Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.110 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17606/2019 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avv. GIUSEPPE LUFRANO, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, e COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CROTONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 554/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 18/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 4.7.2018 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di M.A. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.

Interponeva appello il M. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 554 del 2019, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione M.A. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè il vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria senza previo esame della condizione di violenza generalizzata esistente in Pakistan, Paese di origine del richiedente.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente aveva riferito di essere di famiglia sunnita; il padre aveva prestato del denaro ad uno sciita per una costruzione, nel corso della quale lo stesso era stato ucciso in occasione dell’irruzione sul cantiere di alcuni estremisti; padre e fratello erano stati picchiati ed il richiedente, temendo a sua volta per la propria vita, aveva deciso di fuggire dal Paese. La storia è stata ritenuta non credibile e la situazione esistente in Pakistan è stata apprezzata dal giudice di merito (cfr. pagg. 7 e ss.), con indicazione delle fonti internazionali consultate e delle informazioni specifiche da esse tratte (cfr. pagg. 10 e 11). Il ricorrente non contrappone alcuna fonte più qualificata o più recente a quelle in concreto consultate dal giudice di merito, e pertanto non si confronta con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello di Catanzaro avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale ha infatti apprezzato la situazione esistente in Pakistan, Paese di origine del richiedente, la sua condizione individuale e la sua integrazione in Italia, escludendo la sussistenza di profili di vulnerabilità e di rischi di compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio, a fronte della mancata allegazione, da parte del richiedente, di una specifica situazione di vulnerabilità soggettiva. Il ricorrente contesta tale valutazione, senza tuttavia allegare alcun elemento concreto che il giudice di merito non avrebbe considerato, o avrebbe valutato in modo non corretto, e senza confrontarsi con la motivazione resa dal giudice di merito, nè indicare alcun profilo di effettiva integrazione sociolavorativa in Italia.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero dell’Interno, intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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