Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1468 del 25/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29212/2016 proposto da:

A.G., + ALTRI OMESSI, domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Cannellini Edoardo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Consorzio GE.SE.CE.DI. – Gestione Servizi Centro Direzionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Sabotino n. 12, presso lo studio dell’avvocato Savini Luca, rappresentato e difeso dagli avvocati Cimadomo Bruno, Fiorentino Matteo Maria, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria n. 29, presso lo studio dell’avvocato Fiorentino Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Morrone Maria, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3848/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/11/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato in data 18 ottobre 2005 gli attori, indicati in epigrafe, convenivano in giudizio S.C.I.P. s.p.a. e il Consorzio GE.SE.CE.DI. per sentir dichiarare la nullità della clausola, inserita nei contratti di compravendita degli immobili da loro stipulato con S.C.I.P., di adesione al consorzio e, subordinatamente, il suo annullamento per errore di diritto; chiedevano altresì accertarsi la legittimità del recesso per giusta causa dal Consorzio, l’obbligo di S.C.I.P. di tenerli indenni dalle somme versate e da versare a titolo di partecipazione al Consorzio e l’accertamento della nullità delle delibere che disponevano il pagamento degli oneri consortili.

Nella resistenza del Consorzio, il quale spiegava una riconvenzionale che qui più non rileva, e dell’I.N.P.D.A.P., quale procuratrice di S.C.I.P., il Tribunale di Napoli rigettava tutte le domande.

2. – Proposto appello, la Corte partenopea pronunciava sentenza con cui faceva proprie le considerazioni svolte in una propria precedente pronuncia resa con riferimento a una identica vicenda.

Attraverso il richiamo alla suddetta decisione veniva in sintesi evidenziato: che l’adesione dei proprietari delle unità immobiliari non si configurava quale obligatio propter rem, ma quale atto volontario di adesione al consorzio, espresso dagli acquirenti al momento della stipula dei loro contratti di compravendita; che tale obbligazione era stata resa pienamente opponibile ai successivi acquirenti mediante la pubblicità conseguente alla trascrizione dell’atto costitutivo dello statuto del Consorzio, oltre che con l’obbligo generalizzato di trasfusione della relativa disposizione negli atti di acquisto delle unità immobiliari; che non era fondato l’assunto secondo cui la clausola contrattuale sarebbe nulla o inefficace nella parte in cui negava la facoltà di recesso, giacchè alla stessa non era applicabile la disciplina propria delle negoziazioni predisposte mediante moduli o formulari; che doveva escludersi l’annullamento dei contratti per errore, posto che gli attori non avevano dimostrato che la venditrice avesse riconosciuto l’erroneità della loro determinazione volitiva nell’accettare la pattuizione di adesione al Consorzio; che l’esclusione del diritto di recesso dei consorziati trovava fondamento nel rilievo per cui, venendo in questione un consorzio di urbanizzazione, il consorziato non poteva recedere senza disporre in favore di terzi del bene; che il meccanismo associativo risultava frutto della libera volizione degli acquirenti, i quali non avevano motivo di dolersi della previsione statutaria in base alla quale il soggetto legittimato a partecipare alle assemblee del Consorzio era l’amministratore del condominio o un rappresentante comune.

La Corte di merito respingeva, pertanto, il gravame dei consorziati.

3. – Avverso detta pronuncia, resa il 27 ottobre 2016, gli appellanti soccombenti hanno proposto un ricorso per cassazione articolato in otto motivi. Resistono con controricorso il Consorzio GE.SE.CE.DI. e l’I.N.P.S., già costituito in appello quale procuratore speciale di S.C.I.P.. Detto Consorzio ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Occorre premettere che C.T., erede del ricorrente C.F., ha dichiarato di rinunciare all’azione e al diritto fatto valere in giudizio. La rinuncia determina la cessazione della materia del contendere e implica che le spese debbano restare a carico del rinunciante (Cass. 10 settembre 2004, n. 18255).

