Mentre l’omesso esame del fatto sostanziale o processuale è suscettibile di dare luogo rispettivamente al vizio motivazionale o alla violazione di norma processuale, l’errore revocatorio implica l’attività di falsa supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto processuale o sostanziale, non oggetto di controversia fra le parti, incontrastabilmente escluse, l’esistenza o inesistenza, dagli atti o documenti della causa.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 36259-2018 proposto da:
REGIONE BASILICATA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 56, presso l’UFFICIO RAPPRESENTANZA dell’ente REGIONE BASILICATA, rappresentato e difeso dall’avvocato VALERIO DI GIACOMO;
– ricorrente –
contro
SITA SPA IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANTA CATERINA DA SIENA, 46, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GRECO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
TRENITALIA SPA, domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
COMUNE MARATEA, COMUNE MATERA, SOCIETA’ FERROVIE DELLO STATO SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 11257/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 10/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;
– udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO.
FATTO DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Potenza rigettò gli appelli proposti rispettivamente da Trenitalia s.p.a. e SITA s.p.a. in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Potenza che aveva rigettato la domanda proposta da Trenitalia nei confronti della Regione Basilicata, del Comune di Maratea e del Comune di Matera ed accolto quella proposta nei confronti di SITA. Avverso la sentenza di appello proposero ricorso principale per cassazione SITA e ricorso incidentale Trenitalia. Con sentenza di data 10 maggio 2018 n. 11257 la Corte di Cassazione accolse entrambi i ricorsi, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Per quanto qui rileva, la Corte di legittimità affermò, in sede di esposizione dei fatti di causa, che in relazione al ricorso notificato da SITA avevano resistito con controricorso Trenitalia, la quale aveva altresì proposto ricorso incidentale, ed il Comune di Maratea, il quale aveva notificato ulteriore controricorso per resistere al ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il motivo di ricorso si denuncia l’esistenza di vizio revocatorio ai sensi dell’art. 394 c.p.c., n. 5. Osserva la ricorrente, premesso che la Regione Basilicata non aveva partecipato al giudizio di legittimità, che la Regione si era costituita in appello con il nuovo difensore avv. Valerio Di Giacomo, in sostituzione dei precedenti difensori cessati dal servizio alle dipendenze dall’ufficio legale dell’ente, e che la notifica del ricorso per cassazione da parte di SITA non era stata indirizzata al predetto difensore ed era da reputare inesistente in quanto in violazione dell’art. 330 c.p.c. (che identifica nel procuratore il destinatario della notifica dell’impugnazione). Aggiunge che vi era stato errore revocatorio a causa dell’errata percezione della circostanza che il ricorso era stato notificato a tutte le parti intimate presso i domiciliatari procuratori costituiti nel grado di appello, mentre ciò non era avvenuto nei confronti della Regione Basilicata. Conclude nel senso che, in presenza del vizio della notifica, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile.
2. Il motivo è inammissibile. Va premesso che non vi è tardività del ricorso, come eccepito dalla controricorrente Trenitalia s.p.a., per essere decorso il termine breve di impugnazione con la notifica dell’atto di riassunzione del giudizio di rinvio, perchè la decorrenza del termine breve per l’impugnazione presuppone la notificazione della sentenza, alla quale, nel caso in cui sia impugnata per revocazione una sentenza della Corte di Cassazione, non è equipollente la notifica del ricorso in riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio operata dalla controparte (Cass. 3 luglio 1987, n. 5851).
2.1. La revocazione della sentenza di cassazione è consentita per vizi del procedimento di cui non si sia tenuto conto per un errore di fatto, ovvero per un errore percettivo che può riguardare anche l’esame degli atti dello stesso processo di cassazione (fra le tante Cass. 4 gennaio 2006, n. 24). Affinchè sia ammissibile il ricorso per revocazione è necessario che la valutazione di corretta instaurazione del rapporto processuale, che è quanto corrisponde al caso di specie, sia inficiata non da un errore di diritto, per avere considerato valida una notificazione altrimenti invalida, ma da un errore di fatto, rilevante quale errore percettivo per avere il giudice supposto esistente un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa e viceversa, secondo quanto chiaramente espresso dall’art. 395 c.p.c., n. 4.
