Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.148 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 748-2020 proposto da:

I.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CATERINA BOZZOLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1907/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/05/2019 R.G.N. 2365/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

CHE:

– I.J. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia depositata il 9 maggio 2019, di reiezione della impugnazione dell’ordinanza emessa dal locale Tribunale che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– dall’esame della decisione impugnata emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era originario del ***** e che era giunto in Italia essendo stato costretto ad abbandonare il proprio Paese poichè gli era impossibile pagare i canoni arretrati del terreno preso in locazione e che era vittima di una faida familiare cagionata da tale debito nella quale avevano perso la vita il proprio fratello ed uno zio materno;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– il Ministero dell’Interno non ha spiegato attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo la parte ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 perchè pur non essendo state ritenute sussistenti le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, non adeguatamente sarebbe stata valutata la minaccia grave e individuale alla vita per il riconoscimento della protezione internazionale;

– con il secondo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 e art. 10 Cost., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– in ordine alla omessa motivazione su un fatto decisivo, consistente nell’esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente sulle condizioni di pericolo in cui si sarebbe trovato nonchè sugli altri elementi probatori concernenti le difficoltà sociali inerenti il Paese d’origine, va rilevato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (ex plurimis, Cass. n. 23940 del 2017) e che non ne sussistono i presupposti nel caso di specie;

– la motivazione della Corte, poi, evidenzia come il ricorrente abbia addotto sin dall’inizio esclusivamente ragioni di carattere economico inerenti all’impossibilità di onorare i propri debiti, contratti per consentire il godimento degli immobili locati;

– la Corte ha escluso, in fatto, l’esistenza di qualsivoglia elemento a sostegno della ipotizzabilità di eventuali forme di persecuzione, trovando l’abbandono del Paese d’origine la propria motivazione esclusivamente in ragioni di carattere economico non affiancate da diverso genere di pericoli atti a generare timori per l’incolumità;

– orbene, in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794);

– tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dall’art. 14 stesso decreto legislativo;

– con riguardo, in particolare, alla richiesta di protezione sussidiaria, il tribunale ha escluso, sulla base delle fonti accreditate, la sussistenza del rischio di un danno grave, dovendo lo stesso provenire dagli apparati statali o essere ricondotto ad una connivenza od assenza degli stessi e non apparendo la situazione del ***** compromessa da tale punto di vista;

– per quanto concerne, infine, la richiesta inerente la protezione umanitaria e il connesso motivo con cui si deduce la violazione di legge, deve escludersi la violazione lamentata, in assenza di qualsivoglia allegazione da parte del ricorrente circa la propria vulnerabilità secondo quanto rilevato dal Tribunale nella motivazione che valorizza ancora una volta le stesse dichiarazioni del richiedente il quale ha sempre affermato di essere venuto in Italia soltanto al fine di guadagnare quanto necessario per risanare il debito contratto ed avendo il giudice escluso che il solo elemento della sussistenza di un contratto a tempo determinato scaduto fosse sufficiente a configurare una situazione di vulnerabilità non rilevando la sola legittima aspirazione a condizioni di vita migliori;

– le censure, nella loro genericità, non scalfiscono la ratio decidendi del provvedimento impugnato sul punto;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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