Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.147 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 745-2020 proposto da:

B.M.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CATERINA BOZZOLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3186/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/07/2019 r.g.n. 2814/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

CHE:

– B.M.G. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 27 settembre 2019 di reiezione della impugnazione dell’ordinanza emessa dal locale Tribunale ex art. 702 bis c.p.c., che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– dall’esame della decisione impugnata emerge che il richiedente aveva riferito di essersi allontanato dal Paese di origine, la ***** nell’aprile 2015 giungendo in Italia nel dicembre dello stesso anno e di essere fuggito a causa di conflitti etnici; in particolare, il richiedente ha riferito di essere simpatizzante del partito ***** e che il fratello era stato ucciso nel corso di una manifestazione per mano dell’etnia *****;

– la Corte ha condiviso le motivazioni del Tribunale che aveva disatteso l’istanza evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento delle protezioni internazionale e umanitaria richieste alla luce del difetto di credibilità delle dichiarazioni rese;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– il Ministero dell’Interno ha prodotto atto di costituzione al fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione fissata ex art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo proposto, articolato in tre censure, parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 1 Convenzione di Ginevra D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè artt. 112, 113, 156, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27;

– il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 nonchè l’omessa pronuncia sui motivi di gravame;

– con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata in ordine alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

– il primo motivo, con cui, in sostanza, si contesta la valutazione della situazione geopolitica della Guinea non può trovare accoglimento;

– deve osservarsi, al riguardo, che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa di parte ricorrente, la Corte ha compiutamente analizzato la situazione geopolitica del Paese di origine del richiedente confermando che nella ***** non è presente una situazione di violenza generalizzata in danno della popolazione civile, nonostante permangano situazioni di precarietà che, tuttavia, la Corte ha ritenuto non idonee a determinare il timore per l’incolumità del richiedente in caso di reimpatrio;

– per quanto concerne il secondo motivo, va evidenziato come la Corte d’appello non solo abbia condiviso la ritenuta scarsa credibilità del ricorrente ma abbia escluso le condizioni di vulnerabilità dello stesso alla luce del confronto fra il doppio parametro, del rischio in ipotesi di rientro e della irrilevanza della sola ipotizzata congruità del percorso di inserimento sociale nel nostro Paese;

– relativamente alla violazione dell’art. 112 c.p.c., nel giudizio di legittimità deve essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia data il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta: nel secondo, invece, poichè l’interpretazione della domanda e la individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come tale, al giudice di merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata, nei limiti stabiliti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo attualmente vigente (Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 21.12.2017 n. 30684);

– la Corte d’appello si sofferma sull’insussistenza delle ragioni di carattere geo politico a sostegno della opportunità del mancato rimpatrio, nonchè, sulla irrilevanza del solo inserimento sociale – peraltro non dimostrato nel caso di specie – come unico elemento in assenza di ulteriori indizi relativi alla compromissione della tutela dei diritti umani nel Paese d’origine;

– la Corte ha affermato, quindi, che occorre un accertamento rigoroso delle situazioni di partenza per ricostruire una ipotesi di vulnerabilità effettiva e che tale valutazione risulta in qualche modo pregiudicata nel caso in cui il richiedente abbia fornito indicazioni non credibili sui motivi che l’hanno indotto a lasciare il Paese d’origine;

– le censure nella loro genericità non scalfiscono la ratio decidendi del provvedimento impugnato sul punto;

– per quanto concerne, infine, il terzo motivo, inerente la revoca del gratuito patrocinio, va rilevato che sebbene il rigetto della domanda di protezione internazionale non implichi automaticamente la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la valutazione circa la correttezza di tale statuizione è inibita al giudice di legittimità atteso che, come chiarito dal Supremo Collegio (SU n. 4315 del 20/02/2020), in tema di patrocinio a spese dello Stato nei processi civili, la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione a detto patrocinio in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 per la revoca dell’ammissione;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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