LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 11094/2019 proposto da:
F.I., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Dario Dal Medico, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 153/2019 della Corte d’appello di Caltanissetta, depositata il 5/3/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.
RILEVATO
che:
1. il Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. del 6 febbraio 2017, rigettava il ricorso proposto da F.I., cittadino ***** proveniente dal Punjab settentrionale, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;
2. la Corte d’appello di Caltanissetta, a seguito dell’impugnazione proposta dal richiedente asilo, rilevava – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che: i) il migrante aveva dedotto esclusivamente questioni di natura personale che esulavano del tutto dalle ipotesi contemplate dalla disciplina in tema di riconoscimento del diritto al rifugio; ii) non era possibile ritenere, sulla base delle informazioni internazionali disponibili, che il migrante, in caso di rimpatrio, sarebbe stato esposto al pericolo di morte o di minaccia grave e individuale alla vita o alla sua persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; iii) l’inattendibilità del racconto e la mancanza di un significativo radicamento nel paese ospitante impedivano di ravvisare una condizione di vulnerabilità in conseguenza del rimpatrio;
3. per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 5 marzo 2019, ha proposto ricorso F.I. prospettando quattro motivi di doglianza;
il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
4. il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, oltre che dell’art. 111 Cost., art. 47 della Carta di Nizza, art. 6 CEDU, art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e art. 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, perchè il Tribunale e la Corte d’appello avrebbero omesso di fissare l’udienza di comparizione delle parti e di sentire personalmente la parte;
5. il motivo è inammissibile (prima ancora che infondato, dato che il D.L. n. 13 del 2017, nell’introdurre – all’art. 6, comma 1, lett. g) – del D.Lgs. 25 del 2008, nuovo art. 35-bis, regolante le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, ha previsto – al suo art. 21, comma 1 – che il nuovo procedimento trovi applicazione alle cause sorte dopo il centottantesimo giorno dalla data della sua entrata in vigore, mentre ai procedimenti giudiziari introdotti anteriormente alla scadenza di tale termine “si continuano ad applicare le disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore del presente decreto”; dunque la disciplina introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017, si applica, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del citato decreto, alle controversie instaurate successivamente al 18 agosto 2017 (Cass. 18295/2018), fra cui non rientra il procedimento in esame, introdotto il 26 gennaio 2016);
in vero i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito nè rilevabili d’ufficio (Cass. 1377/2003);
nel caso di specie la Corte di merito non ha in alcun modo preso in esame la questione dell’applicabilità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, di modo che l’odierno ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, aveva l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione all’interno dei motivi di appello, ma anche di indicare come e dove lo avesse fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa;
6. il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 6, 7,8 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 19: la Corte d’appello avrebbe rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato limitandosi a rilevare la natura personale delle vicende narrate dal migrante, senza fornire alcuna motivazione rispetto alle censure sollevate e tenere in adeguata considerazione la situazione esistente in Pakistan;
7. il motivo è inammissibile;
la Corte di merito ha espressamente ricordato che il riconoscimento dello status di rifugiato è correlato a un’impossibilità di rimpatrio legato al timore di persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica e ha osservato che le ragioni addotte dal migrante, di natura esclusivamente personale, esulavano dalle ipotesi contemplate dalla normativa di riferimento;
era dunque la stessa prospettazione del richiedente asilo a impedire il riconoscimento della forma di protezione internazionale richiesta;
la censura in esame, laddove assume la mancanza di una motivazione su questo punto e l’omessa considerazione delle critiche fatte, non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, come il ricorso per cassazione deve invece necessariamente fare, e risulta di conseguenza inammissibile;
8. il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6,7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, poichè la Corte d’appello, con una motivazione solo apparente e senza minimamente considerare le fonti di prova richiamate, avrebbe affermato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato;
9. il motivo è inammissibile;
ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);
la Corte d’appello si è ispirata a simili criteri, prendendo in esame una pluralità di informazioni aggiornate sulla situazione esistente nel Punjab pakistano risalenti agli anni 2017 e 2018;
la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dalla Corte di merito, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);
9. il quarto motivo di ricorso si duole della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in quanto la Corte distrettuale, nel negare il riconoscimento della protezione umanitaria, si sarebbe limitata a ritenere inattendibile il racconto del migrante, senza fornire alcuna motivazione, ed avrebbe trascurato di valorizzare l’integrazione sociale del medesimo, la compromissione dei diritti umani a cui lo avrebbe sottoposto il rimpatrio e lo stato di estrema vulnerabilità che così si sarebbe creato, tenuto conto delle inadeguate condizioni di vita esistenti nel paese di origine;
10. il motivo è inammissibile;
va rilevato, innanzitutto, che nessun motivo di appello risulta essere stato proposto in merito al giudizio di inattendibilità espresso dal primo giudice, di modo che una simile contestazione non può essere sollevata ora in sede di legittimità;
ciò posto, la Corte d’appello era senza dubbio chiamata a valutare, secondo il regime applicabile ratione temporis, la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018);
la Corte di merito, però, ha registrato come la comparazione che si pretende omessa fra la situazione esistente nel paese di origine e quella di integrazione in Italia non fosse realizzabile, non solo per la mancanza di un significativo radicamento in Italia, ma anche perchè l’inattendibilità del racconto impediva di avere adeguata contezza delle condizioni personali che avevano determinato la ragione della partenza;
a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza sollecitare una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);
11. per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
la costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. e al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021