LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1942/2020 proposto da:
M.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 6601/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/10/2019 R.G.N. 2831/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
Che:
1. la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria avanzata da M.K., cittadino del *****, il quale ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con il timore di essere nuovamente arrestato in quanto condannato a pena detentiva per il fatto di avere investito con la propria barca un’altra imbarcazione cagionando la morte di due persone; la pena detentiva era destinata a durare fino a quando i parenti delle vittime non lo avessero perdonato; era riuscito a fuggire grazie all’intervento di una guardia carceraria che si era impietosita;
2. ha ritenuto la Corte di merito che dal racconto del ricorrente non emergeva alcuna situazione individuale tale da generare il rischio di persecuzione ai fini della protezione internazionale; la vicenda, oltre ad essere poco credibile (non sembrando verosimile che la durata della reclusione potesse essere ancorata al perdono dei familiari delle vittime) atteneva, infatti, ad una questione personale cosicchè poteva escludersi qualsiasi rischio di persecuzione in caso di rientro; non sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), alla luce della scarsa verosimiglianza del racconto del richiedente; neppure era configurabile una situazione riconducibile all’ipotesi di cui dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. cit., posto che il richiedente non proveniva da una zona del Gambia attraversata da un clima di tensione tale da far presumere che in caso di rientro potesse essere esposto a torture o ad altre forme di trattamento inumano o degradante; la situazione attuale del Gambia era stabile, caratterizzata da un organo di governo a legittimazione popolare a seguito della fine del regime dittatoriale che per 22 anni aveva retto il governo del paese; il forte periodo di crisi dovuto al pregresso clima politico e le ricadute negative sulle condizioni di salute ed istruzione e sulla qualità in generale della vita non integravano i requisiti prescritti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14 D.Lgs. cit.; del resto, le lamentate violazioni dei diritti umani in realtà concernevano specifiche categorie di persone quali gli oppositori politici o i giornalisti; non poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria non risultando allegate nè documentate condizioni di particolare vulnerabilità, nè le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale in caso di rientro nel paese di origine; la documentazione allegata relativa ai tirocini formativi seguiti dal ricorrente non era sufficiente ad attestare la integrazione nel territorio italiano;
3. per la cassazione della decisione M.K. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi;
4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce nullità della sentenza per motivazione apparente, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e erronea applicazione del principio relativo all’onere di cooperazione; censura in sintesi, la mancata considerazione, ai fini della protezione sussidiaria ed umanitaria, della valutazione del paese e della condizione personale del richiedente; la Corte aveva omesso di esaminare la questione della modalità di esercizio del diritto di difesa in Gambia, e dei principi del giusto processo; non erano state, inoltre osservati i criteri legali per la valutazione della credibilità;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; la Corte di appello non aveva dimostrato il rispetto dei criteri legali ma aveva affermato la non attendibilità del racconto del richiedente senza indicare ragioni, coerenti con i parametri di cui all’art. 3 D.Lgs. cit.;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti rappresentato dalla condizione di pericolosità e dalla situazione di violenza generalizzata esistenti in Gambia; denunzia omessa consultazione delle fonti ed errata applicazione dei principi in tema di onere della prova; il convincimento della Corte circa la situazione nel paese di origine non era argomentata sulla analisi di fonti informative ed era errata laddove ascriveva al ricorrente l’onere della prova delle condizioni di instabilità e di pericolo;
4. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè difetto di motivazione e travisamento dei fatti; censura la mancata istruttoria in merito alle condizioni economiche del paese di origine del ricorrente unitamente alle sue condizioni personali e quindi alla comparazione tra la qualità di vita del nostro paese e quella in cui si troverebbe in caso di rimpatrio;
5. i primi tre motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono fondati ed assorbono l’esame del quarto motivo;
5.1. secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 13255/2010, n. 13499/2019 e giurisprudenza ivi richiamata). Il detto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e quindi “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”;
5.2. l’obbligo in ometto è stato del tutto pretermesso dal giudice di merito il quale non ha indicato, neppure genericamente, le fonti alla base della ricostruzione della situazione attuale in Gambia; tale omissione non consente alcun controllo sull’attendibilità delle fonti utilizzate e soprattutto sulla loro effettiva ricomprensione nel novero di quelle previste dal richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3;
5.3. è onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento. In proposito, va ribadito anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 D.Lgs. cit. non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici Senza Frontiere), che spesso contengono informazioni aggiornate;
5.4. è ancora da rimarcare, in relazione alla deduzione del richiedente protezione relativa alle caratteristiche del sistema giudiziario del Gambia, con specifico riferimento al fatto che la durata della reclusione è condizionata al perdono dei familiari della vittima, che tale deduzione non consente di relegare all’ambito meramente privato la vicenda narrata, per i riflessi che la stessa può assumere sotto il profilo più generale della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali; in tale contesto, in assenza di adeguato approfondimento istruttorio, non appare giustificata l’affermazione del giudice di appello circa la non verosimiglianza dell’assunto dell’essere la durata della detenzione condizionata al perdono dei familiari, affermazione che postula una generalizzata applicazione di principi propri dei sistemi occidentali, priva del tutto di riscontro;
6. a tanto consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice di secondo grado al quale è demandato anche il regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021