LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15370/2019 proposto da:
C.K., rappresentato e difeso dall’avvocato Gregorace Antonio, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via della Giuliana n. 32;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4763/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.
FATTI DI CAUSA
C.K., nato in *****, ha proposto domanda di riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria innanzi al tribunale di Milano, impugnando la decisione di rigetto della Commissione territoriale. Il giudice di primo grado ha respinto la domanda con sentenza impugnata davanti alla Corte di appello di Milano la quale, con la pronunzia indicata in epigrafe, ha respinto l’impugnazione. Secondo la Corte il racconto del richiedente – a cui tenore l’allontanamento del Mali era derivato dal rischio determinato dalla contesa su un terreno già di provenienza materna dopo l’uccisione del fratello del richiedente – era non credibile e contraddittorio ed in ogni caso riguardava una vicenda priva che non coinvolgeva questioni di pubblica rilevanza, così dovendosi escludere il pericolo di persecuzioni rilevante per il riconoscimento dello status di rifugiato. Peraltro, nemmeno poteva dirsi sussistente il diritto alla protezione sussidiaria in relazione alla situazione della regione di Kayes dalla quale proveniva il richiedente, non interessata da fenomeni assimilabili a quelli di un conflitto armato interno o internazionale, stando ai rapporti internazionali specificamente indicati. La Corte di appello ha poi escluso il diritto al permesso umanitario, non rinvenendo nei confronti del richiedente una condizione di vulnerabilità, temuto conto della situazione sociale del Paese e dei legami esistenti in Mali ove permanevano la compagna e i due figli del richiedente.
Il C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, al quale ha resistito il Ministero dell’Interno, costituito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione della dir.2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007. La Corte di appello avrebbe omesso di svolgere un ruolo attivo nell’istruttoria della domanda tralasciando di indicare le contraddizioni evidenziate nel racconto del richiedente e sottraendosi all’obbligo del soccorso istruttorio.
La censura è inammissibile, risultando disancorata dalla motivazione della sentenza impugnata fondata sul carattere privatistico della vicenda prospettata dal richiedente che non poteva dunque assurgere ad elemento giustificativo della protezione internazionale e sussidiaria reclamata. Sicchè la censura in ordine al contenuto delle dichiarazioni risulta essere fuori bersaglio.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di omesso esame delle dichiarazioni del richiedente e delle allegazioni concernenti le condizioni del paese di origine. Secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe tralasciato di esaminare le notizie in ordine alla reale situazione del Mali risultanti da organi di stampa e dal sito ufficiale del Ministero degli esteri.
La censura è inammissibile in relazione alle contestazioni generiche operate rispetto alle valutazioni dettagliate che la Corte di appello ha espresso per escludere che la regione del Mali dalla quale proveniva il richiedente fosse interessata da fenomeni idonei a giustificare il ricorso alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo fondato tali conclusioni su plurime fonti informative internazionali adeguatamente esaminate. Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione al peggioramento delle condizioni generali del Mali che avrebbero dovuto giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria.
Il motivo è inammissibile, scontrandosi con gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di appello in ordine alla situazione della regione del Mali dalla quale proveniva il richiedente, i quali non possono essere rivisitati da questa Corte, non vertendosi in ipotesi di motivazione apparente o disancorata da un tessuto motivazionale intelligibile.
Con il quarto motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6, rilevando che la situazione politica del Mali avrebbe dovuto giustificare la condizione di vulnerabilità del richiedente e dunque consentire il riconoscimento del permesso umanitario.
Tale censura si scontra con la motivazione della Corte di appello – corretta in diritto e fondata su specifici profili valutativi che hanno condotto il giudicante ad escludere la condizione di vulnerabilità in capo al richiedente, considerando gli elementi già esaminati a proposito del rigetto delle domande di protezione internazionale e di collegamenti persistenti del richiedente con il paese di origine ove sono ancora presenti la compagna ed i due figli del suddetto, tali da garantire un agevole reinserimento del ricorrente in caso di rientro in patria.
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Interno della somma di Euro 2100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021