Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.12527 del 12/05/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20743-2019 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORTONA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO LATELLA, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA AMATUCCI, FABRIZIO AMATUCCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE II *****;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1103/20/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata l’11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE CAPOZZI.

RILEVATO

che:

il contribuente C.I. propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Lombardia, che ha respinto l’appello proposto avverso una sentenza CTP Milano, di rigetto del suo ricorso avverso avviso accertamento IRES, IRAP ed IVA 2014, emesso nei suoi confronti solo per le sanzioni, quale amministratore di fatto e responsabile in solido degli illeciti fiscali accertati in capo alla s.r.l. “VMC TRADING”, società cartiera ed utilizzata come schermo per commettere una serie di violazioni fiscali.

CONSIDERATO

che:

il ricorso è affidato a tre motivi;

che, con il primo motivo, il contribuente lamenta errata applicazione D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito nella L. n. 326 del 2003, e conseguente inapplicabilità D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 9 ed 11; violazione del principio del favor rei; violazione del principio dell’onere probatorio e carenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto non potevano essergli imputati i maggiori tributi dovuti dalla s.r.l. “VMC TRADING”, atteso che egli, quale amministratore di fatto di detta società, non avrebbe potuto essere chiamato a rispondere delle obbligazioni tributarie gravanti sulla società, nè delle relative sanzioni accessorie; pertanto non poteva essere applicata nei suoi confronti la più penalizzante disciplina, di cui al citato D.Lgs. n. 472 del 1997, trattandosi di fattispecie datata 2014 e quindi successiva all’entrata in vigore del citato D.L. n. 269 del 2003; il che avrebbe altresì comportato una violazione del principio del favor rei in materia sanzionatoria; inoltre non erano stati specificati gli elementi in base ai quali egli avrebbe potuto essere considerato amministratore di fatto e responsabile in solido delle sanzioni applicate alla società, essendo inconsistenti gli elementi addotti per provare il suo coinvolgimento nell’attività di gestione societaria e la sussistenza di vantaggi economici tratti dalla gestione della s.r.l. “VMC TRADING”, ritenuta società esclusivamente finalizzata al compimento di attività illecite; non era stata provata nella specie un’ipotesi di non distinzione fra il trasgressore (società) ed esso contribuente, si che le sanzioni avrebbero dovuto esser applicate solo nei confronti della società, in applicazione del citato D.L. n. 269 del 2003;

che, con il secondo motivo, il contribuente lamenta violazione art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto la motivazione della sentenza impugnata era insufficiente ed apparente, essendo essa una mera replica della sentenza di primo grado e non avendo la medesima assolutamente valutato le prove da lui offerte; non era stato poi tenuto conto che, in sede penale, erano state archiviate le accuse mosse nei suoi confronti, di un suo coinvolgimento nell’attività di frode societaria posta in essere dalla s.r.l. “VMC TRADING”;

che, con il terzo motivo, il contribuente eccepisce la nullità di entrambe le sentenze di merito, per non avere esse osservato l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, sebbene il pvc della gdf avesse avuto ad oggetto anche l’omesso versamento dell’IVA, tributo armonizzato per eccellenza; egli aveva dimostrato di aver unicamente svolto attività di agente di commercio e non già quella di gestore della società; e la mancata instaurazione del contraddittorio anticipato aveva determinato una grave violazione del suo diritto di difesa, tale da rendere illegittimo l’atto di accertamento impugnato;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;

che anche il ricorrente ha depositato memoria illustrativa;

