LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30820-2019 proposto da:
G.R., elettivamente domiciliato in Napoli alla via Pietro Colella, n. 12, presso l’avv. LIANA NESTA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 4215/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, G.R., di nazionalità *****, ha usufruito del permesso di soggiorno per motivi avendo sposato un’italiana.
Nel 2014 la Questura ha negato il rinnovo di quel permesso invocando ragioni di pericolosità sociale, in quanto il ricorrente ha riportato una condanna a quattro anni di reclusione per estorsione dal Tribunale di Dortmund in Germania, nel 2003, dove G. aveva due figli da due cittadine tedesche.
G.R. ha proposto impugnazione avverso quel diniego, adducendo che si trattava di una condanna risalente; che era altresì stata una condanna ingiusta; che egli si era integrato in Italia aiutando la moglie nella gestione di un canile per randagi.
Il Tribunale ha rigettato la domanda, intanto invocando come significativo il precedente penale, ed aggiungendo inoltre che il G. non aveva cercato alcuna integrazione nei paesi in cui era vissuto, avendo subito la revoca dei permessi di soggiorno in Germania per disinteresse verso i figli generati, ed avendo assunto il cognome della moglie ad ogni matrimonio onde evitare di essere identificato; di non aver mai cercato un lavoro in Italia.
G. ha proposto appello, rigettato dalla corte di secondo grado di Napoli.
Ora ricorre per Cassazione con un motivo di censura. Il Ministero, cui il ricorso risulta notificato, si è costituito solo ai fini dell’eventuale discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ratio della decisione impugnata.
La corte di appello di Napoli ricava la pericolosità sociale, oltre che dalla precedente condanna a quattro anni per estorsione, dal non avere mostrato resipiscenza per quel fatto delittuoso, dalla mancanza di un lavoro in Italia, dalla irrilevanza del precedente permesso di soggiorno di lunga durata (2009-2014), trattandosi di atto amministrativo, dice la corte espressamente, non suscettibile di passare in giudicato.
2.- Il ricorrente censura questa decisione con un motivo che denuncia erronea interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28 e ss. e D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 13.
Sostiene che, non essendo da sola sufficiente la condanna riportata, la corte di merito non ha supportato la sua decisione con elementi significativi della pericolosità sociale; che la nuova disciplina prevede un bilanciamento delle esigenze di sicurezza con quelle della tutela del nucleo familiare, bilanciamento che avrebbe dovuto imporre una diversa valutazione degli indici di pericolosità, tra cui non può avere significativo rilievo peraltro la mancanza di un lavoro, quando il sostentamento derivi da sostanze o redditi familiari.
3.- Il motivo è infondato, ma la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. va corretta.
E’ necessario ribadire che in materia di divieto di espulsione per ragioni di coesione familiare, onere dell’autorità amministrativa e, successivamente, dell’autorità giurisdizionale, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, esplicitare in concreto le ragioni dell’attuale pericolosità sociale del richiedente il permesso di soggiorno, che siano tali da giustificare il rigetto dell’istanza. Per effetto delle modifiche introdotte, con il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, al del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, comma 3 e art. 5, comma 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5 bis) infatti, in caso di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare non è più prevista l’applicabilità del meccanismo di automatismo espulsivo, in precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna del richiedente per reati identificati dalla norma (nella specie, in materia di stupefacenti), sulla base di una valutazione di pericolosità sociale effettuata “ex ante” in via legislativa, occorrendo, invece, per il diniego, la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi di valutazione contenuti nel novellato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 (Cass. 17070/2018).
Nel valutare dunque la legittimità del mancato rinnovo del permesso di soggiorno, oltre alla condanna riportata, vanno considerati elementi indicativi delle pericolosità dello straniero o per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato (Cass. 30828/2018).
L’accertamento di tale pericolosità può ovviamente esser basato su elementi indiziari o presuntivi, che abbiano, secondo i criteri propri del giudizio induttivo, idoneità ad indicare che lo straniero è pericoloso o per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato.
Come per ogni presunzione, gli elementi da cui indurre la pericolosità devono essere gravi, precisi e concordanti, ossia indicativi di quella condizione ostativa al rinnovo del permesso.
Nel caso presente, la corte di appello ha seguito questi criteri, non limitandosi a considerare come vincolante il precedente penale. Ed infatti ha addotto a dimostrazione della pericolosità del ricorrente: a) mancanza di un lavoro, peraltro mai cercato, e le indicazioni nebulose sulle fonti di sostentamento; b) l’ignoranza della lingua italiana; nessuna resipiscenza per il reato commesso in Germania, di cui il ricorrente ha continuato a protestarsi innocente; d) l’irrilevanza di un permesso di soggiorno di lunga durata (2009-2014), in quanto si tratta di atto amministrativo che “non forma giudicato, nemmeno rebus sic stantibus, non copre il dedotto ed il deducibile”.
Fatta eccezione per le ultime due circostanze, la prima delle quali è indicata erroneamente a sostegno della motivazione, in quanto il ricorrente si è proclamato innocente e dunque non doveva mostrare alcun pentimento; la seconda delle quali è ovviamente del tutto errata, posto che non si faceva questione della natura di giudicato del permesso di soggiorno, bensì della sua pregressa durata; fatta eccezione per questi due argomenti, del tutto fuori luogo, la corte ha svolto una valutazione della pericolosità del ricorrente senza limitarsi a trarla dal precedente, ed il suo è un giudizio in fatto, incensurabile in Cassazione con gli argomenti addotti dal ricorrente, ossia anche essi in fatto, rivolti a contestare l’accertamento in fatto del giudizio di pericolosità sociale, piuttosto che l’uso dei criteri di valutazione di quella pericolosità.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021