LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 998/2020 proposto da:
G.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELE RIGAMONTI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO – SEZIONE DI MONZA E DELLA BRIANZA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 4209/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/10/2019 R.G.N. 1243/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
Che:
1. con sentenza pubblicata in data 18.10.2019, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria avanzata da G.J., cittadino del *****, il quale, premesso di essere di religione musulmano-sunnita, aveva motivato l’allontanamento dal Paese di origine con il fatto che alcuni uomini armati avevano bussato alla porta della sua casa pretendendo ospitalità e vitto; al rifiuto opposto tali soggetti erano ritornati in quattro e avevano obbligato il ricorrente e la sua famiglia ad acconsentire alla richiesta; il giorno successivo, consigliato dal sindaco del paese, aveva denunziato la cosa alla polizia che però lo aveva arrestato credendolo un fiancheggiatore dei *****; in seguito, su intervento del sindaco, era stato rilasciato ma una volta rientrato in casa aveva subito l’irruzione di sette uomini che lo avevano sequestrato unitamente ad uno zio ed avevano portato entrambi in un bosco; il giorno successivo i due erano riusciti a fuggire ma i componenti del gruppo, resisi conto della fuga, avevano iniziato a sparare contro di loro; il G. era riuscito a sottrarsi ed aveva raggiunto un’altra città grazie all’aiuto di un amico; in quell’occasione aveva appreso telefonicamente dalla madre che lo zio era morto e che i ***** erano venuti a cercarlo; per questo aveva deciso di allontanarsi ed aveva raggiunto l’Italia attraverso un viaggio che lo aveva portato ad attraversare l’Iran, la Turchia, l’Ungheria e l’Austria;
1.1. premesso che l’appello aveva ad oggetto la sola protezione sussidiaria ed umanitaria e che in relazione alla protezione sussidiaria le ipotesi tratteggiate dal ricorrente erano astrattamente riconducibili alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. b) e c), la Corte di merito ha ritenuto che non era stata indicata alcuna valida ragione giustificatrice dell’allontanamento dal paese di origine ed era stata fornita una ricostruzione lacunosa degli accadimenti non avendo l’interessato specificato le ragioni per le quali il gruppo di uomini aveva voluto permanere nell’abitazione, nè indicato i motivi per i quali era stato arrestato; la stessa fuga dei sequestratori appariva poco credibile; tali grossolane imprecisioni inficiavano in radice i presupposti per il riconoscimento della ipotesi sub b) dell’art. 14 D.Lgs. cit.; quanto alla zona di provenienza del G., situata nel territorio della LCO – cd. linea di controllo – fonti consultate, riferite all’anno 2018, attestavano che le opposte forze militari -pakistane ed indiane- avevano concordato di eliminare le tensioni lungo il confine che divideva la contesa regione del Kashmir; la difesa del G. non aveva offerto elementi di segno contrario tali da inficiare le dette emergenze; le osservazioni inerenti la corruzione della polizia nel Punjab non avevano attinenza con la vicenda in esame posto che il G. si era doluto non dell’arresto da parte della polizia ma del sequestro da parte di individui imprecisati. In merito alla protezione umanitaria, il giudice di appello, premesso che era documentato il conseguimento del livello A2 di conoscenza della lingua italiana, nonchè la stipulazione di molteplici contratti di lavoro a tempo determinato con qualifica di cameriere fino al periodo 31.1.2019, ha ritenuto tale documentazione insufficiente, considerato anche che non era provato, neppure in via indiziaria, che l’appellante, in caso di rientro nel paese d’origine, poteva restare esposto ad una situazione particolarmente degradante proprio perchè nessuna condizione lavorativa specifica era stata allegata;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.J. sulla base di tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a), art. 14 D.Lgs. cit. sub b) e c), sostenendo la sussistenza dei presupposti per la protezione richiesta, sul rilievo che: a) non era in dubbio che in Pakistan esistesse