Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.121 del 08/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 09606/2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difesa dall’avvocato Perricone Diego Giuseppe, ed elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro p.t.;

– resistente –

avverso la sentenza n. 556/2018 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

FATTI IN CAUSA La Corte di appello di Caltanissetta, con la sentenza indicata in epigrafe, confermando la decisione resa dal tribunale di Caltanissetta che aveva respinto le domande di riconoscimento di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria proposte da M.S., nato in *****, rilevando che: a) in base al racconto del richiedente non risultava provata alcuna ipotesi di gravi danni valutabili ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14 o che il rientro nel paese di origine avrebbe potuto determinare un grave danno al richiedente, allontanatosi dal Bangladesh per ragioni di natura economica a causa di un alluvione che aveva devastato il villaggio e la casa in cui viveva, tenuto conto delle fonti internazionali riguardanti quel Paese (Fonte EASO report 2017/2018) dalle quali, pur emergendo una situazione di limitazione della libertà di espressione all’interno del Paese, la situazione non poteva ritenersi tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria. La produzione di un contratto attestante l’esistenza di un rapporto di lavoro quale bracciante agricolo intrapreso in Italia non costituiva, a giudizio della Corte di appello, elemento idoneo per giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, dovendosi fare riferimento alla situazione oggettiva del paese di origine ed alle condizioni personali che avevano determinato la partenza. Peraltro, la documentazione prodotta, relativa ad un rapporto di lavoro concluso solo nel mese di gennaio 2018, non era idonea a dimostrare il radicamento del richiedente nel territorio italiano.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo proposto si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. La Corte di appello avrebbe omesso si considerare gli elementi offerti a sostegno dello stato di vulnerabilità, visto che l’alluvione che aveva devastato il villaggio in cui viveva integrava già una condizione fortemente privativa, essendo stato costretto a lasciare il paese di origine per assicurarsi un livello minimo di dignità umana, impossibile da ottenere nel Bangladesh a causa della calamità climatica che aveva devastato il villaggio ove abitava. Per di più la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che dalla documentazione prodotta in primo grado risultava l’esistenza di un rapporto instaurato nell’anno 2016, per di più dovendosi considerare il viaggio in mare e l’atroce esperienza in Libia.

Il motivo è fondato nei termini di cui in motivazione.

In effetti la Corte di appello non ha fondato il giudizio di rigetto della domanda di protezione umanitaria sul presupposto che il racconto del richiedente non fosse credibile, invece escludendo i presupposti per l’esistenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente senza considerare la situazione del paese di origine allegata dal richiedente, devastata, all’epoca dell’allontanamento da un alluvione che aveva distrutto il villaggio ove lo stesso risiedeva, considerando non adeguata ai fini della dimostrazione del radicamento dello stesso in Italia un contratto di lavoro a tempo determinato relativo all’anno 2018.

Ora, reputa il Collegio che a prescindere dai principi espressi in fattispecie simile da Cass. n. 2563/2020 non pare dubbio che, a fronte di una dettagliata descrizione dell’evento calamitoso da parte del richiedente, il giudizio operato dalla Corte di appello risulta sotto più profili carente ai fini della verifica della vulnerabilità, tanto con riferimento alla situazione del paese d’origine esistente all’atto dell’allontanamento ed a quello della decisione, quanto alla valutazione frammentaria delle emergenze documentali prodotte dal richiedente, non avendo il giudice di appello nemmeno considerato l’esistenza in Italia di rapporti lavorativi in anni pregressi, nemmeno risultando che la Corte abbia messo in correlazione la condizione attuale del richiedente complessivamente considerata rispetto a quella attuale nel paese di origine già colpito da evento calamitoso – eventualmente avvalendosi del soccorso istruttorio rispetto a tale circostanza (cfr. Cass. n. 28990/2018) – contravvenendo a quanto affermato da questa Corte – v. Cass. n. 4455/2018, pur formalmente richiamata dal giudice di appello.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Caltanissetta in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Caltanissetta in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472