Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.154 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30992-2019 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI OCCHIUTO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO PIETRAMALA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE CASERTA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4228/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, A.M., è cittadino del *****. Racconta di essere fuggito dal suo Paese per evitare persecuzioni politiche, che potevano mettere in pericolo la sua vita, militando egli nel partito *****, che, essendo alla opposizione, era in violento contrasto con il partito *****.

Ha dunque chiesto di beneficiare dello status di rifugiato, o della protezione sussidiaria, comunque del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Commissione Territoriale non ha creduto al suo racconto, ed ha rigettato le richieste.

L’inverosimilgianza della narrazione e soprattutto la sua genericità è stata posta a base poi della stessa decisione del Tribunale, adito dal A., per impugnare la decisione della Commissione Territoriale.

Infine, il giudizio di rigetto è stato confermato dalla Corte di Appello di Venezia avverso la cui decisione A.M. propone ricorso con due motivi. Non v’è costituzione del Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La corte di appello ha ritenuto innanzitutto il racconto del ricorrente poco circostanziato, ed anzi del tutto generico, ed ha sospettato che le vere ragioni dell’abbandono del Paese di origine stiano non già nella persecuzione politica, quanto nel bisogno economico.

Ha comunque ritenuto che la situazione politica del *****, sia pure caratterizzata da contrasti, non sia tale da mettere a repentaglio la incolumità personale del ricorrente, o comunque da impedire il godimento dei diritti fondamentali.

Quanto alla protezione umanitaria, invece, la corte osserva che non è stata fornita prova della integrazione del ricorrente in Italia, e dunque della possibilità che quella condizione di vita venga perduta in caso di rimpatrio.

2.- Il ricorrente propone due motivi.

Con il primo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 8.

Assume un difetto di valutazione da parte della corte di merito sia delle dichiarazioni fornite in sede di audizione, sia della situazione del *****.

In particolare, il ricorrente adduce di avere circostanziato il suo racconto, depositando tessera di appartenenza al partito e prova delle violenze fisiche subite, tutti elementi questi trascurati dalla corte, che non ha dato conto del perchè ha ritenuto generico il racconto. Infine, deduce che la corte non ha valutato adeguatamente la situazione politica del *****, e non ha tenuto conto della portata dei contrasti in essere.

Il motivo è infondato.

Il giudizio di credibilità è un giudizio di fatto, non censurabile in Cassazione, se non per difetto di motivazione (Cass. 3340/2019). La corte di merito ha ritenuto generico e non credibile il racconto anche per relationem alle valutazioni espresse dal Tribunale, e dunque facendo propria la motivazione del primo grado.

Tuttavia, il giudizio di inverosimiglianza del racconto non ha impedito alla corte di valutare ugualmente il pericolo che il rimpatrio può comportare per il ricorrente, sia ai fini dello status di rifugiato che ai fini della protezione internazionale.

Il ricorrente contesta la fondatezza di tale valutazione, relativa alla situazione sociopolitica del paese, ma lo fa in modo generico. In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 26728/ 2019).

Inoltre, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 18306 /2019).

A fronte dell’accertamento negativo svolto dalla corte, il ricorrente non ha portato elementi in grado di provare una situazione come quella suddetta.

3.-Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Secondo il ricorrente la corte non ha valutato adeguatamente il livello di integrazione da lui raggiunto in Italia, nè ha tenuto conto della situazione esistente in *****, tale da far perdere in caso di rimpatrio quel livello di godimento dei diritti fondamentali acquisito.

Il motivo è infondato.

Invero esso si risolve in una ricognizione astratta della regola sul permesso di soggiorno per motivi umanitari, piuttosto che in una censura alla ratio decidendi.

Quest’ultima è limitata alla affermazione che la corte non ha tenuto conto del livello di integrazione raggiunto in Italia, documentato in atti.

Tuttavia, il ricorrente non dice che tipo di integrazione ha raggiunto, se ha un lavoro stabile, se parla la lingua, se segua corsi di istruzione ecc., così che la censura si dimostra del tutto generica ed inammissibile.

Il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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