LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8585/2019 proposto da:
B.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Chisimaio, 29, presso lo studio dell’avvocato Cardone Marilena, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 01/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/09/2020 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.
RILEVATO
che:
Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da B.S., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.
Il richiedente asilo ha riferito che il fratello era un militare che aveva partecipato al tentativo di colpo di Stato del ***** ed era stato arrestato. Dopo che era fuggito dalla prigione i poliziotti erano andati a casa sua per avere notizie del fratello ed alla sua resistenza lo avevano picchiato e condotto in caserma dove gli avevano detto che lo avrebbero ucciso se non avesse collaborato. Riuscito a fuggire, lasciò lo stesso giorno il paese.
A sostegno della decisione di rigetto, il tribunale, a prescindere dalla credibilità del racconto, ha rilevato che non sussisteva alcuna correlazione tra l’espatrio e possibili persecuzioni personali, ragion per cui il racconto del richiedente non consentiva di riconoscere lo status di rifugiato, nè sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria, neppure per quanto riguarda l’ipotesi di cui alla lett. c) atteso che dalle fonti consultate risulta che in Gambia non sussiste un conflitto armato interno che crei una situazione di violenza indiscriminata. Il tribunale neppure ha ravvisato particolari situazioni di vulnerabilità da tutelare in capo al richiedente.
Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: (i) sotto un primo profilo, per violazione di norme di diritto, in particolare del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 e art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè il tribunale non aveva considerato che il ricorrente fin dall’atto introduttivo aveva precisato che il suo rientro in patria avrebbe causato conseguenze di tipo persecutorio, ma nonostante ciò, il medesimo tribunale non aveva ritenuto che vi fossero particolari condizioni di vulnerabilità; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione di norme di diritto, in particolare, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo il tribunale erroneamente sostenuto che in Gambia non sussiste una situazione di violenza indiscriminata, contrariamente da quanto risulta dai rapporti internazionali; (iii) sotto un terzo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il tribunale non aveva operato una valutazione comparativa degli elementi che concorrono a determinare una condizione di vulnerabilità legata sia alla vicenda personale del richiedente sia alle condizioni del suo paese d’origine.
Il primo motivo è inammissibile, perchè solleva censure di merito in termini di mero dissenso, sulla situazione personale del richiedente in riferimento al contesto generale del paese di provenienza.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente, nel voler ricostruire diversamente la situazione esistente in Gambia mira a una rilettura a sè favorevole delle fonti consultate dal Tribunale, lamentando che il tribunale non si sarebbe sufficientemente applicato al proprio dovere di cooperazione istruttoria ma con ciò mira a una rivalutazione della controversia nel merito.
Il terzo motivo, il riferimento alla protezione umanitaria è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2021