Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.207 del 11/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31054/2019 proposto da:

A.W., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 456/2019 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA, depositata il 26/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

RILEVATO

Che:

A.W., cittadino della *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire violenze da parte della comunità del proprio villaggio per motivi di carattere religioso;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento A.W. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Perugia, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 6/11/2018;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Perugia con sentenza in data 26/7/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’assenza di attendibilità del relativo racconto; 2) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da A.W. con ricorso fondato su sette motivi;

il Ministero dell’interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa;

il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha depositato memoria scritta, concludendo per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per omessa motivazione, essendosi il giudice a quo limitato a dettare una motivazione solo apparente, tanto in relazione alla valutazione della credibilità del racconto di vita dell’istante, quanto con riferimento a ognuna delle forme di protezione internazionale dallo stesso rivendicate;

col secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere i giudici di merito condotto la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’interessato in violazione del modello legale di lettura imposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

col terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, con particolare riguardo alla trascurata considerazione delle fonti informative relative all’effettiva condizione di pericolosità e di violenza generalizzata del paese di origine del richiedente;

con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge nonchè per l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del procedimento, nonchè per l’omesso assolvimento dei doveri di cooperazione istruttorie e di approfondimento probatorio, con riguardo alle gravi situazioni di rischio personale rappresentate dall’istante in relazione alle circostanze narrate e alle rilevanti problematicità legate alla situazione dei territori di provenienza del richiedente;

con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere il giudice a quo totalmente trascurato di procedere all’esame delle condizioni socio-politiche della Nigeria, senza riferirsi ad alcuna fonte di cognizione attendibile e aggiornata, anche in relazione ai gravi rischi per la vita, alle minacce di tortura o di trattamenti inumani o degradanti, ai vuoti di protezione pubblica nonchè alle condizioni di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato concretamente sussistenti in Nigeria;

con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il giudice a quo totalmente omesso di procedere all’istruttoria dovuta sul paese di origine del ricorrente ai fini del riconoscimento delle forme di protezione rivendicate;

col settimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi controversi, con particolare riguardo al rivendicato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari specificamente richiesti dal rito corrente;

tutti motivi in rassegna sono fondati nei termini di seguito specificati;

osserva in primo luogo il Collegio, come la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sè assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purchè di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati;

nel caso di specie, il giudice a quo, nel trattare della questione relativa alla credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, si è inammissibilmente limitato a rilevare la mancanza di prova a sostegno di quanto narrato dall’istante, al di là delle “intrinseche inverosimiglianze” così apoditticamente rilevate mediante un generico e acritico richiamo alle ragioni addotte dalla Commissione amministrativa competente a giustificazione del rigetto della domanda di protezione internazionale;

ciò posto, varrà considerare come la corte territoriale abbia propriamente trascurato di circostanziare e articolare la valutazione di credibilità del richiedente in rapporto a ciascuno dei parametri di attendibilità dichiarativa sul cui necessario rilievo insiste la disposizione imperativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, finendo col porsi in evidente contrasto con i canoni di interpretazione delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale espressamente raccomandati dalla legge e, più in generale, con la struttura “procedimentale” e “comprensiva” del ragionamento argomentativo imposto ai fini del controllo di quelle stesse dichiarazioni;

in forza di tali premesse, le lacune indicate devono ritenersi tali da riflettersi inevitabilmente sulla legittimità della motivazione in thema dettata dal giudice di merito, atteso che il mancato rispetto del “modello legale di lettura” delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo vale a escludere l’avvenuta giustificazione, in modo legalmente adeguato, del giudizio di inattendibilità così espresso dal giudice di merito;

tali rilievi impongono di rinviare al giudice del merito per la doverosa rinnovazione della valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedente, anche in relazione alla verifica istruttoria (da compiere anche attraverso l’esercizio dei poteri di cooperazione istruttoria rimessi al giudice del merito) circa la fondatezza delle domande relative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui alle ipotesi indicate nel D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b);

a tale riguardo, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 1 -, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver proceduto in modo irrituale all’esame dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’istante, si è inammissibilmente limitato a giudicare apoditticamente “gratuita” l’affermazione del richiedente secondo cui la polizia non sarebbe in grado di contenere le violenze le tensioni tra i soggetti privati (con la conseguente implicita impossibilità di stabilire l’eventuale incapacità delle istituzioni statali a proteggerlo dalle gravi minacce ricevute), così trascurando di esercitare i propri poteri di istruzione ufficiosa (nel quadro dei doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge) attraverso l’approfondimento di tali ultimi rilievi al fine di individuare, in termini positivo e concreti, le specifiche fonti informative suscettibili di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni nigeriane a cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine “privata” così determinate;

parimenti fondata deve ritenersi la censura concernente il lamentato rigetto della domanda di protezione sussidiaria relativa all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c);

osserva sul punto il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente;

al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01), purchè si tratti di fonti qualificate e affidabili, provenienti da organismi dotati di competenze, informative e collaborative, nella materia della protezione internazionale, in conformità alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis (cfr., al riguardo, Sez. 1, Ordinanza n. 11103 del 19/04/2019, Rv. 653465 – 01);

nel caso di specie, la corte territoriale non ha adeguatamente assolto ai propri doveri di cooperazione istruttoria nei termini specificati, essendosi inammissibilmente limitata al richiamo, peraltro generico e del tutto laconico, ai contenuti di non meglio precisate notizie “ministeriali”, di per sè inidonee (per l’evidente genericità della fonte, neppure identificata in termini cronologici) a fornire informazioni pienamente adeguate e attendibili sulle effettive situazioni di criticità del tessuto sociale, politico ed economico dei territori considerati, e in ogni caso di per sè insuscettibili di escludere il ricorso dei presupposti necessari ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria;

quanto, infine, al domandato riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U., Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato l’inconsistenza della prova riferita all’eventuale processo di integrazione del richiedente nel tessuto socio-economico italiano, ha trascurato totalmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale”;

sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza di tutte le censure esaminate, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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