Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.144 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 442-2020 proposto da:

E.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI 8, (Studio avvocato SALVATORE FACHILE), presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VERRASTRO, rappresentato e difeso dall’avvocato GENNARO ROMANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1714/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/04/2019, R.G.N. 3551/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

CHE:

– E.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia, depositata il 29 aprile 2019, di reiezione dell’impugnazione dal medesimo proposta avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., emessa dal locale Tribunale che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale, nonchè sussidiaria e della protezione umanitaria ovvero, in ulteriore subordine, il diritto di asilo;

– dall’esame della decisione impugnata emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era originario della ***** e che si era allontanato dal Paese di origine per sfuggire ai sacerdoti della comunità spirituale di ***** che volevano imporgli di seguire le orme paterne e diventare capo della comunità spirituale *****;

– il Tribunale ha disatteso l’opposizione, evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento delle protezioni sussidiaria e umanitaria richieste e la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– il Ministero dell’Interno ha presentato memoria ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza ex art. 371 c.p.c..

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo la parte deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nonchè la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e i A, n. 2, par. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 in ordine alla non credibilità del ricorrente;

– con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B e c in relazione alla situazione di violenza generalizzata esistente in *****;

– con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè motivazione apparente in relazione al riconoscimento di un permesso per la protezione umanitaria;

– va premesso che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– relativamente, poi, alla denunziata motivazione apparente, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020, SU n. 16599 del 05/08/2016);

– orbene, nel caso di specie, la articolata e diffusa motivazione della Corte d’Appello inerente la ritenuta non credibilità del ricorrente esclude in radice la configurabilità di una motivazione apparente;

– in particolare, il Collegio ha sottolineato, oltre alla confusione e scarsa attendibilità del racconto, la assenza di verosimiglianza, l’illogicità ed incoerenza del racconto in ordine alla conversione del richiedente ed alla volontà di sottrarsi al destino di “oracle man” assegnatogli dai sacerdoti nonchè, in particolar modo, circa le persecuzioni che ne sarebbero conseguite difettando qualsivoglia elemento di riscontro sul piano fenomenologico prima che eziologico, soprattutto con riguardo alle descritte pratiche magiche;

– la Corte ha infatti evidenziato il carattere estremamente stereotipato del racconto e permeato da anomale credenze circa la stregoneria, più che dalla fede cristiana o musulmana ed ha approfonditamente motivato anche sulla epoca remota dei fatti asseritamente accaduti (2010) nonchè sulla possibilità per il richiedente di essere adeguatamente tutelato dalle autorità di polizia qualora incorresse in pericoli;

– tale impostazione va riferita alla protezione internazionale nel suo complesso (status di rifugiato e protezione sussidiaria);

– ne consegue che, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., ord., 20 dicembre 2018, n. 33096);

– con riferimento, quindi, all’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) la Corte ha ritenuto non sussistere alcuna situazione di violenza indiscriminata: al riguardo, la Corte ha effettuato una approfondita disamina della situazione politica e sociale della ***** sulla base delle COI, concludendo, per mezzo dell’esame di fonti accreditate, per l’esistenza di una fase di ripresa dopo il periodo di crisi politica e militare degli anni 2010-2011;

– così argomentando, ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che richiede, ai fini della sussistenza del grave danno rilevante per il riconoscimento della protezione sussidiaria, che la minaccia seria e individuale alla vita o alla persona di un civile derivi dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

– infine, il Collegio ha escluso l’esistenza degli estremi per la protezione umanitaria di cui al Tu n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 nella formulazione vigente ratione temporis, escludendo una situazione grave personale oggettiva che non consenta l’allontanamento dal territorio nazionale trattandosi di rimedio residuale ed estremo da valutarsi alla luce di un esame comparativo fra le condizioni di vita riconosciute dai due Paesi e nulla essendo stato allegato a sostegno della dedotta peculiare vulnerabilità (sul punto, ex plurimis, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455);

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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