LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7021-2020 proposto da:
S.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO FIORE, MARCO GALATI;
– ricorrente –
contro
PREFETTURA DI CATANIA, QUESTURA DI CATANIA;
– intimate –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di CATANIA, depositata il 18/12/2019 r.g.n. 3961/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.
RILEVATO
CHE:
1. con ordinanza 18 dicembre 2019, il Giudice di Pace di Catania rigettava il ricorso proposto da S.S., cittadino del *****, avverso il decreto di espulsione 3 aprile 2019 del Prefetto di Catania per infondatezza della doglianza di sua mancata traduzione nella lingua a lui conosciuta, siccome in grado di parlare e comprendere la lingua italiana (pure scelta per la notificazione degli atti), in ogni caso non più comportante nullità dell’atto, ma eventuale rimessione in termini per la sua impugnazione;
2. il primo giudice dava anche conto dell’avvenuto rigetto dal Tribunale di Bologna del ricorso dello straniero avverso la reiezione nel 2017 dalla Commissione Territoriale della sua domanda di protezione internazionale, con provvedimento non impugnato per cassazione e pertanto definitivo;
3. con atto notificato il 19 febbraio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi; la Prefettura di Catania e il Ministero dell’Interno restavano intimati.
CONSIDERATO
CHE:
1. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 per nullità del decreto di espulsione per la sua mancata traduzione in lingua bengalese, non giustificata, se non vagamente con argomentazione standardizzata, da una circostanziata impossibilità di reperimento di un traduttore in tale lingua, neppure rara per la presenza sul territorio di una comunità di bengalesi; la comunicazione del contenuto del decreto in lingua italiana e in inglese (una delle tre lingue veicolari) non essendo stata accompagnata pertanto da una spiegazione plausibile (primo motivo);
2. esso è fondato;
3. infatti, è nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta (Cass. 8 marzo 2012, n.:3676; Cass. 14 luglio 2015, n. 14733; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2865, con specifico riferimento a cittadino bengalese);
3.1. nel caso di specie, il provvedimento espulsivo, non tradotto nella lingua conosciuta dallo straniero, risulta traslato solo nella lingua veicolare, senza che l’amministrazione abbia affermato (ed il giudice ritenuto plausibile), l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dal destinatario dell’atto;
4. il ricorrente deduce poi violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omissione di una pronuncia sugli altri due motivi di doglianza, con una palese carenza istruttoria (secondo motivo); violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 per non avere il Giudice di Pace pronunciato su tutta la domanda ed in particolare sul motivo relativo al principio di non respingimento, alla luce della situazione di grave insicurezza del Bangladesh, documentata da recenti e molteplici reports, con esposizione ad un pericolo concreto per la propria incolumità (terzo motivo);
5. essi sono assorbiti;
6. pertanto il ricorso deve,essere accolto, con la cassazione dell’ordinanza impugnata e, con decisione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la pronuncia della sua nullità e di annullamento del decreto prefettizio, con la regolazione delle spese del giudizio di merito e di legittimità secondo il regime di soccombenza (senza alcuna “conseguente statuizione anche in ordine alla richiesta di ammissione al gratuito patrocinio”, posto che questa Corte non ne ha la competenza, riservata nei processi civili, in relazione al giudizio di cassazione, al giudice del rinvio ovvero, per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio, al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato: Cass. s.u. 20 febbraio 2020, n. 4315).
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto del Giudice di Pace e, decidendo nel merito, lo dichiara nullo e annulla il decreto del Prefetto di Catania; condanna la Prefettura alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese di giudizio, che liquida: per il giudizio di merito in Euro 100,00 per esborsi e Euro 1.500,00 per compensi professionali e per il giudizio di legittimità in Euro 200,00 per esborsi e Euro 2.200,00 per compensi professionali; entrambi oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021