LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30591/2019 proposto da:
Y.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA LOMBARDI BAIARDINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 446/2019 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA, depositata il 25/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
Che:
Y.S., cittadino del *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire violenze da parte dei propri familiari per motivi di carattere religioso;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento Y.S. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Perugia, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 13/12/2018;
tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Perugia con sentenza in data 25/7/2019;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) del carattere contraddittorio delle dichiarazioni rese dall’interessato con riguardo alla propria vicenda personale; 2) del mancato ricorso di alcuna delle ragioni previste dalla legge per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;
il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da Y.S. con ricorso fondato su tre motivi;
il Ministero dell’interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
Che:
col primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha giudicato contraddittorio il proprio racconto, in violazione dei criteri legalmente imposti ai fini del riscontro di credibilità del richiedente la protezione internazionale, nonchè in violazione dell’onere di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante, con particolare riguardo alla verifica della idoneità degli organi statali del paese di provenienza ad assicurare un’effettiva protezione contro i rischi alla vita e alla incolumità personale dei propri cittadini;
il motivo è fondato;
al riguardo, osserva il Collegio come il giudice a quo abbia disatteso l’istanza diretta al riconoscimento delle “maggiori” forme di protezione internazionale rivendicate dal ricorrente sul presupposto della concreta insussistenza, nel caso in esame, di un effettivo stato di vulnerabilità connessa al relativo rientro in patria, essendosi il richiedente limitato a prospettare il ricorso di un preteso pericolo concreto per la propria vita e incolumità fisica in considerazione delle corrispondenti minacce ricevute da persone della propria famiglia per motivi di carattere religioso, senza evidenziare l’avvenuta preliminare prospettazione della situazione di pericolo alle autorità statuali del proprio paese;
sul punto, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il riscontro di una persecuzione discriminatoria concretamente subita dall’interessato, o dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria, non può essere escluso dalla circostanza che a determinare detta persecuzione discriminatoria, o a provocare un danno grave per il cittadino straniero, siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 1 -, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver genericamente sottolineato la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal ricorrente (senza peraltro mai giungere a ritenerle non attendibili in modo inequivocabile, in tal senso sottraendosi al dovere di condurre la valutazione delle dichiarazioni dell’interessato secondo il modello procedimentale di lettura imposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5), si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, l’impossibilità di riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria invocati dall’istante, sul presupposto che quest’ultimo non avesse mai “fatto alcun cenno a possibili situazioni di assenza di protezione nei suoi confronti da parte delle autorità statuali”, così trascurando di esercitare i propri poteri di istruzione ufficiosa (nel quadro dei doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge) attraverso l’approfondimento di tali ultimi rilievi al fine di individuare, in termini positivi e concreti, le specifiche fonti informative suscettibili di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni gambiane a cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine “privata” così determinate;
col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte della corte territoriale, del c.d. dovere di cooperazione istruttoria, per avere il giudice a quo trascurato di procedere in modo adeguato ed esaustivo all’analisi delle fonti di informazione richiamate con riguardo alle condizioni di sicurezza del paese di provenienza del ricorrente;
il motivo è fondato;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente;
al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01), purchè si tratti di fonti qualificate e affidabili, provenienti da organismi dotati di competenze, informative e collaborative, nella materia della protezione internazionale, in conformità alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis (cfr., al riguardo, Sez. 1, Ordinanza n. 11103 del 19/04/2019, Rv. 653465 – 01);
nel caso di specie, la corte territoriale non ha adeguatamente assolto ai propri doveri di cooperazione istruttoria nei termini specificati, avendo totalmente trascurato di indicare, nella propria sentenza, da quali fonti, attendibili e aggiornate, abbia tratto le informazioni poste a fondamento del rigetto della domanda di protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi in esame, limitandosi a escludere il ricorso dei presupposti necessari ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base di indicazioni meramente generiche, oltre che del tutto prive, occorre ribadire, di riscontri identificativi della provenienza delle fonti d’informazione reperite;
col terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge ed omesso esame di fatti decisivi controversi, nella parte in cui il giudice a quo ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tener conto della propria condizione di vulnerabilità e delle condizioni di criticità sociale e istituzionale del paese di provenienza;
la rilevanza del terzo motivo deve ritenersi assorbita dall’accoglimento dei primi due;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza dei primi due motivi (assorbito il terzo), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021