che il primo motivo di ricorso proposto dal contribuente è infondato, atteso che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 19716 del 2013; Cass. n. 5924 del 2017; Cass. n. 28331 del 2018; Cass. n. 10975 del 2019; Cass. n. 25757 del 2020), l’esimente di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 7, comma 1, convertito nella L. n. 326 del 2003, secondo la quale le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica, non si applica nei confronti di un soggetto che, come l’odierno ricorrente, pur non rivestendo alcuna carica formale nell’organigramma della s.r.l. “VMC TRADING”, coinvolta nella vicenda, è stato riconosciuto dalla sentenza di merito, con valutazioni di merito non censurabili nella presente sede di legittimità, come compartecipe, ideatore, artefice e beneficiario delle attività illecite imputate alla società anzidetta, di cui ben poteva essere qualificato, assieme ad altri, amministratore di fatto, con conseguente applicabilità nei suoi confronti delle sanzioni previste per le violazioni in materia tributaria, alla stregua del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, comma 1, il quale include fra i soggetti responsabili per le sanzioni amministrative anche gli amministratori di fatto, al cui novero è assimilabile l’odierno ricorrente; va invero rilevato che, sebbene l’esimente di cui al sopra citato D.L. n. 269 del 2003, art. 7, è applicabile anche all’amministratore di fatto, è ragionevole escludere l’applicabilità della medesima qualora emerga, come nella specie in esame, che la s.r.l. “VMC TRADING” è stata costituita artificiosamente con finalità illecite e che l’odierno ricorrente, quale persona fisica, unitamente ad altri soggetti, ha materialmente beneficiato delle violazioni contestate alla società; in tale ipotesi quindi può fondatamente ritenersi che la persona fisica, che ha agito per conto della società, sia contestualmente trasgressore e contribuente e che la società sia una mera finzione, creata nell’esclusivo interesse di una o più persone fisiche; e il citato D.L. n. 269 del 2003, art. 7, è stato voluto dal legislatore per le ipotesi in cui era ravvisabile una differenziazione fra il trasgressore ed il contribuente, quando cioè trattavasi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, avesse compiuto violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima; il che, nella specie, non è dato ravvisare;

che è altresì infondato il secondo motivo di ricorso, atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 16736 del 2007; Cass. n. 10271 del 2016; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 10975 del 2019), il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente ricorre solo se il giudice di merito abbia omesso di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi detti elementi senza alcuna disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento e sia inficiata da così gravi anomalie e carenze da collocarla al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”, inteso come il contenuto minimo, di cui deve essere fornito una sentenza;

che, al contrario, come già in precedenza illustrato, la CTR ha esposto in motivazione una chiara “ratio decidendi” circa il contenuto dell’atto impositivo ed ha adeguatamente illustrato i motivi, per i quali ha ritenuto di confermare la sentenza di primo grado e di ritenere quindi che non spettasse al ricorrente l’invocata esimente di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito nella L. n. 326 del 2003, avendo in particolare fatto presente come l’esimente in parola era applicabile in situazioni ordinarie e non nella fattispecie in esame, nella quale era stato accertato che la s.r.l. “VMC TRADING” era una struttura fraudolenta, creata artificiosamente affinchè determinate persone fisiche, fra le quali l’odierno ricorrente, si avvalessero dello schermo societario per beneficiare di indebiti vantaggi fiscali ed economici;

che è infondato anche il terzo motivo di ricorso, con il quale il contribuente ha lamentato la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, da lui ritenuto indefettibile nella specie, nella parte in cui il pvc, emesso dalla gdf nei confronti della s.r.l. “VMC TRADING”, aveva riguardato l’omesso versamento di un tributo armonizzato, quale l’IVA; da un lato si osserva invero che l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente non riguardava l’IVA 2014 chiesta in pagamento alla s.r.l. “VMC TRADING”, ma solo le sanzioni amministrative, addebitate al contribuente siccome amministratore di fatto e responsabile in solido degli illeciti fiscali accertati in capo alla s.r.l. “VMC TRADING”, società cartiera ed utilizzata come schermo per commettere una serie di illeciti fiscali; dall’altro si rileva che, in ogni caso, per invocare la violazione del contraddittorio endoprocedimentale, con riferimento ai tributi armonizzati, quali l’IVA, il contribuente avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza di argomenti decisivi da far valere nell’omesso contraddittorio; il che, nella specie, il contribuente non ha fatto (cfr. Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015);

che il ricorso in esame va pertanto respinto, con condanna del contribuente al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 6.500,00 a titolo di compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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