Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.195 del 11/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1932/2020 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SPINOZA 10, presso lo studio dell’avvocato MARIA PIA DE SIMONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MANUELA AGNITELLI;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3576/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/05/2019 R.G.N. 8604/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

RILEVATO

Che:

1. la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello di G.F., cittadino *****, avverso la decisione di primo grado di rigetto della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria; la necessità di allontanamento dal paese di origine era stata motivata dal richiedente con il timore di ritorsioni per avere preso le difese di connazionali, di religione cristiana; i compagni di partito, del quale era segretario locale, intervenuti nella vicenda, erano, infatti, stati uccisi ed il partito di appartenenza gli aveva comunicato che non era in grado di difenderlo; anche i suoi familiari erano stati uccisi per cui nel 2016 aveva lasciato definitivamente il Pakistan;

2. la statuizione di inammissibilità è stata fondata sul difetto di specificità dell’atto di gravame per difetto della parte argomentativa volta ad incrinare il percorso logico-giuridico della decisione di primo grado; non era stata, in particolare, investita puntualmente la valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente e tanto determinava la definitività dell’accertamento relativo alla insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e dei presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); neppure sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi della ipotesi di cui dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. cit., in difetto di una situazione di violenza generalizzata in Pakistan ed in particolare nella regione di provenienza del G.; ancorchè in Pakistan si erano verificati episodi di violenza ed attentati di matrice terroristica gli stessi non presentavano un grado di diffusione tale da comportare una minaccia grave e individuale alla vita dei civili; infine, non erano stati dedotti validi motivi di carattere umanitario per il rilascio di un permesso di soggiorno nè valeva a suffragarli la documentazione depositata dal richiedente, attestante un mero rapporto di lavoro a termine, essendo rimasta priva di sostanziale riscontro l’affermazione della trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, non supportata dalle buste paga ma da una mera scrittura inter partes;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.F. sulla base di quattro motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce erroneità della motivazione censurando la decisione della Corte di appello per avere affermato la inammissibilità del gravame in relazione alla insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la protezione umanitaria in relazione alle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Assume che, a differenza di quanto affermato dal giudice di appello, l’atto di gravame conteneva la chiara individuazione delle questioni di diritto devolute e una parte argomentativa destinata alla critica delle ragioni alla base della decisione di primo grado; contesta, infine, la valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente in ordine alle ragioni dell’allontanamento;

2. con il secondo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e art. 3, comma 3, artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; censura il rigetto della protezione sussidiaria con riferimento alla ipotesi di cui dell’art. 14, lett. c) D.Lgs. cit., sia per difetto di valutazione della sussistenza del grave danno per i civili derivante dalla situazione accertata, sia per difetto di adeguata istruttoria; il giudice di appello non aveva motivato sulle ragioni per le quali doveva escludersi, in Pakistan una situazione di pericolo generalizzato, la quale invece era attestata da fonti privilegiate come il sito ufficiale della Farnesina, aggiornato alla data del 4 novembre 2019;

3. con il terzo motivo di ricorso, deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, art. 3, comma 3, lett. a) e b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; censura la sentenza impugnata per non essersi pronunziata in tema di protezione sussidiaria anche sulla base di un giudizio prognostico in relazione alla situazione effettiva ed attuale del Paese di origine del richiedente la protezione; in particolare aveva omesso di considerare la lesione alla libertà religiosa essendo in vigore la legge sulla blasfemia ed in generale, la situazione di lesione di diritti fondamentali;

4. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione del comb. disp. di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; deduce mancata valutazione sulla richiesta di protezione umanitaria, effettuata dalla Corte di merito senza operare un esame specifico e attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al paese di origine;

5. il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità;

5.1. premessa la natura non vincolante della formale indicazione nella rubrica del vizio denunziato (Cass. n. 12690/2018, n. 14062/2012), che fa riferimento alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto laddove le critiche alla sentenza di secondo grado, per come concretamente articolate, delineano un vizio riconducibile all’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si rileva che in caso di denunzia di error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. tra le altre, Cass. 20716/2018, n. 8069/2016, n. 16164/2015). Al fine di consentire tale sindacato, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 2771/2017);

5.2. in applicazione di tale principio la giurisprudenza di questa Corte con riferimento alla denunzia avente ad oggetto il ritenuto difetto di specificità del motivo di appello ha affermato che la parte ricorrente, ha l’onere di specificare, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. n. 22880/2017, n. 20405/2006);

5.3. tale onere non è stato assolto dall’odierno ricorrente che non ha trascritto o esposto per riassunto il contenuto della sentenza di primo grado nè ha trascritto nelle parti rilevanti il contenuto dell’atto di gravame onde consentire, sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, come prescritto (Cass. n. 12761/2004, Sez. Un. 26002/2003, n. 4743/2001), la verifica della effettiva pertinenza e specificità delle censure formulate alla decisione di primo grado e la loro reale ed effettiva idoneità a costruire un tessuto argomentativo idoneo a contrastare quello posto a fondamento della statuizione impugnata;

6. il secondo motivo di ricorso è fondato, con effetto di assorbimento dell’esame degli ulteriori motivi;

6.1. secondo la costante giurisprudenza di questa Corte ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 13255/2010, n. 13499/2019 e giurisprudenza ivi richiamata). Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e quindi “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”; il giudice di merito è quindi tenuto a procedere a tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento. In proposito, va ribadito anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8, non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici Senza Frontiere), che spesso contengono informazioni aggiornate;

6.2. la sentenza impugnata non ha osservato tali prescrizioni non avendo indicato, neppure genericamente, le fonti dalle quali è stata tratta la ricostruzione della situazione in Pakistan, alla base della decisione; tale omissione non consente alcun controllo sull’attendibilità delle fonti utilizzate e soprattutto sulla loro effettiva ricomprensione nel novero di quelle previste dal richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3;

7. a tanto consegue la cassazione in parte qua della decisione, con rinvio ad altro giudice al quale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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