LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31320-2019 proposto da:
B.A., elettivamente domiciliato in Avellino, alla via Salvatore Pescatori, n. 60, presso l’avv. LUIGI NATALE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 4922/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, B.A., è cittadino della *****, di religione *****.
Racconta di essere fuggito dal suo Paese, per una duplice ragione: egli ha avuto un contrasto con un vicino quanto alla proprietà di un terreno e la controversia è stata risolta a favore del suo contraddittore dal capo del villaggio (risulta che questa decisione sia stata poi resa valida dalle autorità); inoltre ha avuto necessità di curare una forma tubercolare, evitando il sistema sanitario del suo Paese.
Giunto in Italia, dopo periodo di breve soggiorno in altri paesi africani, il ricorrente ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, o la protezione sussidiaria, o infine quella umanitaria.
La Commissione Territoriale, pur ritenendo credibile il racconto di B.A., ha rigettato le sue richieste, ritenendole non fondate alla luce delle disposizioni in materia di protezione internazionale.
Il Tribunale di Napoli ha confermato questa decisione, osservando che, da un lato, la vicenda narrata era di carattere personale, e non comportava coinvolgimento di autorità o gruppi che potessero perseguitare il ricorrente, e, per altro verso, che la situazione in Guinea non era tale da creare pericoli per i civili.
La Corte di appello ha deciso conformemente al giudice di primo grado.
B.A. propone due motivi di ricorso. Non v’è costituzione del Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ratio della decisione impugnata.
La Corte di appello ritiene che la vicenda del ricorrente abbia rilevanza meramente privata: una lite per la proprietà, risolta peraltro da un arbitro terzo, e che dunque non manifesti pericoli di persecuzione da parte di soggetti “qualificati”. Inoltre, quanto alle condizioni di salute, si trarrebbe di malattie curabili anche nel paese di origine.
Non sussisterebbero, alla luce del rapporto di Amnesty International, ragioni per temere che in ***** vi sia un conflitto armato generalizzato, tale da mettere in pericolo i civili.
Quanto alla protezione umanitaria, il rimpatrio, attesa la situazione socio-politica della *****, non comporterebbe compressione o violazione alcuna dei diritti fondamentali.
Il ricorrente contesta queste rationes decidendi con due motivi di ricorso.
2.- Con il primo motivo denuncia apparente e perplessa motivazione.
Secondo il ricorrente la corte non avrebbe valutato adeguatamente la situazione esistente in *****, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato che ai fini della concessione della protezione internazionale.
In particolare, la corte avrebbe considerato un rapporto Amnesty International per gli anni 2014-2016 dunque non aggiornato, mentre nel 2018 la situazione sarebbe mutata in peggio.
Il ricorrente riporta integralmente invece il rapporto 2018 a sostegno della tesi di una situazione di rilevante conflittualità e pericolo per la sua incolumità.
Il motivo è infondato.
In astratto può ritenersi viziata nella motivazione una decisione che fondi le sue ragioni su rapporti o fonti inadeguate o non aggiornate. Tuttavia, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 26728/ 2019).
Il ricorrente invero riferisce una situazione niente affatto diversa da quella indicata dalla corte di merito, sia nella fonte (Amnesty International) sia nel contenuto. Quanto a quest’ultimo aspetto, infatti, entrambe le versioni concordano su una situazione di incertezza politica e di scontri anche tra manifestanti e forze dell’ordine, di qualche repressione di libertà fondamentali, ma non di una situazione tale da doversi ritenere di pericolo e di persecuzione per il ricorrente nello specifico (status rifugiato), nè da doversi intendere come di conflitto generalizzato tale da mettere in pericolo un civile per la sola sua presenza sul territorio (protezione sussidiaria, art. 14, lett. c).
Del resto, a pagina 8 del ricorso, lo stesso ricorrente riferisce di reazioni dell’autorità e del sistema giudiziario nei confronti degli autori delle repressioni, segno di una certa tendenza a forme di tutela verso gli abusi del potere.
Si ricorda peraltro che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 18306 /2019).
3.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione alla protezione umanitaria.
Anche in tal caso ritiene che la corte non ha valutato adeguatamente la situazione della *****, che, rispetto alla protezione umanitaria, va vista diversamente che nei casi di protezione internazionale, ossia va verificato se sussistano ragioni che possano rendere vulnerabile il ricorrente se rimpatriato, e questa vulnerabilità espressione dal significato ampio e generale, che rimanda ad ogni genere di pericolo per diritti della persona.
Anche questo motivo è infondato.
La valutazione dei seri motivi di carattere umanitario va effettuata valutando sia il livello di integrazione raggiunto in Italia dallo straniero che la situazione del Paese di origine, onde valutare se un rimpatrio possa far perdere al ricorrente il livello di diritti acquisiti (Cass. sez. un. 2959/2019).
E’ vero che la decisione di merito non ha considerato affatto se il ricorrente abbia raggiunto in Italia un livello di integrazione rilevante, essendosi limitata a valutare la situazione della ***** da un punto di vista dei pericoli che essa presenta per il godimento dei diritti fondamentali, ma è anche vero che neanche il ricorrente stato allega di essersi integrato ed in che modo in Italia.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021