Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.133 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12473/2019 proposto da:

M.U., alias M.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’ n. 11, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 554/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 21.3.2017 il Tribunale di Trieste rigettava il ricorso proposto da M.U., alias M.U., avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello il M. e la Corte di Appello di Trieste, con la sentenza impugnata, n. 554/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione M.U. affidandosi ad un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2 Cost., 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, ratificato in Italia con L. n. 881 del 1977, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente valutato la sua storia personale, denegando il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile. Il richiedente aveva riferito di esser fuggito dal Pakistan, suo Paese di origine, perchè perseguitato dalla famiglia di origine della sua fidanzata, che osteggiava la relazione tra i due giovani. La Corte di Appello ha ritenuto la storia non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, ha escluso la sussistenza, in Pakistan, di un contesto di violenza generalizzata rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha denegato infine la tutela umanitaria, a fronte della rilevata assenza di idonea integrazione del richiedente nel tessuto socio-economico italiano (cfr. pag. 7 della sentenza).

Il diniego della protezione internazionale, come già detto, non è attinto dalla censura proposta dal ricorrente, che concerne soltanto la mancata concessione della tutela umanitaria, senza tuttavia contrapporre al giudizio della Corte territoriale alcun elemento specifico a sostegno della propria integrazione. A pag. 7 del ricorso si accenna soltanto al fatto che il M. avrebbe trovato, in Italia, una “… comunità di riferimento che lo ha accolto e che lo sta accompagnando nel suo percorso di integrazione socio-lavorativa, che lo vede attualmente occupato”, ma non si chiarisce di quale tipologia di rapporto di lavoro di tratti, quando esso abbia avuto inizio, quali siano le sue caratteristiche essenziali (durata, natura, retribuzione, ecc.), nè in quali termini il richiedente si sarebbe inserito nella predetta comunità. Va ribadito, sul punto, che ai fini della concessione della tutela umanitaria il richiedente deve dimostrare di essere esposto, in caso di rimpatrio, al rischio di subire una lesione al nucleo ineludibile dei suoi diritti fondamentali, nella declinazione che di tale concetto è stata affermata dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U., Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471). Tale valutazione si articola in un procedimento complesso, che parte dall’esame del contesto interno esistente nel Paese di origine del richiedente, prende in considerazione il suo livello di integrazione socio-lavorativa in Italia ed apprezza, alla luce di tali elementi, il rischio di compromissione dei suoi diritti umani che potrebbe derivare da un eventuale rimpatrio. L’integrazione, pertanto, deve essere documentata in modo preciso e, comunque, non esaurisce l’ambito della complessa ed articolata valutazione demandata al giudice di merito. Poichè nel caso specifico il ricorrente non indica in modo preciso alcun elemento concreto che il giudice di merito non avrebbe considerato o avrebbe considerato in modo non corretto, la doglianza non appare assistita dal necessario grado di specificità.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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