Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.119 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 09015/2019 proposto da:

A.S., rappresentato e difesa dall’avvocato Novello Antonino, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 531/2018 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 30/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Caltanissetta, con la sentenza indicata in epigrafe, confermando la decisione resa dal Tribunale di Caltanissetta che aveva respinto le domande di riconoscimento di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria proposte da A.S., di nazionalità *****, ha escluso la ricorrenza dei presupposti dello status di rifugiato, ritenendo non credibile il racconto del richiedente. Ha poi escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione dell’assenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14. Secondo la Corte, infatti, la situazione del luogo di provenienza del richiedente – ***** – presentava caratteri di relativa stabilità ed inoltre lo stesso richiedente aveva abbandonato la regione di provenienza da oltre dieci anni, dismettendo l’attività di pastore. Circostanza, quest’ultima, che confermava altresì l’insussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria, non essendovi un radicamento dell’appellante nel territorio nazionale, nè di una condizione di vulnerabilità nascente dallo sradicamento dal territorio di origine. Si dovevano pertanto escludere i requisiti per il riconoscimento di detto permesso sia in relazione alle condizioni personali che avevano determinato la partenza, che al livello di integrazione dello straniero nel tessuto sociale italiano A.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato da tre motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, in quanto la Corte di appello avrebbe omesso non solo di applicare il principio dell’onere probatorio attenuato, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 27310/2018, ma altresì di valutare la credibilità del richiedente alla luce dei parametri forniti dalle disposizioni da ultimo ricordate. La Corte di appello non avrebbe considerato la verosimiglianza del racconto fornito dal ricorrente nè la situazione grave di violenza nella quale versava il Pakistan, risultante da plurime fonti internazionali.

Il motivo non coglie la ratio decidendi che ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Affermazione che il ricorrente non ha contestato, limitandosi a prospettare vizi in ordine all’attività valutativa del giudice.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). La Corte di appello avrebbe omesso di valutare l’esistenza di una minaccia grave alla vita del richiedente derivante da una situazione di violenza indiscriminata. Il giudice di appello avrebbe fatto esclusivo riferimento alle notizie raccolte dal rapporto EASO, ad esso tuttavia attingendo in modo parziale, tralasciando elementi risultanti dal medesimo rapporto e dalle altre fonti citate fin dal ricorso introduttivo, dalle quali era possibile desumere l’esistenza delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il motivo è infondato quanto alla censura di omessa pronunzia rispetto alla situazione di pericolo di danno grave alla persona correlata all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e risulta per converso inammissibile quanto alla restante parte della censura, integrando una censura alle valutazioni di merito puntualmente a analiticamente compiuta dal giudice di appello al fine di escludere la situazione sussumibile in quella di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, sulla base del richiamo dettagliato a fonti internazionali che il ricorrente intenderebbe porre in discussione, sollecitando un sindacato inammissibile da parte di questa Corte.

Per di più la Corte ha evidenziato l’assenza di presupposti alla radice per il riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione all’allontanamento volontario dal territorio d’origine ed alla volontaria recisione di ogni legame con il paese di origine posto in essere dal ricorrente.

Col terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. La Corte di appello non avrebbe considerato l’esistenza di condizioni di vulnerabilità.

Il motivo è infondato, avendo il giudice di appello escluso la ricorrenza di una condizione di vulnerabilità in capo al richiedente, pienamente conformandosi ai principi espressi da questa Corte nel precedente parimenti puntualmente ricordato – Cass. n. 4455/2018 – a fronte del quale il ricorrente non ha allegato elementi che il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare e tali da giustificare il detto requisito della vulnerabilità.

Alla stregua delle superiori considerazioni, il ricorso va rigettato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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