LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18874/2019 proposto da:
I.E., rappresentato e difeso dall’avv. GIACINTO CORACE, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 303/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 15/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
letta la requisitoria del P.G., nella persona del Sostituto P.G.
Dott.ssa FRANCESCA CERONI, la quale ha concluso per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite o, in subordine, per la sua trattazione in pubblica udienza, o, ancora in subordine, per il suo accoglimento.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 25.9.2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di I.E. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.
Interponeva appello la I. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 303 del 2019, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di tale decisione I.E. affidandosi a quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.
Il P.G. ha concluso per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite o, in subordine, per la sua trattazione in pubblica udienza, o, ancora in subordine, per il suo accoglimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 8, 9, 10 e 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe deciso il ricorso senza fissare l’udienza e senza la presenza del difensore in Camera di consiglio. Tale incombente sarebbe stato necessario, ad avviso della ricorrente, in vista della mancanza della videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale.
La censura è infondata.
Innanzitutto, va osservato che dalla lettura della sentenza (cfr. pag. 2) risulta che l’udienza si è svolta in data 16.10.2018 e che in quella data le parti hanno precisato le conclusioni: ergo, la ricorrente era assistito dal proprio difensore, che ha avuto modo di esercitare pienamente il diritto di difesa.
In secondo luogo, va ribadito che “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24544 del 21/11/2011, Rv. 619702; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 14600 del 29/05/2019, Rv. 654301).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto non necessaria l’audizione perchè la I. era stata posta in grado di riferire ogni circostanza utile dinanzi alla Commissione territoriale. La ricorrente non si confronta con tale passaggio della motivazione, ma si limita a dolersi genericamente della sua mancata audizione, senza neanche aver cura di indicare quali elementi ella avesse in animo di dettagliare in sede di (rinnovata) audizione. Sul punto, ferma restando la non obbligatorietà dell’incombente in appello, è opportuno ribadire che il motivo non contiene neppure le indicazioni specifiche richieste dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento all’audizione che si svolge nell’udienza prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis. Tale disposizione, infatti, è stata interpretata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, non massimata) nel senso che, fermo il principio per cui l’obbligo di fissazione dell’udienza non implica automaticamente anche quello di rinnovare l’audizione del richiedente, il giudice è tuttavia tenuto a disporla quando:
a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda di asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, lett. c)), poichè in tal caso va assicurato il confronto tra il giudice ed il richiedente, ed il diritto di quest’ultimo di essere ascoltato, su detti nuovi elementi, non preventivamente dedotti ed approfonditi nella fase amministrativa;
b) il giudice ritenga necessaria una nuova audizione, anche in assenza di nuove deduzioni, per acquisire chiarimenti in ordine alle incongruenze e contraddizioni rilevate dalla Commissione nelle dichiarazioni del richiedente asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 10, lett. a) e b));
c) il ricorso contenga l’istanza del richiedente di essere ascoltato, con la precisazione degli aspetti in ordine ai quali egli intende fornire chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, lett. b)).
La censura in esame non rientra neppure nel paradigma suindicato, in quanto la ricorrente non indica nel motivo, nè allega di aver dedotto in atto di appello, alcuno specifico tema o elemento nuovo, non previamente approfondito in occasione dell’audizione innanzi la Commissione territoriale o nel corso del giudizio di primo grado, nè di aver proposto con il predetto atto di appello specifica istanza di essere ascoltata, corredata dall’indicazione degli aspetti in relazione ai quali ella intendeva rendere chiarimenti.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 della Convenzione E.D.U., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la storia riferita dall’ I., la quale aveva narrato di essere fuggito dalla Nigeria insieme al cugino, perseguitato perchè non aveva voluto aderire ad una setta.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, perchè la Corte catanzarese non avrebbe svolto il proprio dovere di cooperazione istruttoria, acquisendo informazioni sulla specifica zona di provenienza della I..
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 e art. 10 Cost., comma 3, perchè la Corte territoriale avrebbe denegato ingiustamente anche il riconoscimento della protezione umanitaria, pur a fronte della vulnerabilità dell’ I..
Le tre censure, pur nella loro eterogeneità, meritano di essere trattate congiuntamente e sono inammissibili. La Corte di Appello, infatti, ha confermato il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, sul presupposto che il ricorrente avesse reiterato la domanda di riconoscimento della protezione, in assenza di elementi nuovi (cfr. pag. 3 della sentenza). Nessuna delle censure proposte dalla I. coglie la vera ratio del rigetto della domanda di protezione, da individuare appunto nella sua natura reiterata e nell’assenza di fatti nuovi posti a sostegno della nuova richiesta. L’unica circostanza nuova, rappresentata – secondo il giudice di secondo grado – dalla morte del padre del figlio della richiedente (cfr. pag. 4 della sentenza) non introduce evidentemente alcun elemento nuovo alla storia, dovendosi ribadire, sul punto, che “… i nuovi elementi, alla cui allegazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di riconoscimento della tutela, possono consistere, oltre che in nuovi fatti di persecuzione o comunque costitutivi del diritto alla protezione stessa, successivi al rigetto della prima domanda da parte della competente commissione, anche in nuove prove dei fatti costitutivi del diritto, purchè il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza innanzi alla commissione in sede amministrativa, nè davanti al giudice introducendo il procedimento giurisdizionale di cui all’art. 35 del D.Lgs. citato” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5089 del 28/02/2013, Rv. 625232; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18440 del 09/07/2019, Rv. 654657).
Spetta dunque al richiedente: da un lato, allegare lo specifico l’impedimento – che può consistere anche un fattore di ordine psicologico o morale – alla tempestiva prospettazione di detti fatti, sin dalla prima richiesta di protezione internazionale (Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 4522 del 05/03/2015, non massimata); e, dall’altro lato, indicare in modo specifico gli elementi nuovi, non potuti allegare alla prima richiesta, e la loro idoneità a consentire al giudice di merito di pervenire ad un verdetto finale differente da quello cui lo stesso era pervenuto in occasione dell’esame della prima domanda di protezione.
Nel caso specifico, nessuno dei motivi proposti dalla I. attinge la questione della natura reiterata della domanda, e pertanto essi non si confrontano con la ratio del rigetto.
Nel suo complesso, quindi, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021