LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31363-2019 proposto da:
C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SABAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato NICOLA NOVIZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ROCCO TRUNCELLITO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1362/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, C.M., è cittadino *****. Racconta di essere fuggito via dal ***** per evitare la reazione violenta del padre, che, appresa la volontà del figlio di volersi convertire al *****, ha reagito cercando di ucciderlo sparandogli.
Il C. ha precisato che poi il padre si è reso latitante, per sfuggire alle conseguenze del tentato omicidio.
Egli, fuggito dunque dal suo Paese, è arrivato in Italia, dove ha preso a lavorare presso l’azienda di una famiglia, chiedendo poi il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria, o comunque quella umanitaria.
La Commissione territoriale ha rigettato la domanda, e questa negativa decisione è stata confermata dal Tribunale.
La corte di appello, adita dal ricorrente, ha confermato la decisione del primo grado, ritenendo non credibile la versione dei fatti del ricorrente.
C.M. ricorre con un solo motivo. Non v’è costituzione del Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ratio della decisione impugnata.
La corte di merito ritiene innanzitutto non credibile il racconto del ricorrente, dubitando che si possa essere convertito ad una religione di cui non sapeva alcunchè, e comunque dubitando che il padre gli abbia sparato per questo.
Ad ogni modo esclude che questa vicenda sia indicativa di un qualche pericolo per l’incolumità del ricorrente in caso di rimpatrio, nell’ipotesi in cui fosse vera la sua versione, proprio in ragione del fatto che lo stesso padre, rendendosi latitante, ha mostrato di temere la repressione giudiziaria del suo comportamento.
Esclude, infine, la corte che in ***** possa aversi una situazione di generalizzato conflitto armato.
Questa ratio è contestata con un solo motivo.
2.- Il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 14, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.
Ritiene che la corte abbia errato nel valutare la situazione esistente in *****, che, invece a suo dire sarebbe di conflitto generalizzato sulla base di quanto risultante allo stesso giudice di merito, che ha dunque travisato le fonti di conoscenza a disposizione.
Infine, quanto alla protezione umanitaria, la corte non ha tenuto conto della integrazione raggiunta dal ricorrente che lavora stabilmente presso un’azienda familiare.
Il motivo in parte fondato, e ciò a prescindere dalla verosimiglianza del racconto. Quanto alla protezione sussidiaria, il motivo si appunta sulla esistenza di un conflitto generalizzato in *****, che secondo il ricorrente è in atto, mentre la corte di merito lo nega, travisando le fonti o sminuendo il loro contenuto.
Va premesso che ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 26728/2019).
Il ricorrente formula una censura generica, meglio basata più che altro su una rivisitazione della fonte cui attinge la corte, e comunque non indica fonti alternative. Peraltro, quanto emerge dalle fonti utilizzate dal giudice di merito non indica una situazione di conflitto generalizzato che metta a repentaglio i civili in quanto tali.
Va ribadito che, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 18306/2019).
Non basta, dunque, come ritiene il ricorrente, che vi siano sporadiche o anche diffuse violazioni di diritti umani a scapito di alcune categorie (dissidenti, giornalisti ecc.), ma è necessario che il conflitto sia tanto generalizzato da comportare pericolo per la sola presenza sul territorio.
Quanto, infine alla parte del motivo che si riferisce alla protezione umanitaria, il criterio di valutazione dei seri motivi umanitari che possono indurre al riconoscimento del diritto consiste nell’accertamento, da un lato, del livello di integrazione raggiunto dal ricorrente e dall’altro della situazione esistente nel paese di origine, che deve essere tale da far perdere il livello di godimento dei diritti acquisito in Italia (Cass. sez. un. 29459/ 2019).
Su questo punto, invero, la motivazione è apodittica e difetta del giudizio di comparazione richiesto per valutare se il ricorrente abbia raggiunto un livello di integrazione che rischia di perdere in caso di rimpatrio.
A tal fine il ricorrente aveva allegato un certificato di lavoro domestico che non è stato, unitamente agli altri elementi, preso in alcuna considerazione dalla corte di merito.
Il ricorso va dunque accolto in parte qua.
P.Q.M.
La corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021