Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.190 del 11/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1968/2020 proposto da:

S.M.I., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANBATTISTA SCORDAMAGLIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE presso la PREFETTURA UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI BRESCIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1164/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/07/2019 R.G.N. 1015/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

RILEVATO

Che:

1. con sentenza 19 luglio 2019, la Corte d’appello di Brescia rigettava l’appello proposto da S.M.I., cittadino *****, avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;

2. in via preliminare, essa escludeva la credibilità della vicenda personale del richiedente (fuga dal Paese d’origine perchè minacciato dai talebani del gruppo ***** con richieste di denaro presso il piccolo negozio gestito con il padre, che gli consigliava, dopo averlo venduto, di abbandonare il Paese, così approdando in Italia, a seguito di un viaggio in auto fino in Grecia proseguito in treno alla volta della Serbia, della Macedonia e dell’Ungheria), per la contraddittorietà delle sue dichiarazioni, essendosi inizialmente qualificato migrante economico;

3. nel merito, la Corte bresciana, in esito a puntuale disamina dei rispettivi requisiti, negava la ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato e così pure di protezione sussidiaria e umanitaria, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan in riferimento al terrorismo di matrice talebana e all’inesistenza di una concreta situazione personale del richiedente di grave danno o di vulnerabilità;

4. con atto notificato il 5 dicembre 2019, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per erronea esclusione della propria credibilità sulla presunta incongruenza tra le sue dichiarazioni alla Questura, di sostanziale migrante economico e poi alla Commissione territoriale, avendo in realtà subito estorsioni e minacce di morte dai talebani, e quindi non per una vicenda privata nè ottenendo protezione dalle forze dell’ordine, in una situazione di instabilità nel Paese creata da gruppi armati, senza possibilità di efficiente contrasto dalle istituzioni (primo motivo);

2. esso è infondato;

3. la valutazione di credibilità del richiedente deve essere sempre frutto di una valutazione complessiva di tutti gli elementi e non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando invece venga trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 8 giugno 2020, n. 10908); sicchè, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, il giudice deve osservare l’obbligo di compiere le valutazioni di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente, non già in base alla propria opinione, ma secondo la procedimentalizzazione legale della decisione sulla base dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 11 marzo 2020, n. 6897; Cass. 6 luglio 2020, n. 13944; Cass. 9 luglio 2020, n. 14674);

3.1. la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero mancanza assoluta della motivazione, motivazione apparente o perplessa od obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340); sicchè, la verifica di credibilità è sottratta al controllo di legittimità, al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, devono essere sottoposte non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 7 agosto 2019, n. 21142; Cass. 19 giugno 2020, n. 1195);

3.2. la Corte territoriale ha verificato la credibilità del richiedente in corretta applicazione dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, congruamente argomentandola (per le ragioni esposte al secondo e al quarto capoverso di pg. 5 della sentenza) e ha pure proceduto (per le ragioni esposte a pg. 9 della sentenza) ad un adeguato accertamento della situazione di ordine pubblico del Pakistan in generale e in particolare della zona di provenienza del ricorrente (*****), con puntuale indicazione delle fonti (ancora al primo e al terzo capoverso di pg. 9 della sentenza), in conformità all’esigenza di aggiornamento dell’accertamento al momento della decisione (Cass. 28 giugno 2018, n. 17075; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 maggio 2020, n. 8819);

3.3. la censura si risolve pertanto in una sostanziale contestazione della valutazione di credibilità giudiziale, sollecitandone il riesame nel merito, per le ragioni dette insindacabile in sede di legittimità;

4. il ricorrente deduce poi violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 14, comma 1, lett. b), per l’illegittima negazione della protezione sussidiaria, nell’erroneo ritenuto difetto di una situazione di violenza indiscriminata comportante diretti riflessi sulla condizione personale del richiedente, attinto dalle violenze e dalle minacce del gruppo terroristico *****, annoverabile tra i soggetti indicati dall’art. 5, lett. c) D.Lgs. cit., ossia non statuali, se lo Stato o i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione (secondo motivo);

5. esso è inammissibile;

6. il motivo consiste, infatti, nella contestazione della valutazione operata dalla Corte territoriale (per le ragioni esposte dal secondo capoverso di pg. 8 al primo periodo di pg. 10 della sentenza), direttamente conseguente all’accertamento della situazione di ordine pubblico del Pakistan scrutinata in riferimento al precedente mezzo), con sollecitazione al suo riesame nel merito, per le ragioni dette insindacabile in sede di legittimità;

7. il ricorrente deduce infine violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, art. 3 CEDU, per la mancata considerazione dei seri motivi umanitari per la concessione della relativa protezione, quale misura residuale di applicazione non tipizzata, alla luce della suindicata vicenda personale, integrante una concreta condizione di vulnerabilità per grave lesione dei diritti umani fondamentali (terzo motivo);

8. anch’esso è inammissibile;

9. pure con questo mezzo il richiedente contesta sostanzialmente la valutazione della Corte territoriale (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 10 al terz’ultimo di pg. 11 della sentenza), direttamente consequenziale all’accertamento indicato ai superiori motivi, con la chiara esclusione di una situazione di emergenza in ordine al rispetto in Pakistan dei diritti fondamentali della persona (al terz’ultimo capoverso di pg. 11 della sentenza); avendo la Corte bresciana compiutamente negato che il rimpatrio possa determinare la privazione del predetto della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto di dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 445; Cass. 14 agosto 2020, n. 17130), in merito alla quale ultima nulla ha peraltro allegato il richiedente;

10. pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza alcun provvedimento in ordine alle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto alcuna difesa e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

RG 1968/2020 Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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