LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13207/2019 proposto da:
S.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Angelico, n. 38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 129/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 26/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.
FATTI DI CAUSA
S.G., di nazionalità *****, ha proposto innanzi al Tribunale di Caltanissetta domande di riconoscimento dello status di rifugiato, delle protezione sussidiaria e di quella umanitaria, impugnando il provvedimento di rigetto adottato dalla Commissione territoriale.
La Corte di appello di Caltanissetta, confermando la decisione di primo grado, ha escluso la fondatezza delle censure proposte osservando che, rispetto al racconto del richiedente – il quale aveva riferito di essersi allontanato dal paese di origine in relazione all’omicidio del padre che, vice sindaco di un villaggio, era stato assassinato come i suoi familiari per avere denunciato brogli elettorali in occasione delle consultazioni comunali del 2008, non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, visto che l’audizione innanzi alla Commissione territoriale era stata vaga e generica, oltre che poco circostanziata e priva di prove. Parimenti infondata doveva ritenersi la censura relativa al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, non sussistendo elementi di prova dai quali desumere l’esistenza di un rischio effettivo e attuale del richiedente di subire un grave danno in caso di rientro nel Paese di origine, tanto dovendosi escludere in base ai più recenti report internazionali alla stregua dei quali doveva escludersi l’esistenza di una violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato. Analoghe conclusioni andavano espresse con riguardo alla richiesta di permesso umanitario, tenuto conto della non credibilità del racconto del richiedente. Infatti, nonostante la documentazione allegata, concernente l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ai fini del riconoscimento del permesso rilevava la credibilità del dichiarante che nel caso di specie non poteva dirsi dimostrata, nè emergendo una situazione oggettiva del paese tale da dimostrare la situazione di vulnerabilità del richiedente.
Il S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’omesso esame delle condizioni di pericolosità e di violenza generalizzata esistenti in Pakistan che il giudice di appello avrebbe tralasciato di considerare, non considerando gli elementi esposti nel report di Amnesty International.
Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ed il difetto di motivazione e travisamento dei fatti. Le conclusioni alle quali sarebbe giunto il giudice di appello in ordine all’assenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria sarebbero apodittiche e destituite di fondamento.
Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ricorrerebbero, in relazione alle condizioni socio economiche del Pakistan, i presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno umanitario.
Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha ormai ritenuto in modo consolidato che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti – cfr. Cass. n. 8819/2020, Cass., Sez. 6-1, n. 11312/2019, Cass. n. 13449/2019; Cass. n. 13897/2019, Cass. n. 9230/2020, Cass. n. 13255/2020 – essendo il giudice tenuto ad indicare specificatamente le fonti aggiornate in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto.
Cass. n. 4037/2020, ha poi ritenuto che il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive.
Ora, a fronte di tali indirizzo, la Corte di appello, per escludere la ricorrenza dei presupposti rispetto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha espressamente richiamato le COI relative agli anni 2016 e 2017, puntualmente individuando gli elementi – rapporto Easo anno 2017 – dai quali escludere l’esistenza di violenza generalizzata nella regione di provenienza in relazione alla riscontrata condizione di tensioni interne che riguardavano altra regione del Pakistan, a fronte di una situazione diversa riscontrabile nella regione del Punjiab e della città di Gujrat – luoghi di provenienza del richiedente, rispetto alle quali non era risultata l’esistenza di una violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato. Nè gli elementi riportati dal ricorrente con riguardo ad ulteriori fonti informative sono in grado di dimostrare il travisamento del contenuto delle informazioni da parte del giudice di appello con specifico riguardo alla regione del Punjab settentrionale.
Orbene, tale ricostruzione è esente dalle censure prospettate tanto sotto il profilo dell’omesso esame di fonti informative attuali quanto rispetto al contenuto delle valutazioni operate sugli elementi risultanti da tali fonti che invadono il merito della pronunzia, insindacabile in questa sede.
Analogamente, la contestazione delle valutazioni espresse dalla Corte di appello sui contenuti del racconto reso dal richiedente attengono al merito, avendo il ricorrente opposto al giudizio espresso dalla Corte una diversa conclusione in ordine alla plausibilità e coerenza delle dichiarazioni stesse che non può essere in questa sede esaminata.
Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato, dovendosi escludere l’esistenza di una motivazione apparente, alla stregua dei principi espressi a proposito del c.d. minimo costituzionale dalle Sezioni unite di questa Corte – Cass., S.U., n. 8053/2014.
Il terzo motivo è inammissibile.
Si riscontra, invero, un percorso logico giuridico che ha condotto il giudice di appello ad escludere la sussistenza dei presupposti correlati alle richieste di protezione avanzate dal richiedente, fondato per un verso sulla non credibilità della versione fornita dal medesimo e, per altro verso, sull’assenza di una situazione di grave danno nei confronti dello stesso in caso di rientro in patria.
Ed invero, la Corte di appello si è pienamente uniformata all’indirizzo espresso da questa Corte in ordine all’essenzialità della condizione di vulnerabilità in colui che viene ammesso alla protezione umanitaria, riconoscendo che non erano emersi i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza di elementi dai quali potere desumere che il rientro in patria del richiedente avrebbe determinato una lesione dei suoi diritti fondamentali, nè avendo il ricorrente dimostrato di avere allegato nel corso del giudizio di merito i fatti storici che avrebbero giustificato la condizione di vulnerabilità anzidetta.
Sulla base delle superiori considerazioni, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Interno della somma di Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021