LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16303/2019 proposto da:
E.G., rappresentato e difeso dall’avv. FRANCESCO GIAMPA’, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
e contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE CROTONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1962/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 21.11.2016 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di E.G. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.
Interponeva appello l’ E. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 1962 del 2018, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di tale decisione E.G. affidandosi a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria senza considerare il contesto di violenza generalizzata esistente in Nigeria.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 11, 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 112,132 c.p.c., art. 111 Cost. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare l’esistenza di persecuzioni di matrice etnica e religiosa in Nigeria, Paese di origine del richiedente.
Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.
Il ricorrente aveva infatti riferito di esser nato nel villaggio di *****, i cui abitanti si erano scontrati con quelli del paese vicino per motivi legati ai confini di alcuni terreni. Nell’ambito di questo contesto, in cui le autorità sarebbero rimaste inerti, gli anziani del villaggio avrebbero minacciato di morte l’ E., poichè questi aveva rifiutato di andare a combattere contro gli abitanti del paese vicino per vendicare la morte del fratello, caduto in un precedente scontro. Questa storia è stata ritenuta dalla Corte di Appello priva di credibilità e comunque non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale. La sussistenza dei requisiti di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), invece, è stata esclusa dalla Corte catanzarese sulla base di fonti internazionali qualificate, indicate a pag. 12 e s. della sentenza.
Il ricorrente, nelle censure in esame, non contrappone alcuna fonte più qualificata o più recente a quelle in concreto consultate dal giudice di merito, e pertanto non si confronta con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S. C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.
In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).
Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 8 della Convenzione E.D.U., artt. 2,10 e 111 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., perchè la Corte di Appello di Catanzaro avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria.
La censura è inammissibile.
La Corte territoriale ha infatti apprezzato la situazione esistente in Nigeria, Paese di origine del richiedente, la sua condizione individuale e la sua integrazione in Italia, escludendo la sussistenza di profili di vulnerabilità e di rischi di compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio. La Corte di merito, infatti, ha considerato la giovane età dell’ E. al momento dell’allontanamento dalla Nigeria, ritenendola da sola non idonea a renderlo vulnerabile; l’assenza di altri profili soggettivi legittimanti il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari; il suo inserimento lavorativo, ritenendolo insufficiente; la presenza dei familiari dell’ E. nel villaggio di origine, che – secondo le stesse dichiarazioni rese dal ricorrente – vivrebbero “bene a livello economico”; l’assenza di un contesto di emergenza sanitaria o alimentare nella zona di origine del richiedente (cfr. pag. 15 della sentenza). Il ricorrente contesta tale valutazione, all’esito della quale la Corte calabrese ha appunto escluso l’esistenza di rischi di compromissione dei diritti fondamentali in caso di rimpatrio (cfr. pag. 16), senza tuttavia allegare alcun elemento concreto che il giudice di merito non avrebbe considerato, o avrebbe valutato in modo non corretto, e senza confrontarsi con la motivazione resa dal giudice di merito. Anche il riferimento, contenuto a pag. 19 del ricorso, al rapporto di lavoro dell’ E. è generico, poichè si indicano tre contratti, rispettivamente in data 19.12.2017, 10.4.2018 e 2.5.2018, con tale ditta T.F., ed alcune buste paga, senza tuttavia specificare nè di quale tipologia di rapporto di lavoro si tratti, nè quali siano i suoi elementi fondamentali (decorrenza, durata, natura, corrispettivo, mansioni, ecc.), con ulteriore profilo di carenza di specificità della censura.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021