Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.192 del 11/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 882/2020 proposto da:

O.I.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO – SEZIONE DI GENOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 767/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 24/05/2019 R.G.N. 220/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

RILEVATO

Che:

1. la Corte di appello di Genova, con sentenza pubblicata in data 24.5.2019, ha confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria avanzata da O.C.I., cittadino *****;

2. il richiedente ha indicato quale ragione dell’allontanamento dal Paese di origine il conflitto personale e familiare, in particolare con lo zio paterno che indicava come responsabile dell’omicidio volontario di suo padre e sospettato anche di quello di sua madre per la finalità di appropriazione di terreni che gli erano pervenuti per successione; lo zio, con la protezione di una setta, aveva posto in essere una vera e propria persecuzione nei suoi confronti; la denunzia relativa alla morte del padre ed ai sospetti sullo zio era rimasta senza esito perchè dopo un primo intervento la Polizia gli aveva fatto richieste in danaro; tanto lo aveva indotto a rifugiarsi con i fratelli a *****; in seguito, era ritornato per rivendicare i propri diritti e, ricevute nuove minacce, si era allontanato per giungere in Italia;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso O.C.I. sulla base di due motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce erronea, contraddittoria e carente motivazione della decisione in ordine alla esclusione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, error in procedendo per non avere il giudice di appello attivato i poteri istruttori d’ufficio, errata e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16;

1.1. in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria rappresenta che la Nigeria, e nello specifico l’Edo State, regione di provenienza, sono interessati da numerose situazioni di conflitto che la Corte di merito aveva mancato di approfondire; tali situazioni determinavano un elevato rischio in caso di rientro;

2. con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 2 Cost. e dall’art. 11 Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 (ratificato con L. n. 881 del 1977) in relazione in particolare all’art. 5, comma 6, T.U. Imm. e al D.P.R. n. 399 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c) ter – violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Violazione dell’art. 19 T.U. Imm. – omesso esame della domanda di protezione umanitaria Censura la sentenza impugnata per non avere indagato le particolari condizioni di vulnerabilità oggettive e soggettive del ricorrente e per avere ritenuto ininfluente quanto dalle stesso patito in Libia; denunzia la mancata considerazione del positivo percorso di integrazione in Italia; allega che non vi è più legame con la famiglia d’ origine e richiama i principi guida dell’ONU in tema di povertà evidenziando che se il paese di provenienza è incontestabilmente incapace di gestire e risolvere tale drammatica situazione esso richiedente ha diritto senz’altro alla protezione internazionale;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile in tutti i profili formulati;

3.1. la denunzia di vizio di motivazione non è articolata in conformità dell’attuale configurazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il cui testo novellato (come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; – l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; – neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; – nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (non denunciata nella fattispecie) (Cass. Sez. Un. 33679/2018, Cass. Sez. Un. 8053/2014); alla luce di tali considerazioni, la censura del ricorrente di carente e contraddittoria motivazione non è idonea alla valida censura della decisione;

3.2. la formale denunzia di error in procedendo, “per mancata istruttoria d’ufficio”, non si confronta con le motivazioni alla base della decisione ed in particolare con il fatto che il giudice di appello ha proceduto all’accertamento della complessiva situazione del paese di origine del richiedente e che alla stregua delle qualificate fonti richiamate nel provvedimento la regione di provenienza dello stesso – l’Edo State – non risultava interessata da situazioni di conflitto e di violenza le quali concernevano essenzialmente il Nord est della Nigeria per la presenza di forze ribelli a quelle governative;

3.3. secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, invero, “in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella riscostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (cfr. Cass., 21 ottobre 2019, n. 16728);

3.4. le fonti riportate in ricorso non delineano un quadro sostanzialmente in contrasto con l’accertamento del giudice di merito e non chiariscono come, in assenza di una situazione di conflitto generalizzata, il richiedente possa essere esposto a un rischio giustificativo della protezione sussidiaria o umanitaria, considerata anche la natura eminentemente privata delle ragioni dell’allontanamento;

3.5. la denunzia di errata e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 2007, artt. 10 e 16, è inammissibile in quanto non incentrata sul significato e sulla portata applicativa delle norme in oggetto e quindi sulla ricognizione della fattispecie astratta, come prescritto (Cass. n. 17570/2020, n. 16038/2013, n. 3010/2012, n. 24756/2007) ma su una ricognizione della concreta fattispecie che non trova riscontro nelle ragioni del decisum;

4. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

4.2. la denunzia di violazione di norme di diritto non è articolata in conformità delle prescrizioni richiamate al paragrafo 3.5.

4.3. è infondato l’assunto dell’omesso esame della domanda di protezione umanitaria che è stata espressamente presa in considerazione dal giudice di merito il quale, con accertamento di fatto incrinabile solo con la deduzione di vizio di motivazione, in concreto non denunziato dal ricorrente, ha espressamente verificato i presupposti per la protezione umanitaria ed escluso la sussistenza di una situazione di vulnerabilità, evidenziando che non erano emerse peculiari condizioni di salute o di altra natura che potevano determinare un grave pregiudizio in caso di rientro nel paese di origine, condizioni alle quali il richiedente non aveva fatto neppure cenno nel suo racconto; gli attestati relativi alla frequenza di alcuni corsi di apprendimento dell’italiano e la esistenza di un contratto di apprendistato, insufficiente a garantire un reddito che consentisse il mantenimento in Italia, escludevano un sufficiente percorso di integrazione;

4.4. infine, risulta inammissibile la deduzione che ascrive alla sentenza impugnata di avere, nella verifica dei presupposti per la tutela umanitaria, omesso di considerare le sofferenze ed i traumi sofferti in Libia dall’odierno ricorrente; se, infatti, in tesi è corretto l’assunto della necessaria considerazione dell’esperienza vissuta dal richiedente asilo nel Paese di transito ove questa presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine (v. tra le altre, Cass. n. 13758/2020, n. 13565/2020), nello specifico la deduzione riferita alla circostanza fattuale relativa al soggiorno in Libia è priva di specificità non avendo parte ricorrente indicato se, in quale atto ed in che termini aveva allegato tale elemento nella fase di merito;

5. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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