Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.123 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10357/2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Perricone Diego Giuseppe, ed elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 598/2018 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETA, depositata il 25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Caltanissetta accoglieva parzialmente la domanda volta al riconoscimento in favore di A.A., di nazionalità *****, della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, dichiarando il diritto del richiedente ad ottenere la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

La Corte di appello, in riforma della decisione di primo grado ed in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno, ha rigettato le domande dell’ A.. Secondo la Corte di appello il racconto del richiedente – a suo dire costretto ad abbandonare il Pakistan per sfuggire alla falsa accusa di essere una spia indiana – era stato poco circostanziato ed impreciso oltre che incongruo quanto al ruolo assunto delle autorità pakistane nei confronti del richiedente. Parimenti poco convincente risultava il resoconto fornito dal richiedente in ordine all’emigrazione cominciata nell’anno 2011 e protrattasi, anche con una permanenza in Grecia per cinque anni, senza avere mai formulato richiesta di asilo. Doveva in ogni caso evidenziarsi, anche a voler ritenere credibile il racconto, l’intempestività della domanda di protezione avanzata, non potendosi in ogni caso escludere che lo stesso richiedente si fosse reso responsabile di condotte ostative al riconoscimento della protezione. Aggiungeva che quanto alla condizione del Kashmir, i più recenti report dell’EASO davano conto della situazione di relativa stabilità, posto che la pur riscontrata esistenza di gruppi terroristici e indipendentisti era contrastata dalle autorità statali senza che vi fossero pericoli per i civili. Da ciò poteva quindi trarsi il convincimento che non fossero sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, nemmeno riscontrandosi una situazione di vulnerabilità meritevole di tutela.

A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). La Corte di appello non avrebbe preso in considerazione la circostanza che il rischio sotteso all’art. 14, lett. c) ult. cit. non era ancorato alla posizione del richiedente, attenendo all’intera collettività potenzialmente allo stesso esposta. La Corte non avrebbe nemmeno correttamente fatto applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, avendo richiamato generici elementi di non credibilità senza compiere alcuna procedimentalizzazione legale del racconto. Ancora, la Corte non avrebbe adeguatamente considerato la situazione di violenza generalizzata in cui verserebbe la regione dell’Azad Kashmir, ove risulterebbe esistente uno scontro fra le forze governative e gruppi armati indipendentisti, parimenti tralasciando di considerare i terribili attacchi alla popolazione verificatisi recentemente.

Il primo motivo è infondato.

Fermo è l’insegnamento di questa Corte a cui tenore in tema di protezione internazionale, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. Detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti, dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni – cfr. Cass. n. 14674/2020, Cass. n. 11925/2020.

Del resto, si è ancora precisato che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili. Da ciò consegue che: a) la norma non potrà mai dirsi violata sol perchè il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; b) non sussiste un diritto dello straniero ad essere creduto sol perchè abbia presentato la domanda di asilo il prima possibile o abbia fornito un racconto circostanziato; c) il giudice è libero di credere o non credere a quanto riferito secondo il suo prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – cfr. Cass. n. 6897/2020.

Tali principi confermano vieppiù l’insindacabilità delle valutazioni in questo caso congruamente operata dalla Corte di appello.

Ed infatti, nel caso di specie, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la Corte di appello ha individuato gli elementi dai quali ha inferito la scarsa credibilità del richiedente protezione alla stregua dei parametri inclusi nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, esplicitandone la ratio decidendi – Cass. n. 13944/2020 – in relazione al carattere poco circostanziato, impreciso ed incongruo rispetto alla mancata attivazione di una richiesta di aiuto alle autorità pakistane.

La censura, pertanto, si appalesa inammissibile in quanto rivolta a contestare il merito dell’attività svolta dalla Corte di appello in ordine alle dichiarazioni del richiedente.

Anche il profilo collegato alla non corretta valutazione della situazione generale della regione ricadente all’interno del paese di origine del richiedente trasmoda nel merito e tende ad una inammissibile rivalutazione dell’operato della Corte di appello la quale, per converso, ha puntualmente indicato le fonti delle informazioni internazionali, dalle quali ha correttamente desunto l’inesistenza di una situazione di pericolo generalizzato a carico dei civili, nemmeno limitando l’analisi, ad onta di quanto postulato dal ricorrente, all’esposizione a pericolo del richiedente, con ciò pienamente conformandosi all’insegnamento di questa Corte – per il quale, v., ex plurimis, Cass. n. 14350 del 08/07/2020.

Quanto alla seconda censura, la stessa è infondata.

Premesso che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che se è vero che l’inattendibilità dei fatti narrati dal richiedente è preclusiva di ogni forma di protezione ove cada sulla sua provenienza geografica o sulla sua stessa identità, mentre quando tale inattendibilità investa il vissuto posto a fondamento della domanda di protezione, essa potrà giustificarne il rigetto solo a condizione che il rimpatrio non debba avvenire verso paesi nei quali siano esposte a rischio la vita o l’incolumità fisica del medesimo richiedente – cfr. Cass. n. 21929/2020 – va evidenziato che nel caso concreto la ritenuta valutazione di inattendibilità e credibilità del racconto del richiedente operata dal giudice di merito, correlata alle condizioni del paese di origine, ritenute non tali da cagionare pericolo all’incolumità dei civili, hanno correttamente indotto il giudice di merito a disattendere la domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In questa direzione orienta la circostanza che ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la valutazione comparativa tra l’integrazione raggiunta in Italia e la situazione soggettiva ed oggettiva nella quale il richiedente verrebbe a trovarsi nel paese di origine ove fosse rimpatriato, deve essere effettuata, con riferimento a quest’ultima, avuto riguardo al rischio di lesione dei diritti fondamentali che il ricorrente non ha nemmeno prospettato – cfr. Cass. n. 18805/2020. Rischio determinante la situazione di vulnerabilità che il giudice di merito ha espressamente escluso proprio valutando quanto riferito dal richiedente. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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