Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.129 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12391/2019 proposto da:

A.A., (alias J.A.A.), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Michele Cipriani, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 520/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 03/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/11/2020 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Trieste con la sentenza in epigrafe indicata ha rigettato l’impugnazione proposta D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, da A.A., (alias J.A.A.), cittadino del *****, della Regione del Punjb e di religione sciita, avverso l’ordinanza del locale tribunale che rigettava l’opposizione del provvedimento con cui la competente Commissione territoriale aveva disatteso la domanda di protezione internazionale del primo nella ritenuta insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del permesso per ragioni umanitarie.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza A.A. con due motivi cui resiste con controricorso l’Amministrazione intimata.

Il ricorrente ha depositato memoria tardiva (pervenuta in data 27 novembre 2020).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce: violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 25 del 2008; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a), lett. b) e lett. c) e art. 17), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); omesso e/o insufficiente esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, relativamente al diniego e/o al mancato accertamento dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte territoriale aveva negato la protezione sussidiaria, incorrendo in difetto di motivazione – con l’escludere in capo al ricorrente il pericolo di subire gravi violenze e maltrattamenti per motivi interreligiosi o da conflitti armati interni – su circostanze decisive avendo omesso ogni riferimento alla vicenda personale del ricorrente rispetto al quale aveva escluso il pericolo di vendetta e quindi di maltrattamenti e morte da parte dei componenti dell’associazione di ***** che lui stesso aveva denunciato in seguito all’uccisione dei propri familiari.

La Corte di merito aveva travisato il racconto del richiedente ritenendolo erroneamente non credibile in ragione della ritenuta contraddizione sul numero dei fratelli che sarebbero rimasti uccisi in seguito all’attacco dei ***** e sull’errore nella indicazione della percentuale della componente religiosa sciita presente in Pakistan ed a cui apparteneva il ricorrente, indicata come pari al 50%, rispetto alle altre correnti musulmane, anzichè al 20%. In tal modo sarebbero state sottovalutate le ragioni che avevano determinato la fuga dal Pakistan del richiedente, appartenente ad una minoranza religiosa in conflitto con le altre correnti musulmane, bersaglio di un attacco armato dei ***** contrari alla costruzione di un’altra moschea. Non erano stati considerati i rapporti EASO pubblicato ad agosto 2017 e quello di Amnesty International 2017-2018 sul rischio terrorismo e sulle segnalazioni di forze di sicurezza coinvolte in violazioni dei dritti umani.

Il motivo è inammissibile.

Quanto al giudizio di non credibilità del racconto reso dal richiedente, per costante giurisprudenza di questa Corte di Cassazione si tratta di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass., n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 21142 del 07/08/2019; Cass., n. 11925 del 19/06/2020).

La Corte ha ritenuto, in modo non censurabile, la contraddizione del racconto per profili non secondari quali il numero delle persone uccise della propria famiglia all’esito del riferito attentato nei due differenti contesti in cui è avvenuto il racconto, dapprima davanti alla commissione e quindi in udienza davanti al giudice, ha dato conto di una percentuale di presenza in Pakistan degli sciiti tale da escludere la descritta situazione di pericolo, esprimendo quindi una ragione che non si espone a vizio di motivazione come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte.

Nel suo complesso, quindi, il formulato giudizio non manca di contenuti di certezza e completezza tali da metterne in fondata contestazione la motivazione.

La non credibilità del racconto sottrae fondatezza ad ogni critica su oneri di collaborazione istruttoria circa le condizioni del Paese di origine integranti la protezione sussidiaria per i profili relativi al rischio individualizzato (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)), e tanto ferma la distinzione tra situazione oggettiva del paese di origine e condizioni individuali del soggetto richiedente.

E’ evidente che il giudice, mentre è tenuto a verificare, anche d’ufficio, se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente medesimo, non può, al contrario, essere chiamato a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale di costui, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 15/09/2020 n. 19177).

Sulla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno nel Punjab, la Corte di merito formula un giudizio di insussistenza all’esito dello scrutinio di fonti ufficiali aggiornate di cui dà conto in motivazione (Rapporto PIS Pak Institute for Peace Studies dell’agosto 2017; Rapporto Coi dell’agosto 2017).

Il motivo contrappone alla motivazione differenti letture non destinate a segnalare delle prime travisamenti o rilevanti superamenti per successive fonti, in tal modo traducendosi in una non consentita critica di mero merito (Cass. 18/02/2020 n. 4037).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19); in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 1 e 3, ed omesso e/o insufficiente esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, relativamente al diniego e/o al mancato accertamento dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il giudizio di bilanciamento tra la posizione del ricorrente nel Paese di origine e l’integrazione in Italia è stato infatti svolto dalla Corte di merito che ha ritenuto l’insussistenza nel Paese di origine di situazioni estreme, tali da escludere la titolarità e l’esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per situazioni di vulnerabilità personale, dopo avere escluso, altresì, legami familiari e sociali in Italia.

Il giudizio, conforme al paradigma normativo, resta quindi in modo non decisivo contrastato in ricorso, in cui l’esponente deduce sulla natura del proprio rapporto di lavoro in essere in Italia (a tempo determinato ma rinnovato di volta in volta) e ancora sulla condizione del Paese di origine senza però correlare queste ultime deduzioni in punto di vulnerabilità personale.

In sentenza è stata infatti valorizzata la non credibilità del racconto reso che, per l’appunto, proprio di quelle condizioni di vulnerabilità finisce per escludere la sussistenza.

3. Il ricorso è conclusivamente inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Ministero dell’Interno le spese di lite che liquida in Euro 2.100,00 otre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2001, rt. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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