2. – Prendendo ora in esame la posizione degli altri ricorrenti, il primo motivo di impugnazione oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, oltre che la nullità della sentenza per carenza materiale di motivazione. La censura investe la modalità prescelta di esposizione delle ragioni della decisione: modalità che si è concretata nell’integrale richiamo agli argomenti trattati in altra sentenza.

Il secondo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., art. 143 c.p.c., art. 25 Cost., comma 1 e art. 111 Cost., comma 6 e la nullità della sentenza per carenza giuridica di motivazione. Viene opposto che non può considerarsi motivazione adeguata quella operata attraverso la trascrizione pura e semplice di una sentenza resa con riferimento a un diverso giudizio.

I due motivi sono infondati.

Va richiamato il principio, enunciato dalle Sezioni Unite, per cui, nel processo civile, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (Cass. Sez. U. 16 gennaio 2015, n. 642; in senso conforme: Cass. 8 maggio 2015, n. 9334; Cass. 7 novembre 2016, n. 22562). Le doglianze di parte ricorrente, che sono incentrate sulla impraticabilità della modalità redazionale consistente nella trascrizione, nella sentenza impugnata, della motivazione di altra decisione resa dalla Corte di Napoli con riguardo alla stessa vicenda, non colgono, dunque, nel segno.

3. – Con il terzo motivo è dedotto l’omesso esame circa la reale natura dell’obbligazione prevista dalla clausola contrattuale (art. 2) – che andrebbe qualificata propter rem -, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha ritenuto che fosse sufficiente una volontaria adesione al Consorzio per escludere l’obbligazione propter rem.

Il motivo è inammissibile.

La natura dell’obbligazione dedotta in lite è un elemento giuridico, onde l’ipotetico errore compiuto dal giudice nell’ometterne l’esame non può essere fatto valere con la censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la quale, come è noto, deve avere ad oggetto un fatto storico, principale o secondario (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

Si osserva, peraltro, che l’assunto da cui muovono i ricorrenti -secondo i quali l’adesione al Consorzio GE.SE.CE.DI. dei proprietari costituirebbe oggetto di una vera e propria obligatio propter rem non prevista dalla legge – è stato già sconfessato da questa Corte in giudizi in cui veniva in esistenza la medesima fattispecie qui trattata. E’ stato rilevato, in proposito, che la fonte degli obblighi del consorziato non discende dal titolo di proprietà – e quindi, può aggiungersi, da una obligatio propter rem atipica – ma dalla contrattualizzazione dell’obbligo ovvero dalla imposizione del vincolo nel regolamento condominiale e nel contratto di acquisto, con relativa accettazione della convenzione da parte del proprietario associato che è tenuto al pagamento degli oneri consortili, non in quanto proprietario e nemmeno in quanto condomino, ma per la sua volontaria adesione al contratto aperto, per effetto del quale il consorzio è stato costituito (Cass. 27 maggio 2019, n. 14440, in motivazione, ove il richiamo a Cass. 19 luglio 2007, n. 16071, non massimata). Infatti, in tema di consorzi di urbanizzazione, deve ritenersi pienamente lecito il meccanismo di adesione al consorzio predisposto dall’autonomia privata e che si attua attraverso la semplice stipulazione del contratto di compravendita di una unità immobiliare ricadente nel comprensorio, essendo tale adesione – alla quale si ricollega l’assunzione dei corrispondenti obblighi dell’aderente – contemplata sia da una clausola statutaria, che implica il preventivo assenso degli altri proprietari di immobili partecipanti al consorzio, sia dallo stesso atto di trasferimento immobiliare, espressione della volontà di partecipare al consorzio del nuovo acquirente (Cass. 22 settembre 2016, n. 18560; Cass. 27 maggio 2019, n. 14440, cit.).

4. – Il quarto motivo denuncia l’omesso esame della nullità della clausola contrattuale e la violazione delle condizioni economica di vendita precostituite ex lege in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. L’istante si duole di ciò: nonostante avesse dedotto, in un motivo di appello, che la clausola in contestazione era nulla per contrarietà a norme imperative, in quanto incideva sul valore economico della compravendita il cui prezzo era predeterminato per legge, la Corte di appello aveva omesso l’esame della questione.

Il motivo è inammissibile.

