LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21388-2018 proposto da:
A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANGELO EMO 106, presso lo studio dell’avvocato CIRO CASTALDO, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO NAPOLITANO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 406/23/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 18/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE A.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza della CTR Campania indicata in epigrafe che aveva riconosciuto la legittimità dell’avviso di accertamento con il quale era stata ritenuta la classe 4 relativa al cespite immobiliare della contribuente, rettificando l’indicazione della classe 1 proposta in sede di DOCFA dalla predetta.
La CTR ha ritenuto che l’atto fosse adeguatamente motivato, aggiungendo che la rettifica appariva congrua anche in relazione all’ubicazione ed alle caratteristiche strutturali del bene.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
La ricorrente prospetta con il primo motivo la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, ritenendo che il giudice di appello non si sarebbe conformato ai principi espressi da questa Corte in tema di accertamenti catastali.
Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di fatti rilevanti e controversi oggetto della controversia, prospettando che la CTR non avrebbe esaminato gli elementi risultanti dalle emergenze istruttorie dalle quali era emerso un quadro non idoneo a giustificare la ripresa fiscale.
Il primo motivo è infondato.
Ed invero, questa Corte, con ordinanza n. 2709 del 6 febbraio 2014, ha ritenuto che l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato debba contenere una adeguata – anche solo sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria. Ciò è reso tanto più necessario in considerazione delle incertezze proprie del sistema catastale italiano che si riflettono sull’atto (classamento) con cui l’amministrazione colloca ogni singola unità immobiliare in una determinata categoria, in una determinata classe di merito e le attribuisce una “rendita”. Analogamente, si è espresso il principio per il quale in caso di mancato recepimento delle indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato l’atto deve contenere una adeguata – ancorchè sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria (Cass. n. 3394/2014).
Sul punto, si è poi aggiunto che in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, (cosiddetta procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 23237/2014).
Si tratta di un orientamento ormai stratificato nella giurisprudenza di questa Corte, ove si è ribadito che in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994, (cd. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 12497/2016).
Ora, ritiene il Collegio che la sentenza, nel ritenere legittimo l’accertamento impugnato, non ha violato i principi anzidetti, se è vero che l’accertamento ha riguardato la richiesta di modifica della precedente classe che la contribuente aveva giustificato nella procedura DOCFA sulla base di una diversa dislocazione degli ambienti che l’Ufficio non ha ritenuto giustificare il cambio di classe.
Tale valutazione operata dall’Ufficio non ha dunque riguardato elementi fattuali diversi da quelli posti a base della procedura DOCFA, invece fondandosi su una diversa valutazione tecnica degli elementi offerti dalla contribuente che non giustificava, pertanto, alcuna ulteriore specificazione da parte dell’ufficio se non gli elementi risultanti dall’accertamento riprodotto dalla ricorrente a pag. 8 e a pag. 9 del ricorso per cassazione.
Il secondo motivo è inammissibile.
La censura, invero, non riguarda l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, ma intende in definitiva contrastare la decisione operata dalla CTR sulla base degli elementi probatori indicati dalla contribuente. Così esposta, la censura non può ritenersi ammissibile in quanto prospettata sotto il paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ed invero, questa Corte ha già affermato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie – cfr. Cass. n. 28887/2019 -.
In questa stessa prospettiva si è poi aggiunto, dalle Sezioni Unite di questa Corte, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito – cfr. Cass., S.U., n. 34476/2019 -.
Ora, risulta evidente che la CTR ha, diversamente da quanto opinato la ricorrente, esaminato anche il merito della controversia, ritenendo che l’ubicazione e le caratteristiche strutturali dell’immobile fossero congrue rispetto alla rettifica operata. Tanto consente di escludere che il vizio prospettato possa essere inquadrato sotto il paradigma del n. 5, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo il giudice di appello comunque esaminato gli elementi probatori, con ciò dovendosi escludere la ricorrenza di un omesso esame secondo quanto previsto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – cfr. Cass., S.U., n. 8053/2014 -.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato.
Le spese seguono a soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021