LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8683/2017 proposto da:
L.P.F.M.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO, 22, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DIACO, che la rappresenta e difende per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI OSTUNI, EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA, *****;
– intimati –
avverso la sentenza n. 18331/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/02/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Rilevato che:
1. L.P.F.M.T. ha proposto ricorso, notificato il 31 marzo 2017, nei confronti del Comune di Ostuni e di Equitalia per la cassazione della sentenza n. 331/2016 resa dal Tribunale ordinario di Roma, pubblicata il 3 ottobre 2016 e non notificata.
2. La ricorrente proponeva opposizione, dinanzi al Giudice di pace di Roma, avverso la cartella di pagamento n. *****, avente ad oggetto il mancato pagamento di una sanzione amministrativa; deduceva l’omessa notificazione dell’accertamento di violazione presupposto e, in ogni caso, la prescrizione dell’obbligazione corrispondente perchè la notifica della cartella era avvenuta oltre cinque anni dopo la notifica del verbale di accertamento della violazione.
3. Il Giudice di pace accoglieva il ricorso, annullando l’impugnata cartella esattoriale, relativa al ritardato pagamento di una sanzione amministrativa per violazione del C.d.S., emessa in quanto l’importo indicato nel verbale era stato pagato in ritardo, oltre il 60 giorno. Il giudice di pace rilevava che il verbale di accertamento della violazione era stato notificato il 15.11.2008 e che la cartella era stata notificata solo il 9.10.2015, quindi oltre cinque anni dalla data di notifica del verbale di accertamento della violazione, costituente titolo esecutivo, ed anche oltre i cinque anni dalla data dell’effettivo pagamento della sanzione amministrativa (3.3.2009).
4. La ricorrente appellava la sentenza, limitatamente alla liquidazione delle spese processuali a carico delle parti avverse, ritenendo troppo esiguo l’importo riconosciuto. Nello specifico la ricorrente sosteneva che la somma di 105 Euro, di cui solo 80 attribuiti a titolo di compensi, fosse incongrua rispetto ai parametri di legge.
5. Il Tribunale ordinario di Roma rigettava l’appello, confermando la decisione del giudice di primo grado di annullamento della cartella esattoriale, precisando che l’eccezione di prescrizione, formulata dalla attuale ricorrente, riconducibile sub specie di opposizione all’esecuzione, era ammissibile, nonchè fondata, essendo passati oltre cinque anni tra la notifica del verbale di accertamento e la notifica della cartella. Rigettava invece l’impugnazione quanto alla troppo esigua liquidazione delle spese di giudizio, rilevando che sia onere dell’appellante, in sede di impugnazione, fornire gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso.
6. La signora L.P. ha proposto ricorso per cassazione articolando due censure.
7. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
8. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.
Ritenuto che:
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 615 c.p.c., L. n. 689 del 1981, ex art. 360, comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5. Nella ricostruzione della ricorrente,la sua opposizione deve ritenersi tempestiva, essendo stata proposta come opposizione all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c.; non troverebbe quindi applicazione il termine decadenziale di trenta giorni per la sua proposizione, applicabile alla opposizioni recuperatorie, atteso che l’opposizione aveva ad oggetto non soltanto l’omessa notificazione del verbale di accertamento ma anche l’intervenuta prescrizione (5 anni) successiva del credito; richiama a fondamento della sua tesi anche alcune pronunce di legittimità Cass. n. 4139/2010 e 3751/2016 dalle quali ricava che un’opposizione a cartella esattoriale basata sulla mancata notifica dell’atto presupposto non va identificata come opposizione recuperatoria ma come opposizione all’esecuzione per inesistenza del titolo, per cui può essere legittimamente promossa un’azione ex art. 615 c.p.c., non recuperatoria. Ribadisce che da parte sua la proposizione dell’opposizione non aveva alcun intento recuperatorio, non avendo la ricorrente aveva confutato il merito della pretesa creditoria, ma solo eccepito un fatto estintivo successivo (la prescrizione).
Il motivo è inammissibile in quanto è incongruente rispetto alla decisione, della quale non coglie la ratio decidendi forse fuorviata dalla cospicua motivazione del giudice di merito, in parte non attinente alla fattispecie concreta dedotta in causa, contenente una completa ricostruzione delle varie tipologie di opposizione ed il rispettivo regime di impugnabilità. Dopo questo completo excursus, infatti, la sentenza di appello riconduce l’opposizione proposta, relativa alla sopravvenuta prescrizione del credito vantato, alla categoria delle opposizioni all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c.. Non ne pone quindi in dubbio l’ammissibilità, nè la fondatezza nel merito già affermata in primo grado. Rigetta invece l’appello sul punto della entità delle spese liquidate, l’unico in effetti oggetto di impugnazione.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c., comma 2, art. 118 disp. att., comma 2, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost. e D.M. n. 55 del 2014.
Sostiene la ricorrente che debba essere cassato il capo della sentenza d’appello relativo alla liquidazione delle spese, perchè il Giudice d’appello avrebbe errato laddove ha affermato che l’appellante non aveva prodotto, in sede di appello, le notule indicative delle spese legali di cui appunto la ricorrente lamentava l’esiguo riconoscimento. La ricorrente sul punto afferma che il Tribunale di Roma, con questa decisione, ha violato le norme che determinano i limiti minimi da rispettare nella liquidazione delle spese difensive, norme che il Giudice aveva il dovere di individuare correttamente ed applicare, anche d’ufficio e a prescindere dalle indicazioni della parte: il Giudice è sempre chiamato a intervenire laddove sia stato violato l’obbligo di rispettare i minimi tariffari nel liquidare il compenso in favore dell’avvocato.
L’affermazione di principio è corretta, e tuttavia il motivo di ricorso è inammissibile. Anche quando si propone ricorso per cassazione censurando l’errata quantificazione per difetto delle spese di lite, attiene ai requisiti di completezza e non genericità del ricorso, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, strumentali a consentire al giudice di comprendere appieno la censura e al fine di potersi pronunciare su di essa, indicare di preciso in cosa consista la violazione, specificando i parametri che si assumono essere stati violati. Nel ricorso non è mai indicato qual fosse il valore della causa, l’importo della cartella esattoriale opposta, sulla base del quale il giudice di appello avrebbe dovuto individuare lo scaglione entro il quale determinare l’importo dovuto a titolo di spese di lite. Non è neppure indicato in quante fasi processuali si sia articolata l’attività difensiva svolta dinanzi al tribunale. In tal modo la Corte non è messa in grado di verificare se effettivamente la violazione vi sia stata (v., in riferimento al sistema previgente di liquidazione delle spese, ma pur sempre valido riferimento quanto al principio enunciato, Cass. n. 2553 del 2015: “In tema di liquidazione degli onorari agli avvocati, il ricorrente per cassazione che deduca la violazione dei minimi tariffari per aver omesso il giudice d’appello di specificare, pur in presenza della richiesta di riconoscimento di poste dettagliate, il sistema di calcolo e la tariffa adottati, deve, a pena d’inammissibilità, indicare il valore della controversia rilevante ai fini dello scaglione applicabile, trattandosi di presupposto indispensabile per consentire l’apprezzamento della decisività della censura”).
Il ricorso è complessivamente inammissibile.
Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensive in questa sede.
Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 4 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021