Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.16 del 05/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 613/2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 26, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARIA LOPRESTI, rappresentato e difeso dall’avvocato IMMACOLATA TROPIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

Avverso la sentenza n. 1644/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/05/2019 r.g.n. 1993/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 16 maggio 2019, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da A.A., cittadino *****, avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna, di reiezione del suo ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale, che gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria;

2. preliminarmente rilevata la non tempestività della richiesta di protezione internazionale, proposta un anno dopo l’ingresso in Italia, la Corte territoriale condivideva con il Tribunale la non credibilità, in base agli indici legali di affidabilità previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 del racconto dello straniero (fuggito dal Pakistan in quanto rappresentante religioso sciita e politico del partito Majlis e Eahdat ul Muslmeen, osteggiato dal sindaco del villaggio, che lo aveva ripetutamente denunciato falsamente ed al quale due volte gli avversari avevano sparato perchè diventasse sunnita, avendo pure appreso di essere sulla “lista nera” di La.-e-Jh. e che pertanto sarebbe stato prima o poi ucciso); nel merito, essa escludeva la sussistenza dei presupposti di riconoscimento della protezione sussidiaria, in assenza di rischio di un grave danno in caso di rimpatrio e così pure di quella umanitaria, in difetto di una condizione di vulnerabilità (nell’irrilevanza del positivo inserimento lavorativo in una pizzeria di Bologna), anche esclusa un’attuale situazione di pericolo socio-politico nella regione del Punjab (di provenienza del richiedente) e verificato un adeguato assetto istituzionale di tutela, sulla base di aggiornate fonti internazionali puntualmente indicate;

3. con atto notificato, a mezzo del servizio postale il 16 dicembre 2019, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), h), art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 2, lett. c) per la non corretta nè argomentata valutazione (oltre che di intempestività di presentazione della domanda di protezione, in assenza di fissazione di termini in proposito) di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente, invece circostanziate e il mancato esercizio doveroso di poteri istruttori officiosi in ordine alla situazione reale del Paese di provenienza (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in ordine alle doglianze sulla condizione di vulnerabilità non solo politica ma anche religiosa ed economica del richiedente e più in generale di sussistenza dei requisiti della protezione umanitaria (secondo motivo); violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.P.R. n. 394 del 2004, art. 28, comma 1, lett. d) per la mancata considerazione dei seri motivi umanitari per la concessione della relativa protezione, quale misura residuale di applicazione non tipizzata, alla luce del positivo e non valorizzato inserimento del richiedente nel Paese ospitante e della situazione politica del Punjab (terzo motivo);

2. I motivi, congiuntamente esaminabili per ragione di stretta connessione, sono inammissibili;

3. premessa la necessità che: la valutazione di credibilità del richiedente sia sempre frutto di una valutazione complessiva di tutti gli elementi e che non possa essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando invece venga trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 8 giugno 2020, n. 10908); il giudice, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, osservi l’obbligo di compiere le valutazioni di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni dei richiedente, non già in base alla propria opinione, ma secondo la procedimentalizzazione legale della decisione sulla base dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 11 marzo 2020, n. 6897; Cass. 6 luglio 2020, n. 13944; Cass. 9 luglio 2020, n. 14674);

3.1. la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (soltanto il mancato rispetto dei parametri procedimentali di tale norma integrando un errore di diritto denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Cass. 30 giugno 2020, n. 13257) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero mancanza assoluta della motivazione, motivazione apparente o perplessa od obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340); la verifica di credibilità è sottratta al controllo di legittimità, al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, devono essere sottoposte non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 7 agosto 2019, n. 21142; Cass. 19 giugno 2020, n. 1195);

3.2. Le censure si risolvono in una sostanziale contestazione, pure generica (in quanto reiterativa di argomentazioni difensive prospettanti una diversa ricostruzione del fatto), della valutazione operata dalla Corte territoriale, in ordine alla generale non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente, nonchè all’esercizio officioso di poteri istruttori sulla situazione sociale, politica e istituzionale del Punjab, con un’evidente sollecitazione ad un riesame dell’accertamento in fatto, di spettanza esclusiva del giudice di merito e pertanto insindacabile in sede di legittimità, laddove, come nel caso di specie, congruamente argomentato (per le ragioni, relative alla non credibilità, esposte dal secondo capoverso di pg. 6 al secondo di pg. 7 della sentenza);

3.3. e tale accertamento, quanto alla verifica della situazione socio-politica e di ordine pubblico della regione del Punjab interessante il ricorrente, è stato condotto con puntuale indicazione di fonti aggiornate (dal quarto capoverso di pg. 7 al terzo di pg. 8 della sentenza), in conformità all’esigenza di aggiornamento dell’accertamento al momento della decisione e non su informazioni risalenti (Cass. 28 giugno 2018, n. 17075; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 maggio 2020, n. 8819);

3.4. le superiori argomentazioni ben si possono riferire tanto alla protezione sussidiaria che alla protezione umanitaria, avendo la Corte territoriale, in esatta applicazione del principio secondo cui il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti (Cass. 18 aprile 2019, n. 10922; Cass. 07 agosto 2019, n. 21123; Cass. 21 aprile 2020, n. 8020), distintamente scrutinato i presupposti dapprima della protezione sussidiaria (dal secondo capoverso di pg. 6 al quarto di pg. 8 della sentenza) e poi di quella umanitaria (dal terz’ultimo capoverso di pg. 8 al penultimo di pg. 9 della sentenza);

3.5. quanto alla doglianza di vizio motivo, non sussiste infine alcun fatto storico, di cui sia stato omesso l’esame, neppure specificamente individuato alla luce del paradigma deduttivo previsto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 11 aprile 2017, n. 9253), essendo piuttosto la censura declinata in un’inammissibile contestazione della valutazione del requisito di vulnerabilità previsto per la protezione umanitaria;

4. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento in ordine alle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto alcuna difesa e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021

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