LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Angelo – rel. est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10254/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
Max Immobiliare s.r.l. e Isem s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentate e difese, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati Emanuele Coglitore e Mariagrazia Bruzzone, elettivamente domiciliate presso lo studio del primo in Roma alla via Federico Confalonieri n. 5;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5356/2014 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – Milano, depositata in data 16/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 dicembre 2020 dal Dott. Angelo Napolitano, svoltasi mediante collegamento da remoto.
Con atto del 24/7/2008, registrato a tassa fissa il 25/7/2008, la Max Immobiliare s.r.l. cedeva alla Cartonbox s.r.l. (poi fusasi con Isem Futura s.r.l. assumendo la ragione sociale di Isem s.r.l.) la propria partecipazione pari al 100% del capitale sociale di Isem Futura s.r.l. (ora Isem s.r.l.).
La Direzione provinciale II di Milano dell’Agenzia delle Entrate riqualificava il conferimento di un ramo di azienda di Max Immobiliare s.r.l. in Isem s.r.l. e la successiva cessione della partecipazione totalitaria della prima nel capitale della seconda a Cartonbox s.r.l. come cessione di azienda, richiedendo l’imposta di registro proporzionale sul valore dichiarato della cessione (come riqualificata).
Successivamente l’Ufficio notificava a Max Immobiliare s.r.l. e a Isem s.r.l. un avviso di rettifica e liquidazione con il quale rettificava il valore di cessione dichiarato in atti e liquidava la maggiore imposta dovuta sul maggior valore accertato.
Le contribuenti impugnavano l’avviso di rettifica con distinti ricorsi, accolti dalla CTP di Milano che ha ritenuto l’Ufficio decaduto dal potere di accertare il maggior valore dell’azienda ceduta, essendo stato l’avviso di rettifica e di liquidazione notificato dopo il decorso di tre anni dalla registrazione dell’ultimo atto integrativo della fattispecie di cessione dell’azienda.
L’Ufficio ha proposto appello, deducendo che nel caso di specie non poteva trovare applicazione il termine di decadenza triennale dalla registrazione dell’atto, bensì il termine biennale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 1 bis, decorrente dal giorno del pagamento dell’imposta proporzionale o comunque dal giorno in cui l’Ufficio aveva proceduto a riqualificare i tre atti negoziali collegati in cessione di azienda, richiedendo il pagamento dell’imposta proporzionale non versata.
La CTR, riuniti i ricorsi, ha rigettato gli appelli con un’unica sentenza.
L’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, affidato ad un unico, complesso motivo.
Le contribuenti hanno depositato controricorso ed una memoria difensiva in vista dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
1.Con l’unico motivo, rubricato “Violazione e fa/sa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto che nel caso di specie verrebbe in rilievo l’imposta complementare sul maggior valore accertato, sicché andrebbe escluso il termine triennale di decadenza dalla registrazione dell’atto di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 che riguarda l’imposta principale, suppletiva o complementare ex art. 19 Tur.
Secondo l’Agenzia, nel caso di specie, al contrario di quanto affermato dalla CTR, dovrebbe trovare applicazione il termine di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 1 bis che dispone che “l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggior imposta di cui all’art. 52, comma 1 deve essere notificato entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta proporzionale”. L’Ufficio argomenta la sua tesi citando un precedente di questa Corte, secondo cui “in tema di imposta di registro il termine di due anni dal pagamento dell’imposta proporzionale previsto a pena di decadenza per la notifica dell’avviso di accertamento di maggior valore decorre dal momento della registrazione dell’atto, anche se questo sia stato erroneamente registrato a tassa fissa, perché da tale momento l’amministrazione è resa edotta dell’atto medesimo e della dichiarazione di valore e può attivare il suo potere di verifica” (Cass., n. 5999/99; Cass., n. 11034/96).
Tuttavia, afferma l’Agenzia delle Entrate che nel caso di specie non sarebbe stato presentato alla registrazione un atto contenente tutti i dati necessari alla corretta tassazione, bensì una pluralità di atti distinti potenzialmente decettivi che solo a seguito di esame si sono rivelati quali atti collegati costituenti un unico negozio di cessione di azienda.
In altre parole, secondo l’Ufficio, il dies a quo del termine di decadenza del potere di accertamento del maggior valore del compendio oggetto del negozio giuridico in capo all’erario coinciderebbe con il momento in cui l’Amministrazione ha riqualificato gli atti posti in essere in un unico contratto di cessione di azienda, chiedendo alle contribuenti il pagamento dell’imposta proporzionale, in luogo di quella fissa precedentemente corrisposta. 2. Il motivo è infondato.
2.1 Conviene analizzare nella sua interezza l’art. 76 Tur, per poter cogliere la ratio del comma 1 bis invocato dall’ufficio.
2.1.1. Il termine di decadenza quinquennale, di cui al comma 1 del richiamato articolo, si riferisce ai casi di inadempimento dell’obbligo di registrazione. E’ il termine di decadenza più lungo tra quelli previsti a carico dell’amministrazione nel corpo dell’art. 76 Tur, all’evidenza perché, nel caso in cui sì sottrae un atto alla registrazione, l’amministrazione deve godere di un arco temporale maggiore per recuperare l’imposta evasa.
Nel caso, invece, in cui sia stata chiesta la registrazione, ma l’imposta non sia stata pagata, il termine di decadenza dell’amministrazione dal potere di richiedere il pagamento dell’imposta è fissato in tre anni (art. 76, comma 2 Tur).
E’ previsto, poi, un termine di decadenza minore, di due anni, riferito al potere dell’amministrazione di accertare che la base imponibile, sulla quale sia stata pagata l’imposta proporzionale, e’, in realtà, maggiore (art. 76, comma 1 bis Tur): questo termine è posto a vantaggio del contribuente, ed ha lo scopo di ridurre, rispetto all’ordinario termine di tre anni, l’arco temporale nel quale il contribuente è esposto al potere di verifica dell’amministrazione. L’interpretazione data dall’Ufficio odierno ricorrente, secondo la quale dall’avviso di liquidazione con cui l’amministrazione riqualifica gli atti posti in essere dal contribuente decorrerebbe un ulteriore biennio nel quale essa avrebbe il potere di accertare un valore maggiore (e dunque una maggiore imposta proporzionale) del diritto oggetto dell’atto soggetto a registrazione non solo è sfornito di una base positiva, in quanto sposta in avanti il termine di due anni che la legge ancora al “pagamento dell’imposta proporzionale”, nel caso di specie mai avvenuto, ma addirittura travisa la ratio dell’art. 76, comma 1 bis Tur, trasformandolo da norma a tutela del contribuente in norma di favore per il fisco.
Ne deriva, allora, che il caso in cui il contribuente assolve l’imposta in misura fissa su atti che, secondo la riqualificazione operata dall’amministrazione, concretizzerebbero un atto (nella fattispecie, una cessione di azienda) soggetto ad imposta proporzionale, rientra nell’ambito applicativo dell’art. 76, comma 2 Tur, dovendo tale caso essere equiparato a quello in cui, pur avendo richiesto la registrazione, il contribuente non abbia pagato l’imposta proporzionale; sicché l’amministrazione, nei tre anni a partire dalla registrazione dell’ultimo atto della serie negoziale posta in essere dal contribuente, avrebbe dovuto, a pena di decadenza, non solo riqualificare l’atto, ma anche rettificare la base imponibile dichiarata dal contribuente al fine di richiedere a lui la imposta proporzionale considerata dovuta.
2.1.2. Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
3. Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso.
P.Q.M.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore delle società contribuenti, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro settemilaottocento, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2021