In tale quadro è stato affermato che nel caso in cui venga denunciato il non essersi avveduta la Corte di Cassazione della nullità della notificazione del ricorso perchè effettuata presso l’Avvocatura distrettuale e non presso l’Avvocatura generale dello Stato, ciò che viene in rilievo è non già la percezione di un fatto inesistente, affermato come esistente, ma unicamente il mancato apprezzamento in termini di nullità della notificazione del ricorso e dunque la denuncia di un errore di giudizio (Cass. 15 novembre 2013, n. 25654). E’ stato ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione proposto sull’assunto che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto validi l’avviso di fissazione dell’udienza dinanzi a sè e la relativa notificazione, trattandosi di prospettato errore di diritto e non di fatto (Cass. 4 gennaio 2006, n. 24). Si è anche affermato che non integra un errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, l’omesso rilievo di un vizio concernente la ritualità della notificazione dell’atto di impugnazione sotto il profilo del luogo in cui è stata eseguita (Cass. 20 dicembre 2016, n. 26278). Infine è stata ritenuta inammissibile la domanda di revocazione della sentenza emessa a conclusione di giudizio in cui l’avviso di udienza sia stato notificato presso la cancelleria, e non all’avvocato domiciliatario, trasferito altrove, quando risulti che questi non aveva comunicato in cancelleria il mutamento di indirizzo dello studio, non assumendo alcun rilievo la conoscenza del nuovo indirizzo, che l’ufficiale giudiziario abbia potuto acquisire in qualsiasi modo (Cass. 31 agosto 2005, n. 17593).
Determinante ai fini dell’esistenza dell’errore revocatorio è che vi sia stata un’attività percettiva da parte del giudice la quale si sia tradotta nel supporre esistente un fatto la cui esistenza sia incontrovertibilmente esclusa dagli atti. Cass. 21 luglio 2010, n. 17110 ha chiarito in modo efficace la differenza fra il supporre (erroneamente) l’esistenza del fatto e l’omessa (attività) di valutazione: “la viziata percezione, la supposizione errata della sussistenza o insussistenza del fatto, dovrà necessariamente essere espressa e mai implicita, posto che in tal caso sussisterebbe piuttosto vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. In tal senso, ove l’errore del giudice non sia frutto di un’errata supposizione, direttamente desumibile dagli atti e documenti di causa, circa la sussistenza di un fatto decisivo e non contestato, ma di un’omessa percezione di tale fatto, essa non potrà integrare gli estremi dell’errore revocatorio, ricadendo, al contrario, nell’ambito di un’omessa valutazione dei fatti di causa, che sarebbe censurabile ex art. 360 c.p.c., n. 5, se si riferisse a fatti sostanziali, ovvero ex art. 360 c.p.c., n. 4, ove si trattasse di omesso esame di fatti processuali”. La citata pronuncia ha quindi concluso nel senso che la mera tardiva proposizione del ricorso per Cassazione, chiaramente desumibile dagli atti ma non rilevata in sentenza, non integra un errore di fatto idoneo a giustificare la revocazione della pronuncia di legittimità ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.
Alla stregua di quanto osservato da tale pronuncia, non è il mero mancato rilievo della tardiva proposizione del ricorso a fondare l’errore revocatorio, ma la circostanza che quel mancato rilievo sia derivato da una (erronea) supposizione che un fatto sarebbe (o non sarebbe) esistente, supposizione esplicitata nella motivazione del provvedimento revocando. L’uno, il mancato rilievo, corrisponde ad una mera violazione processuale, l’altro è invece errore percettivo, tradottosi in supposizione, avente portata decisiva ai fini della violazione processuale. L’omesso esame della circostanza processuale non corrisponde alla falsa percezione perchè, mentre quest’ultima comporta l’erronea supposizione, esso resta un fatto che non si traduce in alcuna attività ed a cui la legge collega unicamente l’effetto del vizio motivazionale o della violazione processuale.
In continuità a tale impostazione è stato di recente affermato (in termini significativi per la presente fattispecie) che “l’implicita declaratoria di rituale instaurazione del contraddittorio – che questa Corte deve effettuare ex officio – scaturente dall’avere la sentenza qui impugnata ritenuto i lavoratori “intimati” (pag. 3), senza rilevare la pretesa nullità della notificazione del ricorso per cassazione, non costituisce errore di percezione tale da configurare un vizio revocatorio il quale postula che la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa e non sia frutto di valutazione o di giudizio, risultando dagli atti e documenti senza che sia contestata dalle parti e senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche” (Cass. 13 febbraio 2019, n. 4235).
E’ invece affetta da errore di fatto revocatorio la decisione della Corte di cassazione che si fondi sull’asserita mancanza della notifica del ricorso per cassazione ove questa invece risulti dagli atti (Cass. 10 luglio 2015, n. 14420), o ancora la decisione in cui il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame sull’erroneo presupposto della non corretta notifica del suo atto introduttivo (Cass. 14 novembre 2016, n. 23173). Costituisce errore revocatorio anche l’erronea individuazione della data di notifica dell’atto (Cass. 30 gennaio 2019, n. 2712). Cass. 5 novembre 2018, n. 28143 ha poi sì ritenuto ammissibile la revocazione della sentenza di cassazione che, senza statuire sulla validità della notifica e sulla tempestività della proposizione del ricorso, abbia ritenuto correttamente instaurato il rapporto processuale per effetto di una falsa percezione della realtà, ma perchè nella motivazione della sentenza vi era stata la supposta avvenuta costituzione della parte intimata, smentita con evidenza dagli atti, per difetto di prova dell’avvenuta consegna del piego raccomandato al destinatario indicato nell’atto. In tutti questi casi emerge un’attività percettiva, la quale si sia tradotta nella positiva supposizione in motivazione di un fatto, incontrovertibilmente contraddetta dagli atti, e non la mera difformità a diritto della decisione.
