Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.153 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30917-2019 proposto da:

I.V., elettivamente domiciliato in Avellino, corso Umberto I, n. 119 presso l’avv. ELENA TORDELA, da cui è rappresentato e difeso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2287/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, I.V., è cittadino *****, proveniente dalla regione dell'*****.

Racconta di essere fuggito dalla ***** per evitare una persecuzione familiare, in quanto, alla morte del padre, la matrigna ha preso a perseguitare lui e la sua famiglia, minacciandolo di morte; da qui la fuga attraverso la Libia, dove il ricorrente è rimasto a lavorare per circa un anno, e dove è stato recluso per sei mesi.

Ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria, o comunque quella umanitaria.

La Commissione Territoriale non ha creduto al suo racconto, ed ha rigettato l’istanza, con decisione confermata dal Tribunale e dalla Corte di appello.

Ricorre I. con tre motivi. Non v’è costituzione del Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata.

La Corte di appello parte dal presupposto che la vicenda narrata dal ricorrente è esclusivamente privata, confinata all’interno dell’ambito familiare, e non ha dunque relazione alcuna con il contesto politico sociale della *****; nè la minaccia lamentata da I. proviene da persecutori “qualificati”, tra quelli indicati dalla legge.

Infine, la situazione dell'***** non è di quelle che possono indurre ad una protezione sussidiaria, per l’assenza di un conflitto armato generalizzato pericoloso per i civili.

2.- Il ricorrente contesta questa ratio con tre motivi. Il primo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 23 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10, 11.

Assume il ricorrente che non è stata depositata la videoregistrazione del suo interrogatorio presso la Commissione territoriale, e che di conseguenza egli aveva chiesto di essere sentito onde spiegare meglio, in assenza appunto di quella registrazione quale era stata la sua versione dei fatti, e per meglio precisarla.

Il Tribunale non ha fissato l’udienza per la comparizione delle parti, omissione ripetuta dalla corte di appello. Il motivo è infondato.

Risulta chiaramente dal testo della sentenza di primo grado, che il ricorrente è stato sentito, ed anzi viene, nella motivazione di quella sentenza, riportato integralmente il relativo verbale.

Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14.

Il motivo si riferisce al rigetto della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ritiene che, da un lato, la corte non ha tenuto conto del fatto che la minaccia rilevante può anche derivare da gruppi privati (p. 4.); per altro verso che l’audizione del ricorrente avrebbe consentito alla corte di appello di verificare meglio le condizioni di vulnerabilità sufficienti alla tutela (p. 5) Il motivo è infondato.

Quanto alla protezione sussidiaria, va ribadito che l’indagine circa la rilevanza di una minaccia proveniente da gruppi privati (tra l’altro il ricorrente ha riferito di minacce familiari semplicemente) presuppone la credibilità del racconto, in mancanza della quale l’unica indagine consentita, sempre ai fini della protezione sussidiaria è quella volta ad accertare la situazione di cui all’art. 14, lett. c), vale a dire se vi sia nel paese di origine un conflitto armato generalizzato.

Quanto alla censura mossa al rifiuto della protezione umanitaria, essa cade con la osservazione che il ricorrente è stato sentito dal Tribunale, posto che l’audizione potesse aver un valore decisivo quanto alla concessione di quel tipo di permesso di soggiorno.

p..- Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 3, della L. n. 25 del 2008, art. 8, dell’art. 8 Direttiva CE 2004/83 dell’art. 3 CEDU.

Il motivo denuncia una erronea valutazione della situazione esistente in *****.

Secondo il ricorrente la corte avrebbe fatto riferimento a fonti di conoscenza insufficienti (COI) quando invece fonti più attendibili (le indica in ricorso) dimostrano una sistematica violazione dei diritti umani nel paese di origine, nonchè torture e maltrattamenti.

Il motivo è inammissibile.

L’indagine della corte doveva essere finalizzata alla valutazione di uno stato di generalizzato conflitto armato, tale da porre in pericolo l’incolumità dei civili, non avendo alcuna rilevanza l’eventualità, ai fini dell’art. 14, lett. c Legge citata, l’esistenza di episodi singoli di violenza, o di pratiche restrittive delle libertà fondamentali.

Quanto al riferimento a COI inattendibili, la corte invece fa uso proprio di quelle indicate dallo stesso ricorrente (p. 2: secondo gli stessi reports richiamati dall’appellante”). Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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