Gli istanti si dolgono, in sintesi, dell’omessa pronuncia su di un motivo di appello, e, nello specifico, della mancata statuizione sulla questione afferente un particolare profilo di nullità della clausola di adesione al Consorzio contenuta nei contratti da loro conclusi: profilo che era stato escluso dal giudice di prima istanza. Ebbene, tale doglianza non è certamente riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 16 marzo 2017, n. 6835; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23930), fatto valere dall’istante.

Si osserva, per completezza, che il motivo di ricorso sottende una questione di diritto, afferente la possibilità di rinvenire nel disposto del D.L. n. 351 del 2001, art. 3, commi 7 e 8, convertito in L. n. 410 del 2001, prescrizioni di divieto quanto all’inserzione, nei rispettivi contratti di compravendita, di clausole di adesione quale quella che qui viene in esame. Posto, quindi, che la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass. Sez. U. 2 febbraio 2017, n. 2731), va osservato -in conformità, del resto, a quanto già osservato dal Tribunale – che i richiamati dell’art. 3, commi 7 e 8, hanno esclusivamente riguardo al prezzo di vendita degli immobili oggetto di cessione e nulla dispongono quanto ad altri aspetti dell’affare, come appunto, la partecipazione, da parte dell’acquirente, a consorzi di urbanizzazione.

5. – Col quinto mezzo è opposta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La contestazione investe l’affermazione della Corte distrettuale che aveva ravvisato nell’assunzione della qualità di membro del Consorzio determinata dall’acquisto dell’immobile, la volontà espressa di aderire al medesimo; infatti – è spiegato – “(n)on esiste alcuna manifestazione di libera volontà di partecipare al Consorzio, ma, al contrario, la constatazione (peraltro falsamente indotta) che (il compratore) “per effetto dell’acquisto ha automaticamente aderito al Consorzio”.

Il motivo è inammissibile.

Esso non coglie il senso della pronuncia impugnata, la quale ha conferito rilievo dirimente alla volontà degli acquirenti, per come manifestata al momento del perfezionamento della compravendita, attraverso la sottoscrizione del contratto: ricorda infatti la Corte di appello che in tale contratto era previsto che, per effetto della compravendita dell’unità immobiliare, l’acquirente accettasse di divenire membro del Consorzio (pag. 4 della sentenza impugnata).

6. – Col sesto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 18 Cost., quanto all’obbligo di aderire al Consorzio per poter acquistare l’alloggio; viene inoltre prospettato un vizio della volontà ex art. 1390 c.c.. E’ osservato che la Corte di appello avrebbe oscillato “tra la volontà di aderire al Consorzio e l’automatismo di tale adesione, senza rendersi conto che in realtà le due tesi si elidono a vicenda”.

Il motivo è inammissibile.

La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. 15 giugno 2018, n. 15879; Cass. 17 febbraio 2014, n. 3708). Oltretutto, questa Corte ha già evidenziato che il meccanismo negoziale predisposto nella fattispecie non produce alcuna violazione alla libertà di associazione, giacchè la partecipazione al Consorzio è riconducibile alla volontà del consorziato espressa al momento dell’acquisto e alla volontà di accettare le condizioni contrattuali del trasferimento, inclusa la clausola di adesione obbligatoria al GE.SE.CE.DI, unitamente alle regole statutarie (Cass. 27 maggio 2019, n. 14440, cit., in motivazione).

La censura fondata sulla violazione dell’art. 1390 c.c., è, poi, obiettivamente incomprensibile, giacchè nè la sentenza impugnata nè il ricorso fanno precisamente questione della rappresentanza e, correlativamente, di un problema di riferibilità dei vizi della volontà – tali da determinare l’annullamento del contratto – alle (non meglio identificate) persone del rappresentante o del rappresentato.

7. – Il settimo motivo di impugnazione lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1373 c.c.. E’ spiegato che l’affermazione per cui nei consorzi di urbanizzazione il consorziato non può recedere dal consorzio senza disporre in favore di terzi del bene che forma oggetto della partecipazione non può valere per le associazioni che non prevedano limiti di durata (limiti reputati nella fattispecie insussistenti, posto che l’atto costitutivo prevedeva che il temine di durata fissato all’anno 2019 fosse prorogato fino all’esaurimento dello scopo consortile).