2.2. Il motivo di revocazione in esame non denuncia l’esistenza di un’erronea supposizione che sarebbe stata compiuta dalla Corte e che si sarebbe manifestata nella motivazione, ma la mera circostanza della mancata notifica del ricorso al difensore nella persona dell’avv. Valerio Di Giacomo e tale fatto processuale viene nel motivo qualificato come in violazione dell’art. 330 c.p.c.. Ciò che quindi si denuncia è la mera non ritualità della notificazione. A quest’ultimo proposito la ricorrente si limita ad affermare che il ricorso era stato notificato a tutte le parti intimate presso i domiciliatari procuratori costituiti nel grado di appello, mentre ciò non era avvenuto nei confronti della Regione Basilicata, ma così facendo ribadisce il fatto processuale della mancata notifica alla persona del procuratore, senza denunciare uno specifica supposizione che sia stata espressione di un errore di percezione degli atti processuali. E’ bene precisare che nella motivazione della sentenza impugnata ciò che si suppone esistente è solo che in relazione al ricorso notificato da SITA avevano resistito con controricorso Trenitalia, la quale aveva altresì proposto ricorso incidentale, ed il Comune di Maratea, il quale aveva notificato ulteriore controricorso per resistere al ricorso incidentale.
Quanto si afferma nella memoria presentata dal ricorrente (non vi sarebbe stata disamina della questione e dunque l’errore non potrebbe essere di diritto) non sposta i termini del problema perchè, come sopra si è osservato, ciò che si denuncia è il mero fatto del vizio di notifica (tale da rifluire in errore di diritto). Per riprendere quanto affermato dalla citata Cass. 21 luglio 2010, n. 17110, la mera mancanza di disamina della questione, integrando una mera omissione e non un’attività percettiva (sia pure erronea), è suscettibile di integrare astrattamente una violazione processuale, ma non l’errore revocatorio, che implica la positiva (ed erronea) supposizione di un fatto. La parte ricorrente confonde in definitiva l’effetto giuridico (in termini di invalidità per la asserita violazione processuale) con l’attività del giudice, la quale comporta una percezione e la relativa supposizione, come recita l’art. 395, n. 4. Fatto costitutivo della revocazione è in definitiva non l’effetto della violazione processuale, ma l’eventuale attività percettiva e di supposizione, manifestatasi nella motivazione, che costituisca la causa di quell’effetto (da cui anche la necessaria decisività dell’errore revocatorio).
E’ appena il caso di aggiungere che l’asserito errore di fatto (rectius di diritto) non avrebbe efficacia di decisività in relazione all’effetto che la ricorrente deduce quale scopo della proposta revocazione. A quest’ultima conseguirebbe non l’inammissibilità del ricorso Sita e la perdita di efficacia di quello tardivo di Trenitalia, come sostenuto dalla ricorrente, ma l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione, stante la tempestiva notifica del ricorso nei confronti delle altre parti intimate, in posizione di litisconsorzio necessario processuale. L’istanza proposta ai fini rescissori è quindi limitata alla mera inammissibilità del ricorso per il difetto di notifica, mentre nessuno argomento difensivo (che avrebbe caratterizzato l’eventuale controricorso) viene speso ai fini del rigetto del ricorso (sulla rilevanza della parte del ricorso destinata alla fase rescissoria, Cass. 14 novembre 2006, n. 24203; 3 settembre 2002, n. 12816).
2.3. Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: “mentre l’omesso esame del fatto sostanziale o processuale è suscettibile di dare luogo rispettivamente al vizio motivazionale o alla violazione di norma processuale, l’errore revocatorio implica l’attività di falsa supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto processuale o sostanziale, non oggetto di controversia fra le parti, incontrastabilmente escluse, l’esistenza o inesistenza, dagli atti o documenti della causa”.
3. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Il Comune di Maratea nel proprio controricorso ha prestato adesione al ricorso proposto dalla Regione: va quindi condannato in solido alla ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente ed il Comune di Maratea in solido fra di loro al pagamento, in favore di Trenitalia s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la ricorrente ed il Comune di Maratea in solido fra di loro al pagamento, in favore di SITA s.p.a. in liquidazione, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021