Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.109 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17582/2019 proposto da:

K.A., rappresentato e difeso dall’avv. GIOSUE’ DOMENICO MEGNA, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2295/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 16.10.2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di K.A. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.

Interponeva appello il K. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 2295 del 2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione K.A. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe deciso senza prima procedere all’audizione del richiedente.

La censura è infondata. Va invero ribadito che “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24544 del 21/11/2011, Rv. 619702; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 14600 del 29/05/2019, Rv. 654301).

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto non necessaria l’audizione perchè il K. era stato posto in grado di riferire ogni circostanza utile dinanzi alla Commissione territoriale. Il ricorrente non si confronta con tale passaggio della motivazione, ma si limita a dolersi che la sua richiesta di essere sentito, con interprete di lingua *****, non fosse stata accolta dalla Corte catanzarese, senza neanche aver cura di indicare quali elementi egli avesse in animo di dettagliare in sede di (rinnovata) audizione. Sul punto, ferma restando la non obbligatorietà dell’incombente in appello, è opportuno ribadire che il motivo non contiene neppure le indicazioni specifiche richieste dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento all’audizione che si svolge nell’udienza prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis. Tale disposizione, infatti, è stata interpretata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, non massimata) nel senso che, fermo il principio per cui l’obbligo di fissazione dell’udienza non implica automaticamente anche quello di rinnovare l’audizione del richiedente, il giudice è tuttavia tenuto a disporla quando:

a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda di asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, lett. c)), poichè in tal caso va assicurato il confronto tra il giudice ed il richiedente, ed il diritto di quest’ultimo di essere ascoltato, su detti nuovi elementi, non preventivamente dedotti ed approfonditi nella fase amministrativa;

b) il giudice ritenga necessaria una nuova audizione, anche in assenza di nuove deduzioni, per acquisire chiarimenti in ordine alle incongruenze e contraddizioni rilevate dalla Commissione nelle dichiarazioni del richiedente asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 10, lett. a) e b));

c) il ricorso contenga l’istanza del richiedente di essere ascoltato, con la precisazione degli aspetti in ordine ai quali egli intende fornire chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, lett. b)).

La censura in esame non rientra neppure nel paradigma suindicato, in quanto il ricorrente non indica nel motivo in esame, nè specifica di aver dedotto in atto di appello, alcuno specifico tema o elemento nuovo, non previamente approfondito in occasione dell’audizione innanzi la Commissione territoriale o nel corso del giudizio di primo grado, nè di aver proposto con il predetto atto di appello specifica istanza di essere ascoltato, corredata dall’indicazione degli aspetti in relazione ai quali egli intendeva rendere chiarimenti.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nonchè il vizio di motivazione apparente, generica e contraddittoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè la Corte catanzarese avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria senza previo esame della condizione di violenza generalizzata esistente in Mali, Paese di origine del richiedente.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente aveva riferito di essere omosessuale, di esser stato scoperto in atteggiamenti intimi con un amico e di essere stato aggredito per questo; a seguito della morte dell’amico, in conseguenza dell’aggressione, egli si sarebbe risolto a fuggire per timore di essere a sua volta ucciso. La storia è stata ritenuta non credibile e la situazione esistente in Mali, anche con specifico riferimento al trattamento delle persone omosessuali e LBTG (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), è stata apprezzata dal giudice di merito (cfr. pagg. 7 e ss.), con indicazione delle fonti internazionali consultate e delle informazioni specifiche da esse tratte (cfr. pagg. 10 e 12). Il ricorrente non contrappone alcuna fonte più qualificata o più recente a quelle in concreto consultate dal giudice di merito, e pertanto non si confronta con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello di Catanzaro avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale ha infatti apprezzato la situazione esistente in Mali, Paese di origine del richiedente, la sua condizione individuale e la sua integrazione in Italia, escludendo la sussistenza di profili di vulnerabilità e di rischi di compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio, a fronte soprattutto della mancata allegazione, da parte del richiedente, di una specifica situazione di vulnerabilità soggettiva. Il ricorrente contesta tale valutazione, senza tuttavia allegare alcun elemento concreto che il giudice di merito non avrebbe considerato, o avrebbe valutato in modo non corretto, e senza confrontarsi con la motivazione resa dal giudice di merito. La Corte di Appello, peraltro, ha esaminato anche l’integrazione lavorativa raggiunta dal K. in Italia, affermando che lo stesso aveva allegato soltanto due contratti di lavoro a tempo determinato presso una azienda agricola, già scaduti; dal che si ricava che, al momento della decisione, il richiedente non aveva alcun rapporto di lavoro in atto, e quindi non era in alcun modo integrato nel tessuto sociolavorativo italiano: circostanza, questa, neppure contestata dal motivo in esame.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero dell’Interno, intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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