LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 7344-2019 proposto da:
L.C.E., in proprio e quale erede della Signora C.A., erede perchè figlio adottivo della Signora C.A.M., erede testamentario della Signora C.L., ed erede della madre Signora C.C. elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE dei MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO ASI CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DELLA PROVINCIA DI MESSINA IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso la CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’Avvocato LETTERIO D’ANDREA;
– controricorrente –
contro
G.I., C.A., C.C.M., C.L., C.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 928/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 15/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte, rilevato che:
con citazione del 3/9/1996 il Consorzio ASI (area di sviluppo industriale) di Messina ha citato dinanzi al Tribunale di Messina i signori C.A., L., A.M., F. e C., proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo da loro ottenuto, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di 828.079.000, oltre accessori e spese, a titolo di indennità di espropriazione dovuta ai ricorrenti per la destinazione ad opera pubblica della loro azienda agricola sita in *****, a seguito di intervenuto accordo;
i convenuti si erano costituiti, chiedendo il rigetto dell’opposizione e in subordine la condanna del Consorzio al risarcimento dei danni per occupazione usurpativa dell’area, per il decorso dei termini di dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di occupazione, nonchè al pagamento del valore della maggior quota di terreno occupata;
in corso di causa erano venuti a mancare sia le originarie attrici signore C.A., L., A.M. alle quali era succeduto per eredità legittima o testamentaria e per donazione L.C.E., sia l’originario attore C.F., al quale erano succedute G.I., e C.C.G., A. e M., eredi pure di C.L.;
con una prima sentenza, non definitiva, n. 2888/2001 del 19/6/2001 il Tribunale di Messina aveva revocato il decreto ingiuntivo e disposto istruttoria relativamente alla domanda risarcitoria dei convenuti opposti, da espletarsi mediante chiarimenti peritali;
con la sentenza definitiva n. 728/2009 del 6/4/2009 il Tribunale aveva condannato il Consorzio ASI a pagare ai convenuti la somma di Euro 424.576,68, oltre rivalutazione, interessi e spese processuali;
avverso la sentenza definitiva ha proposto appello il Consorzio ASI di Messina al quale hanno resistito L.M.C.E., anche quale procuratore della madre C., nonchè C.I., e C.C.G., A. e M., nelle predette vesti, proponendo appello incidentale;
con sentenza del 15/10/2018 la Corte di appello di Messina ha accolto l’appello proposto dal Consorzio, rigettando perchè inammissibile la domanda proposta dai convenuti opposti L.- C. e condannando gli appellati alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio; avverso la predetta sentenza, notificata il 15/1/2019, ha proposto ricorso per cassazione L.C.E., quale erede e avente causa di C.A., A.M., L. e C., anch’essa nel frattempo deceduta, con atto notificato il 27/2/2019 svolgendo tre motivi, al quale ha resistito con controricorso notificato il 27/3/2019 il Consorzio ASI Messina in liquidazione, chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;
gli intimati G.I., e C.C., G., A. e M. non si sono costituiti in giudizio;
è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;
il ricorrente ha illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese;
con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 327 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti;
secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva errato escludendo che si fosse formato il giudicato interno sulla ammissibilità della domanda risarcitoria proposta dalla parte convenuta opposta, per effetto della mancata impugnazione della sentenza non definitiva n. 2888/2001, come aveva invece ritenuto il Tribunale con la sentenza definitiva n. 728/2009, perchè il giudicato si forma non solo sulle statuizioni finali ma anche sugli accertamenti di fatto e di diritto che ne costituiscono l’antecedente logico necessario e il presupposto della decisione;
inoltre la riapertura dell’istruttoria per l’acquisizione di chiarimenti dal consulente tecnico costituiva implicita affermazione dell’ammissibilità della domanda risarcitoria alla cui istruzione gli accertamenti peritali erano preordinati;
con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2043 c.c. e omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto decisivo;
secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva errato nel ritenere inammissibile la domanda riconvenzionale dei convenuti opposti, attori sostanziali, volta ad ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione usurpativa, perchè di contenuto differente per petitum e causa petendi rispetto all’originaria richiesta proposta in sede monitoria, di pagamento dell’indennizzo per espropriazione;
secondo il ricorrente, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto ben poteva proporre una domanda consequenziale (contro-riconvenzionale risarcitoria) alla domanda proposta dall’attore opponente, convenuto sostanziale, che nel caso aveva appunto richiesto in via riconvenzionale la riduzione del credito ingiunto perchè era stata calcolata una eccessiva indennità di occupazione e non era stata operata la trattenuta del 20% L. n. 413 del 1991, ex art. 11, comma 7;
ritenuto che:
secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre solo l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto, può proporre domanda riconvenzionale (Sez. 2, n. 6091 del 04/03/2020, Rv. 657127 – 02; Sez. 3, n. 21245 del 29/09/2006, Rv. 593890 – 01; Sez. 2, n. 7571 del 30/03/2006, Rv. 588997 – 01);
di conseguenza il convenuto opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, con l’eccezione del caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis;
tale domanda deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Sez.2, n. 5415 del 25/02/2019, Rv. 652929 – 02; Sez. 1, n. 16564 del 22/06/2018, Rv. 649670 – 01; Sez. 3, n. 22754 del 04/10/2013, Rv. 629056 – 01; Sez. 3, n. 21245 del 29/09/2006, Rv. 593890 – 01);
nella fattispecie il motivo assume la legittimità della reconventio reconventionis del convenuto opposto sulla base della richiesta, qualificata come domanda riconvenzionale, dell’opponente diretta ad ottenere un ridimensionamento quantitativo del credito oggetto di ingiunzione, mentre la domanda contro-riconvenzionale si basa su di una diversa causa petendi di natura extracontrattuale, sia pur riconducibile alla stessa vicenda sostanziale intercorsa fra le parti;
ritenuto che la giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di jus variandi endo-processuale nell’ultimo decennio abbia subito una significativa evoluzione, puntualmente richiamata dalla parte ricorrente nella sua memoria illustrativa (in particolare in chiusura del 5 2 e nel p. 3, da pag.7 a pag.10);
dalla ricostruzione tradizionale, espressa nella sentenza delle Sezioni Unite, n. 26128 del 27/12/2010, Rv. 615487 – 01, resa con riferimento all’introduzione successiva di una domanda di ingiustificato arricchimento in una causa volta a richiedere l’adempimento contrattuale inizialmente proposta con ricorso per decreto ingiuntivo, si è discostata la sentenza delle Sezioni Unite n. 12310 del 15/06/2015, Rv. 635536 – 01, secondo la quale la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla “vicenda sostan5zzale dedotta in giudizio” e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali;
tali principi sono stati poi ribaditi dalla successiva sentenza delle Sezioni Unite, n. 22404 del 13/09/2018, Rv. 650451 – 01;
vien quindi da chiedersi se il margine di manovra e adattamento delle proprie domande riconosciuto all’attore sostanziale e formale dall’indirizzo richiamato in sede di giudizio ordinario di cognizione all’udienza ex art. 183 c.p.c., che si traduce in un elastico jus variandi, disancorato dal rigoroso rispetto dei criteri di identificazione della domanda e collegato piuttosto all’identità sostanziale della vicenda, possa essere esteso, anche in considerazione del suo ravvisato fondamento costituzionale, anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo a favore dell’attore sostanziale, convenuto formale, consentendogli di avvalersi nella comparsa di costituzione e risposta delle stesse facoltà concesse all’attore sostanziale e formale all’udienza ex art. 183 c.p.c.;
o se, invece, tale completa equiparazione sia preclusa dalla specialità del procedimento monitorio e della conseguente fase di opposizione, improntati a regole particolari che determinano nello specifico ambiente processuale un complesso di vantaggi e svantaggi;
l’ultima pronuncia delle Sezioni Unite n. 22404/2018 non risolve il dubbio perchè, nel riflettere comparativamente sui principi affermati con le precedenti decisioni n. 26128/2010 e n. 12310/2015, ha attribuito alla seconda una portata ben più ampia della prima, evidenziando, fra l’altro, che la prima pronuncia del 2010 si riferiva “ad un ambito ben specifico e, per così dire, settoriale” (sentenza 22404/2018, p. 7);
quanto al secondo motivo, per le ragioni sopra esposte non ricorrano le ipotesi previste dall’art. 375, comma 1, nn. 1 e 5, e pertanto il ricorso debba essere rimesso alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
La Corte rimette il ricorso alla pubblica udienza della 1 Sezione civile.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021