Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.125 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11955/2019 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Maiorana Roberto, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Viale Angelico n. 38;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 613/2018 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETA, depositata il 08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

FATTI DI CAUSA

S.A., nato in *****, ha proposto innanzi al Tribunale di Caltanissetta domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria od umanitaria, impugnando il provvedimento di rigetto adottato dalla Commissione territoriale.

La Corte di appello di Caltanissetta, confermando la decisione di primo grado, ha escluso la fondatezza della censura proposta dall’appellante in ordine al diniego di protezione sussidiaria, in quanto il racconto del richiedente, oltre a risultare scarno e lacunoso, non era riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, non avendo il richiedente avvertito le autorità dell’attualità del pericolo. Aggiungeva che secondo le C.O.I., già a partire dall’anno 2013, il Gambia non risultava interessato da situazione di violenza o conflitto generalizzata, trovando tale circostanza piena conferma nelle informazioni aggiornata su quel Paese, dovendosi escludere che il richiedente potesse correre alcun rischio, anche in relazione al cambio di regime seguito alla tirannia di Y.Y.. Nemmeno potevano dirsi esistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, visto che la storia personale del richiedente, peraltro non genuina, non poteva giustificarne l’accoglimento, dovendosi richiamare i principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 4455/2018.

Il S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, al quale ha resistito il Ministero dell’interno con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce l’omesso esame della questione relativa alla pericolosità e delle violenze generalizzate in Gambia che la Corte di appello avrebbe tralasciato di considerare, limitandosi ad indicare informazioni risalenti all’anno 2013 e non attuali ed a valorizzare le dichiarazioni del neo eletto presidente.

Con il secondo motivo si deduce l’omesso o errato esame delle dichiarazioni rese dal richiedente alla Commissione territoriale, ed ancora l’omessa acquisizione di fonti informative attualizzate unitamente alla mancata audizione del richiedente per chiarire eventuali deficit, non potendosi dubitare che nel caso di specie sussisterebbero, se non le condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale, quanto meno quelle della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame delle fonti informative e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Secondo il ricorrente il giudice di merito si sarebbe limitato a richiamare le dichiarazioni del Presidente del Gambia eletto nell’anno 2016 senza valutare la situazione attuale che sarebbe caratterizzata da evidente pericolo come risulterebbe da alcune fonti internazionali richiamate in ricorso.

Con il quarto motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Sarebbe mancato, secondo il ricorrente, l’approfondimento in ordine alle condizioni del paese di origine del ricorrente, dando luogo ad una motivazione apparente.

Con il quinto motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ricorrerebbero, in relazione alle condizioni socio economiche del Gambia le condizioni per il riconoscimento del permesso di soggiorno umanitario.

I primi tre motivi di ricorso, che meritano un esame congiunto, non sono fondati.

Questa Corte ha ormai ritenuto in modo consolidato che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti – cfr. Cass. n. 8819/2020, Cass., Sez. 6-1, n. 11312/2019, Cass. n. 13449/2019, Rv. 653887-01; Id., n. 13897/2019, Cass. n. 9230/2020, Cass. n. 13255/2020 – essendo il giudice tenuto ad indicare specificatamente le fonti aggiornate in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto.

Cass. n. 4037/2020, infine, ha ritenuto che il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive.

Ora, a fronte di tali indirizzo, la Corte di appello, per escludere la ricorrenza dei presupposti rispetto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha espressamente richiamato le COI relative all’anno 2013, escludendo l’esistenza di violenza generalizzata in relazione alla persistenza di una condizione ritenuta non pericolosa per la generalità della popolazione, poi agganciandole alle informazioni più recenti ed evocando la perdita del potere da parte del presidente Y.J. – che lo stesso richiedente asilo aveva indicato come pericoloso in caso di suo rientro in patria – e l’insediamento del nuovo presidente nell’anno 2016, per desumerne il cessato pericolo di violenze indiscriminate nel Paese. Tale ricostruzione è dunque esente dalle censure prospettate sotto il profilo dell’omesso esame di fonti informative attuali quanto rispetto al contenuto della decisione, per il resto invadendo il merito della pronunzia, risulta invece insindacabile in questa sede. Nè gli stralci di fonti informative riprodotte nelle censure dalla parte ricorrente consentono di ritenere che la Corte di appello sia incorsa nel travisamento delle fonti dalla stessa esaminate.

Il quarto motivo è palesemente infondato, non ricorrendo i presupposti della motivazione apparente prospettati dal ricorrente, rispondendo la sentenza al c.d. minimo costituzionale fissato dalle Sezioni unite di questa Corte – cfr. Cass., S.U., n. 8053/2014.

Quanto al quinto motivo la censura è inammissibile, avendo la Corte di appello escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza di elementi dai quali desumere che il rientro in patria del richiedente avrebbe determinato una lesione dei suo diritti fondamentali – avendo la Corte escluso espressamente tale circostanza – nè avendo il ricorrente allegato nel corso del giudizio di merito i fatti storici che avrebbero giustificato la condizione di vulnerabilità anzidetta, tenuto conto della condizione oggettiva del Paese di origine e delle condizioni personali del richiedente e al livello di integrazione dello straniero nel tessuto sociale italiano. Ne consegue che la censura investe inammissibilmente l’accertamento fattuale svolto congruamente dalla Corte di appello.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Interno della somma di Euro 2100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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