un conflitto fra gruppi armati, che esponeva a pericolo chiunque si trovasse sul territorio, e che il fatto stesso che gruppi armati potevano impunemente penetrare in una casa privata documentava la circostanza, così come la vicenda dell’arresto da parte della polizia e il successivo sequestro ad opera di gruppi armati;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, censurando la sentenza impugnata per il mancato riconoscimento in capo ad esso richiedente di una situazione di vulnerabilità; evidenzia come l’elevato grado di corruzione della polizia pakistana e l’ambiguo atteggiamento tenuto nella specifica vicenda non consentivano di ritenere la possibilità di tutela adeguata da parte dell’autorità statuale; deduce che per la verifica dei presupposti della protezione umanitaria non era sufficiente la sola considerazione del grado di integrazione in Italia, occorrendo il confronto con la situazione pregressa vissuta in Pakistan; l’elevato grado di corruzione della polizia precludeva ad esso G., divenuto oggetto di aggressioni da parte di un gruppo di *****, di essere tutelato in maniera adeguata;
3. con il terzo motivo di ricorso denunzia omesso esame di un fatto decisivo e controverso con riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis; censura la mancata considerazione del fatto che nel febbraio 2019, secondo quanto risultante da fonti aggiornate, si erano verificate delle pesanti incursioni in territorio Pakistano da parte delle forze aeree dell’India; tale dato avrebbe dovuto essere preso in considerazione dalla Corte di merito;
4. il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto parte ricorrente non si confronta con il rilievo della Corte di appello secondo la quale la lacunosità del racconto, la genericità delle circostanze narrate del ricorrente, la loro imprecisione, inficiavano in radice i presupposti per il riconoscimento della protezione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b);
4.1. nulla viene specificamente dedotto per contrastare la valutazione del giudice di merito; parte ricorrente si limita, infatti, ad evocare i principi in tema di protezione internazionale nelle sue diverse declinazioni ma non offre elementi, tratti dalle risultanze di causa, idonei ad incrinare la valutazione del giudice di merito;
5. il secondo motivo è inammissibile in quanto anch’esso non si confronta con l’affermazione della Corte di merito secondo la quale, alla stregua dello stesso racconto del ricorrente, il livello di corruzione della polizia del Punjab non aveva alcuna attinenza con la vicenda personale che aveva indotto il G. a lasciare il Pakistan e (v. sentenza, pag. 8); il mancato approfondimento di tale specifico profilo risulta quindi coerente con la valutazione, non validamente contrastata, relativa alla complessiva scarsa credibilità del racconto del ricorrente;
6. è fondato il terzo motivo di ricorso; il quadro relativo alla regione di provenienza dell’odierno ricorrente, quale emerge dalle fonti richiamate dal giudice di appello, non è idoneo a sorreggere l’accertamento di insussistenza di una situazione giustificativa della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); secondo quanto si evince dal brano trascritto, esso prefigura solo un possibile scenario futuro di eliminazione delle tensioni lungo la cd. Linea di controllo, che divide il Kasmir, tra militari pakistani e militari indiani e al contempo dà atto che gli scambi di fuoco tra i due vicini avevano cagionato la morte di decine e soldati “dall’inizio dell’anno”. Premesso che secondo quanto emerge dalla medesima decisione, la situazione descritta dal sito ***** concerneva il maggio 2018, e, quindi, oltre un anno prima della sentenza, il giudice di appello, in attuazione del dovere di cooperazione, era tenuto ad effettuare ulteriori approfondimenti destinati a chiarire, con riferimento all’attualità, se il quadro prefigurato da tali intese si era effettivamente consolidato nel senso di escludere un rischio generalizzato per i civili in caso di rientro;
7. a tanto consegue, assorbita ogni ulteriore deduzione, la cassazione con rinvio della decisione, che è cassata in relazione al profilo richiamato;
8. al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021