015, non massimata); e, dall’altro lato, indicare in modo specifico gli elementi nuovi, non potuti allegare alla prima richiesta, e la loro idoneità a consentire al giudice di merito di pervenire ad un verdetto finale differente da quello cui lo stesso era pervenuto in occasione dell’esame della prima domanda di protezione.

Nel caso specifico, nessuno dei motivi proposti dallo S. attinge la questione della natura reiterata della domanda, e pertanto essi non si confrontano con la ratio del rigetto. Nel suo complesso, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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