Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.176 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24944-2018 proposto da:

2008 BOTTONI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VALVO, rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO VALENTINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 179/18/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della TOSCANA, depositata il 02/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE La CTR Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto alla società Bottoni s.r.l. contro la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittimo l’avviso di rettifica notificato per la ripresa di IVA e dazi all’importazione per gli anni 2009 e 2010. La CTR, nel ritenere di non dovere esaminare le eccezioni proposte verbalmente dalla società appellata, ha ritenuto che il prezzo del “lace” a ml determinato dai primi giudici non fosse corretto, basandosi su congetture dedotte ma non provate dalla società contribuente, peraltro contrastate da quanto provato dall’ufficio in ordine al prezzo di 6,41 centesimi di dollaro a mq. Tale prezzo, corrispondendo al prezzo minimo, praticato e risultante dai documenti doveva pertanto ritenersi provato, non avendo rilievo il prezzo indicato in numerose fatture, non ritenendosi il prezzo indicato dai primi giudici preminente. Nemmeno rilevante risultava la censura esposta dalla società in ordine all’omessa considerazione della varietà di prodotti con prezzi diversi rispetto alla indicazione merceologica di “lace” poichè la società avrebbe dovuto spiegare perchè tale differenza non risultava nettamente nella descrizione delle fatture.

La società Bottoni s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, al quale non ha resistito l’Agenzia delle entrate. La ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per non avere esaminato l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, formulata verbalmente nel corso dell’udienza innanzi alla CTR.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, commi 1 e 2, non avendo la CTR verificato il mancato deposito della ricevuta di spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale non sanabile dall’avviso di ricevimento non asseverato dall’ufficio postale.

Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione apparente ed il contrasto con l’art. 111 Cost., e l’art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c.. La CTR avrebbe dato luogo ad una motivazione apparente senza considerare compiutamente la documentazione prodotta.

Il primo motivo è inammissibile.

Ed invero, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti – cfr. Cass. n. 23834/2019 -.

A tale principio non si è uniformata la società ricorrente che ha omesso di riprodurre il contenuto dell’atto di appello, necessario al fine di verificare se vi sia stato un deficit di specificità del ricorso in appello rispetto al contenuto della sentenza di primo grado che sarebbe stato necessario altresì riprodurre nel ricorso per cassazione proprio per consentire a questa Corte il vaglio sollecitato.

Il secondo motivo è infondato, non considerando che questa Corte a Sezioni Unite, nelle recenti sentenze nn. 13452 e 13453 del 2017, ha affermato, con riguardo alla notificazione dell’appello, nel processo tributario, a mezzo del servizio postale, che: 1) “il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente e dell’appellante, che si avvalga per la notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (o dall’evento che la legge considera equipollente alla ricezione)”; 2) “non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso o dell’appello, che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente o l’appellante, al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purchè nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datarlo, solo in tal caso, essendo l’avviso di ricevimento idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione, laddove, in mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull’avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso o dell’appello, unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto o della sentenza”.

Orbene, nel caso di specie risulta prodotto l’avviso di ricevimento della notifica dell’atto di appello, con ciò dimostrandosi la infondatezza della censura volta a sostenere la necessità, ai fini della ritualità dell’appello, del deposito della ricevuta di spedizione.

Il terzo motivo è inammissibile e in parte infondato.

La censura, per l’un verso, prospettata come vizio di motivazione apparente, si appunta sul fatto che la CTR non avrebbe esaminato talune delle fatture riportanti il prezzo del lace, senza considerare che la CTR ha esaminato la documentazione, ritenendola inconducente, rendendo quindi impossibile il riesame dell’attività svolta dal giudice di merito sotto il profilo dell’omesso esame di fatti – cfr. Cass., S.U., n. 8053/2014 -.

Per altro verso, la censura correlata al carattere apparente della motivazione è invece destituita di giuridico fondamento, rispondendo la sentenza impugnata al c.d. minimo costituzionale richiesto dopo la novella del ricordato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – Cass., S.U., n. 8053/2014 -.

Il giudice di appello, infatti, ha esposto le ragioni a sostegno della riforma della sentenza di primo grado, individuando gli elementi che supportavano la determinazione del prezzo indicato dall’Ufficio e, per altro verso, esprimendo un giudizio, di merito, in ordine alla inconducenza dei diversi elementi documentali offerti dalla società ricorrente, ritenendo che gli stessi non fossero decisivi per dimostrare l’alterità del prezzo rispetto a quello contestato dall’ufficio, proprio in ragione della circostanza che la diversità di prezzi relativi al prodotto avrebbero imposto alla società di provare che i prezzi ivi indicati si riferissero ad una determinata tipologia del prezzo lace, in modo da potere costituire parametro di riferimento rispetto a quanto accertato dall’ufficio.

Sulla base di tali considerazioni idonee a superare i rilievi difensivi anche esposti in memoria dalla arte ricorrente, il ricorso va rigettato.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso rispettivamente proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso rispettivamente proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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