LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31826/2019 proposto da:
E.L., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avv.to ANDREA CARDINALI, rappresentato e difeso dagli avvocati STEFANO MINGARELLI, e FEDERICO MUZI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– resistente –
avverso la sentenza n. 570/2019 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA, depositato il 14/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
Che:
E.L., cittadino della *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso da parte di uno zio per motivi di carattere economico;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento E.L. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Perugia, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 7/11/2018;
tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Perugia con sentenza in data 14/9/2019;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) del carattere contraddittorio del proprio racconto, rimasto privo di riscontri istruttori; 2) delle ragioni essenzialmente economiche della fuga del ricorrente dal proprio paese, come tali inidonee a giustificare il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, ivi compreso il permesso di soggiorno per motivi umanitari;
il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da E.L. con ricorso fondato su cinque motivi;
il Ministero dell’Interno non ha svolto difese in questa sede;
il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha depositato memoria scritta, concludendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO
Che:
col primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere il giudice a quo condotto la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’interessato in violazione del modello procedimentale di lettura imposto dalla legge, nonchè in violazione dei doveri ufficiosi di cooperazione istruttoria, ai fini del riscontro di meritevolezza per il riconoscimento dello status di rifugiato;
col secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale totalmente omesso di dettare alcuna motivazione a fondamento della richiesta di protezione sussidiaria;
col terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere il giudice a quo illegittimamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata protezione sussidiaria;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere il giudice d’appello illegittimamente omesso di riconoscere la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione, in favore dell’istante, del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere il giudice a quo dettato una motivazione totalmente illogica e incoerente a fondamento del rigetto delle domande di protezione internazionale avanzate dall’istante;
tutti motivi in rassegna sono fondati nei termini di seguito specificati;
osserva in primo luogo il Collegio, come la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);
detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);
in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sè assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purchè di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati;
nel caso di specie, il giudice a quo, nel trattare della questione relativa alla credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, si è inammissibilmente limitato a rilevare la mancanza di prova a sostegno di quanto narrato dall’istante, al di là della riconducibilità dei motivi della fuga del richiedente a mere “incomprensioni tra parenti”;
ciò posto, varrà considerare come la corte territoriale abbia propriamente trascurato di circostanziare e articolare la valutazione di credibilità del richiedente in rapporto a ciascuno dei parametri di attendibilità dichiarativa sul cui necessario rilievo insiste la disposizione imperativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, finendo col porsi in evidente contrasto con i canoni di interpretazione delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale espressamente raccomandati dalla legge e, più in generale, con la struttura “procedimentale” e “comprensiva” del ragionamento argomentativo imposto ai fini del controllo di quelle stesse dichiarazioni;
in forza di tali premesse, le lacune indicate devono ritenersi tali da riflettersi inevitabilmente sulla legittimità della motivazione in thema dettata dal giudice di merito, atteso che il mancato rispetto del “modello legale di lettura” delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo vale a escludere l’avvenuta giustificazione, in modo legalmente adeguato, del giudizio di inattendibilità così espresso dal giudice di merito;
tali rilievi impongono di rinviare al giudice del merito per la doverosa rinnovazione della valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedente, anche in relazione alla verifica istruttoria (da compiere anche attraverso l’esercizio dei poteri di cooperazione istruttoria rimessi al giudice del merito) circa la fondatezza delle domande relative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui alle ipotesi indicate del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b);
a tale riguardo, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento dello status di rifugiato o il diritto alla protezione sussidiaria non possono essere esclusi dalla sola circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 1 -, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver proceduto in modo irrituale all’esame dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’istante, si è inammissibilmente sottratto alla verifica e all’esercizio dei propri poteri di istruzione ufficiosa (nel quadro dei doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge) al fine di individuare, in termini positivi e concreti, le specifiche fonti informative suscettibili di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni nigeriane a cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine “privata” così determinate;
parimenti fondata deve ritenersi la censura concernente il lamentato rigetto della domanda di protezione sussidiaria relativa all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c);
osserva sul punto il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente;
al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01), purchè si tratti di fonti qualificate e affidabili, provenienti da organismi dotati di competenze, informative e collaborative, nella materia della protezione internazionale, in conformità alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis (cfr., al riguardo, Sez. 1, Ordinanza n. 11103 del 19/04/2019, Rv. 653465 – 01);
nel caso di specie, la corte territoriale non ha in nessun modo assolto ai propri doveri di cooperazione istruttoria nei termini specificati, trascurando totalmente di assumere alcuna informazione adeguata, aggiornata e attendibile, sulle effettive situazioni di criticità del tessuto sociale, politico ed economico dei territori considerati, ai fini dell’eventuale riconoscimento della protezione sussidiaria;
quanto, infine, al domandato riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U., Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02);
peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato il carattere meramente economico delle ragioni di fuga dell’istante dal proprio paese, ha trascurato totalmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;
ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale”;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza di tutte le censure esaminate, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021