Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.199 del 11/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 963/2020 proposto da:

H.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO RAIMONDI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 674/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 28/10/2019 R.G.N. 67/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO

Che:

1. la Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza pubblicata il 28 ottobre 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da H.S., cittadino *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. la Corte ha confermato – per quanto qui ancora interessa – l’assunto del primo giudice secondo cui, come già ritenuto dalla Commissione territoriale, il racconto dell’istante non era credibile, oltre a presentarsi “lacunoso e contraddittorio”, in relazione ad una vicenda in cui veniva narrata una fuga dal Pakistan nel 2007 per sfuggire a non meglio precisate minacce per avere la madre denunciato i metodi educativi adottati in una madrasa;

3. circa la richiesta protezione sussidiaria la Corte ha escluso che nel luogo di provenienza dell’appellante – “la parte nord est della provincia del Punjab pakistano” – fosse riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata tale da creare una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile;

4. quanto al riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte ha ritenuto che non era dato sapere quali fossero le condizioni personali del richiedente che avevano determinato la partenza dal suo Paese – “attesa la non credibilità del racconto” – nè era stato documentato sufficientemente il livello di integrazione dello straniero nel tessuto sociale italiano;

5. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 4 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO

Che:

1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere la Corte territoriale ritenuto credibile il racconto dell’istante, senza che fossero “correttamente valutati” tutti gli elementi che rendevano “il rischio per l’incolumità di H. in ipotesi di rientro in Pakistan effettivo, reale e concreto”;

la censura non può trovare accoglimento;

in tema di valutazione della credibilità di quanto narrato dal richiedente protezione questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 14674 del 2020), ha ribadito i seguenti principi:

la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere affidata alla mera opinione del giudice ma deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. n. 26921 del 2017; Cass. n. 19716 del 2018; Cass. n. 2956 del 2020); solo sulla base di un esame effettuato nel modo anzidetto, le dichiarazioni del richiedente possono essere considerate inattendibili e come tali non meritevoli di approfondimento istruttorio officioso; la dispensa dalla cooperazione istruttoria vale tuttavia soltanto per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ma non per l’accertamento dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui dell’art. 14 cit., lett. c), la quale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico nella violenza indiscriminata ivi contemplata, a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale; essa neppure può valere ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria in quanto il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevano ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (vedi, per tutte: Cass. n. 10922 del 2019; Cass. n. 2960 del 2020; Cass. n. 2956 del 2020);

ove la valutazione della sussistenza o meno della credibilità soggettiva sia stata effettuata con il metodo indicato dalla specifica normativa attuativa di quella di origine UE e, quindi, in conformità alla legge ed il ricorrente per cassazione non abbia indicato “in qual modo si sarebbe discostato dai criteri dettati dal D.Lgs. n. 251 n. 2007, art. 3” (così Cass. n. 12086 del 2020), essa può dare luogo ad un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, come tale censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (v. ex multis Cass. n. 30105 del 2018; Cass. n. 3340 del 2019; Cass. n. 29279 del 2019; Cass. n. 8020 del 2020);

nel caso, la Corte d’Appello ha confermato la valutazione già compiuta in prime cure dell’esame delle dichiarazioni del richiedente, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicchè la doglianza in esame, che non specifica i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, che si assumono violati nello scrutinio dell’attendibilità del narrato, costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto, neppure censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. nn. 8053 e 8054 del 2014), peraltro precluso anche per la ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (art. 348 ter c.p.c., u.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; tra le altre v. Cass. n. 23021 del 2014);

2. il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, per avere la sentenza impugnata negato lo status di rifugiato nonostante lo S. si fosse visto “costretto ad abbandonare il Pakistan in quanto lui e la sua famiglia erano continuamente oggetto di persecuzioni e violenze”, per connessione può essere esaminato anche il quarto motivo con cui si lamenta ancora la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, per avere negato la protezione sussidiaria nonostante le minacce di morte subite dal richiedente;

i motivi non possono trovare accoglimento in quanto si fondano proprio su presupposti di fatto che riguardano la credibilità del racconto fornito dal richiedente protezione, credibilità che è invece espressamente negata dai giudici del merito, con un apprezzamento che, come detto, non può essere rivisitato in sede di legittimità qualora non vengano formulate censure appropriate; non può poi trascurarsi che si adducono a fondamento della pretesa vicende private, rispetto alle quali l’interessato non ha dimostrato l’impossibilità di avere tutela dalle autorità dello Stato (Cass. n. 14680 del 2020), nè viene indicato se, negli anni trascorsi in Grecia dal 2007 al 2015, prima di giungere in Italia sia stata ivi – tempestivamente formulata domanda di protezione;

3. il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), “non risultando il territorio pakistano, ed in particolare la regione del Punjab, sicura ed idonea a garantire i diritti umani essenziali del ricorrente ed essendo comunque da accogliersi la richiesta di protezione sussidiaria sollevata dall’odierno ricorrente”;

la censura, come formulata, è inammissibile, atteso che la Corte territoriale, citando le fonti internazionali da cui ha tratto il convincimento, ha accertato in fatto che nella regione di provenienza del richiedente protezione non fosse in atto una situazione assimilabile a quella di un conflitto armato generatore di violenza indiscriminata; lo stabilire se tale accertamento sia corretto o meno è questione di fatto, come tale incensurabile in questa sede se non evidenziando l’omesso esame di un fatto decisivo o la manifesta irrazionalità della decisione, censure neanche prospettate dall’odierno ricorrente (di recente: Cass. n. 6897 del 2020); in realtà chi ricorre si limita a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perchè si esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e si invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (da ultimo, tra molte, v. Cass. n. 2563 del 2020);

4. conclusivamente il ricorso deve essere respinto; nulla va liquidato per le spese in quanto il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulle per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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