Il motivo è infondato.

I ricorrenti mancano di considerare la natura del consorzio di urbanizzazione.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, i consorzi di urbanizzazione, consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi, sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità (Cass. 13 aprile 2017, n. 9568; Cass. 14 maggio 2012, n. 7427; Cass. 28 aprile 2010, n. 10220; cfr. pure: Cass. 9 febbraio 2007, n. 2877; Cass. 21 marzo 2003, n. 4125).

Nella specie, lo statuto prevede, come ricorda la sentenza impugnata, che il Consorzio abbia durata fino al 2019, o fino al momento di conseguimento dello scopo consortile e che il singolo consorziato non possa sciogliersi dal vincolo se non trasferendo ad altri la proprietà immobiliare.

Tali previsioni sono pienamente coerenti con la natura dei consorzi di urbanizzazione e non vi è modo di affermarne l’illegittimità. Come è noto, il singolo comunista non ha il potere di sottrarsi alle spese necessarie per la conservazione il godimento della cosa comune se non liberandosene con la rinuncia al suo diritto (art. 1104 c.c., comma 1: norma che si reputa per la verità derogabile, ma solo col consenso di tutti i partecipanti). Nell’ambito dei consorzi di urbanizzazione, ove è evidente il nesso funzionale tra i beni di proprietà comune e i beni di proprietà esclusiva, vige una regola ancora più restrittiva. Infatti, in assenza di specifica previsione statutaria, il recesso del consorziato non è disciplinato dall’art. 1104 c.c., che consente l'”abbandono liberatorio” nella comunione, bensì dall’art. 1118 c.c., che lo vieta nel condominio (Cass. 6 ottobre 2014, n. 20989; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27634). Ben si intende, allora, come una regolamentazione del diritto di recesso conformato nei termini che si sono sopra indicati sia del tutto congruente con la natura dell’ente e con la disciplina che a tale ente è applicabile.

8. – Con l’ottavo motivo di ricorso sono denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 1135 c.c.. La censura investe il mancato accoglimento della domanda di nullità delle delibere consortili per l’assenza di convocazione personale dei ricorrenti. Si assume che la previsione statutaria secondo cui alle predette assemblee possono partecipare i soli amministratori delle unità condominiali sia del tutto illegittima, avendo anche riguardo alla giurisprudenza formatasi in tema di supercondominio.

Il motivo non è fondato.

Come questa Corte ha già chiarito, fonte primaria della disciplina di siffatti consorzi, specie per quel che riguarda l’ordinamento interno e l’amministrazione, è l’accordo delle parti sancito nell’atto costitutivo, onde nessun ostacolo giuridico è ravvisabile negli artt. 1105 e 1136 c.c., dettati dal codice civile in tema di comunione e condominio di edifici, a che l’atto costitutivo contenga clausole limitative del diritto di voto del consorziato, giacchè tali clausole si muovono in uno spazio di autonomia negoziale liberamente praticabile, rispetto al quale le citate disposizioni del codice civile potrebbero, al più, venire invocate in via suppletiva, al fine di colmare eventuali lacune della regolamentazione pattizia (Cass. 9 febbraio 2007, n. 2877).

9. – Il ricorso è in conclusione rigettato.

10. – Alle due controricorrenti compete il rimborso delle spese processuali; tali spese gravano su tutti i ricorrenti, in solido, stante il comune interesse in causa dei medesimi. L’obbligo di versamento previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, commi 7 e 8, quanto all’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non si estende però a C.T., visto che il ricorso della medesima non è stato nè respinto, nè dichiarato inammissibile o improcedibile.

PQM

La Corte dichiara cessata la materia del contendere per rinuncia all’azione tra C.T. e i controricorrenti; rigetta il ricorso degli altri ricorrenti; condanna tutti i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’INPS, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 in favore dell’I.N.P.S. e in Euro 4.000, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 in favore del Consorzio GE.SE.CE.DI.; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti il cui ricorso è stato respinto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2021

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